Davvero relativo e conseguente di volta in volta ad accadimenti che lo obbligassero per le loro implicazioni ad occuparsene, l’interesse di Winston Churchill per l’America Latina.
E pensare che, allorquando – nel 1895, giovane Ufficiale ventenne – volendo comunque avere conoscenza diretta di una delle guerre nel mondo in corso di svolgimento, invero per ragioni economiche (mantenersi colà sarebbe costato meno), dovette scegliere, si era deciso per Cuba (laddove già si lottava per l’indipendenza dalla Spagna).
È sulla via dell’isola che, per la prima volta, ebbe modo di arrivare a New York.
Nella Grande Mela lo attendeva e lo avrebbe ospitato un ottimo conoscente della madre, William Bourke Cockran.
Irlandese di nascita e americano dai suoi giovanili anni, Cockran era allora (lo sarebbe stato fino alla morte arrivando ad essere eletto alla Camera in diverse occasioni) uno dei più brillanti e culturalmente preparati uomini politici democratici (e non solo) del Paese adottivo.
La per quanto non lunga frequentazione fu per Winston di grande significanza.
In primo luogo, avvicinandolo pressoché definitivamente (non potrà mai dirlo, ma così è) ai democratici USA, che preferirà ai repubblicani, facendo ogni volta ‘tifo’ per loro nelle Presidenziali.
In secondo e più importante luogo, perché da Bourke Cockran imparerà grandemente quanto alla capacità oratoria, al modo di scrivere e pronunciare i discorsi e le perorazioni, all’introdurre negli stessi molto opportunamente battute e citazioni, alla assoluta necessità di acquisire e dipoi possedere una conoscenza tendente all’assoluto.
Arriverà Winston ad imparare a memoria molte delle articolazioni di Cockran!
Sessant’anni dopo, in una particolare circostanza che lo vedeva a colloquio con Adlai Stevenson, gli occorse di recitarne, declamarne alcuni brani.
Quale la sua sorpresa – conseguente a quella del due volte sconfitto candidato a White House democratico che aveva riconosciuto la fonte – nel sentirsi dire che Bourke Cockran era l’uomo politico, di più, l’intellettuale, al quale da sempre faceva egli riferimento?
Superficialmente – molto, guardando solo a questa coincidenza e non tenendo conto delle infinitamente differenti temperie, circostanze e percorsi dai due Uomini vissuti – ci si potrebbe chiedere come mai l’uno sia da annoverare tra i pochi ‘Grandi’ della Storia e l’altro tra i ‘non realizzati’, tra gli incapaci di dare seguito concreto alle loro (non esclusivamente loro, ma di non pochi di quanti li conoscevano) aspettative.
Può qui soccorrere quanto proprio riguardo a Stevenson scrisse nel 1961 in ‘Le cinquanta Americhe’ Raymond Cartier:
“… molto intelligente, paga il fatto di vedere troppi aspetti di una questione e di non avere mai preso una decisione senza rimorsi”.
Churchill vedeva anch’egli tutti gli aspetti di ogni questione e decideva lasciando non a quel momento ma, nel caso, se necessario, al futuro, qualche rimpianto.
Che tutti e due fossero ‘allievi’ di Cockran è alla fine dimostrato dal fatto di condividere assolutamente con il ‘Maestro’ l’amore per la democrazia – della quale peraltro perfettamente conoscevano peccati e imperfezioni – e la mancanza di ogni illusione quanto alla vera consistenza, al livello, degli aventi diritto al voto.
“Il migliore argomento contro la democrazia”, scrisse Winston, “è una chiacchierata con un elettore medio!”
“Signora”, rispose Adlai ad una elettrice che dopo un suo discorso gli aveva detto che tutte le persone intelligenti lo avrebbero votato, “non basterà.
Occorre la maggioranza!”
Mauro della Porta Raffo