Intelligenza artificiale e libertà una dicotomia insanabile?

Le tre grandi rivoluzioni che hanno caratterizzato il successo degli esseri umani su questo pianeta rischiano di impallidire sotto i colpi di quello che sta avvenendo in questi ultimi anni.

Mi riferisco alla rivoluzione cognitiva avvenuta all’incirca 60.000 anni fa della quale non conosciamo con precisione le cause e che probabilmente fu la conseguenza di accidentali mutazioni genetiche che interferirono sulle connessioni neuronali del cervello dell’homo sapiens.

Tutto ciò gli permise di ragionare in modalità innovative e di comunicare impiegando linguaggi prima inesistenti, associandoli all’impiego delle analogie simboliche.

Alla rivoluzione agricola che all’incirca 12.000 anni fa permise la nascita dell’urbanizzazione e della società così come la intendiamo oggi e, infine, alla rivoluzione scientifica che non più tardi di 500 anni addietro ha accentuato la comprensione dei processi naturali e ha consentito il dominio dell’uomo sulla natura.

Oggi con il progressivo affermarsi dell’intelligenza artificiale si spalancano nuovi e più rischiosi territori, tutti da esplorare.

Infatti gli esseri umani, dopo essere diventati “intelligenti” stanno donando “intelligenza” anche agli oggetti e sostanziano nell’internet delle cose la possibilità di mutare gli stessi scenari evolutivi.

A fondamento di tutto ci sono gli algoritmi che in se non sono ne buoni ne cattivi, come del resto tutti gli strumenti tecnologici e infatti stiamo parlando di un particolare processo logico deduttivo che permette di  portare a termine una determinata azione, compiendouna definita serie di minimali passaggi (metodo!).

Tutto questo accade sia in matematica, fisica , informatica e anche nella vita di tutti i giorni; quando ci prepariamo un milanesissimo risotto utilizziamo un algoritmo, cioè una sequenza semplice, ma fondamentale  di passaggi coerenti, come soffriggere la cipolla nel burro, tostare a parte il riso, sfumarlo con del vino bianco e portarlo a cottura aggiungendo brodo bollentenel quale abbiamo sciolto lo zafferano.

Ecco l’algoritmo; è un metodo semplice o con crescente complessità di calcolo, idoneo per portare a compimento un’azione o un progetto articolato che richiede un incremento di dati e un apprendimento di funzioni. 

Ovviamente si apprende o in maniera esperienziale, o simultanea, o sequenziale.

Il problema è che siamo noi esseri normali che con la valanga di dati che forniamo, gratuitamente, con la frequentazione quotidiana dei social e delle piattaforme ad alimentare il circuito cognitivo dell’intelligenza artificiale che accresce il suo sapere facendo esperienza con i dati crescenti; il guaio, però, è che in mano a pochissimi soggetti che non rispondono delle loro attività a nessuno.

Intelligenza artificiale che, poi, da vita autonoma agli oggetti; è l’internet delle cose che sostanziato in smart utility, smart car, smart building, smart logistic, smart home, smart management, smart factory e, soprattutto, smart city) punta quindi a digitalizzare ogni ambito del nostro vivere sociale e richiede spunti di riflessione allargata per recuperare la centralità della ragione in questa realtà che negli ultimi anni è diventata sempre più eccentrica e ametrica.

Certo le “cose intelligenti”possono accrescere la nostra sicurezza e migliorare il confort della nostra vita, ma, al contempo, aumentano il controllo su di noi, ci privano della privacy, fanno fare una valanga di quattrini a gruppi sempre più ristretti di privilegiati e ci “impigriscono” mentalmente.

Il focus va però indirizzato verso l’analisi delle trasformazioni urbane; questo perché, come ci ricorda Carlo Ratti, direttore del Mit Senseable City Lab, le città rappresentano meno del 2% del territorio complessivo del Pianeta, ma accolgono oltre il 55% della popolazione; determinano il 75% del consumo globale di energia e producono circa l’80% delle emissioni di anidride carbonica e di rifiuti solidi, ma generano oltre il 70% del Prodotto interno lordo della Terra.

Al loro interno c’è la concentrazione maggiore di autoveicoli che per il 95% del tempo non sono utilizzati, ma occupano spazio e quando si muovono lo fanno quasi sempre con una sola persona a bordo e in modo “energivoro”, ma, al contempo, massimizzano, nel perimetro urbano, anche i più efficaci sistemi di trasporto collettivo, in grado di minimizzare gli sprechi energetici.

Nelle smart city non si deve solo focalizzarsi sulle infrastrutture nella loro duplice veste di immobili ed impianti e quindi automazione e velocità, ma occorre pensare anche ai contenuti dell’intero comparto delle telecomunicazioni; per questa ragione occorre riflettere su progetti capaci di coniugare la leva tecnologica e il capitale umano (circular smart city).

Quindi sono indispensabili nuovi modelli di organizzazione residenziale e di lavoro per garantire la sostenibilità ambientale, sociale ed economica delle città stesse e, di conseguenza, del Pianeta intero.

L’ intelligenza artificiale deve, però, supplire ai nostri limiti di umani e, invece, viene sviluppata ed applicata ad ogni ambito dell’attività umana, perché è meno complesso e costoso investire sugli algoritmi piuttosto che sulle relazioni tra umani e se immettiamo troppa intelligenza sugli oggetti, dobbiamo chiederci che ruolo rimarrà alla nostra.

Dopo che, con lotte e sacrifici, avevamo ampliato lo spazio dei diritti, ridotto il tempo di lavoro, ecco che ora l’I.A. elimina il nostro lavoro e il conseguente reddito che ne deriva e, inoltre, riduce la nostra libertà di scelta, limitando il ruolo della nostra intelligenza logico deduttiva etentando di comprime anche quello della nostra intelligenza relazionale!

E’ per questo che per evitare di smarrire il senso della realtà ed essere relegati ad un ruolo marginale dobbiamo immaginare e costruire una nuova civiltà, innovative visioni di futuro ed evitare la privatizzazione della tecnologia (non esiste la tecnologia in se, ma i proprietari della tecnologia!), puntando su quelle che ora sono ancora una nostra prerogativa, preclusa all’intelligenza artificiale, ovvero:Improvvisazione, illuminazione, ispirazione ed immaginazione.

Gli algoritmi proprietari a fondamento dell’I.A. debbono essere considerati non solo uno spazio pubblico, ma dei veri beni comuni, quindi debbono essere sottoposti al controllo collettivo per evitare la disintermediazione.

Questo perché non possiamo aspettarci dalla tecnologia la possibilità della redenzione e se l’I.A. amplia, a caro prezzo, le nostre potenzialità, non possiamo certamente affermare che accresce anche la nostra felicità.

Luigi Pastore