La crisi nel decennale. Le difficoltà non sono ancora finite e i rischi permangono

Sono passati dieci anni dal’inizio della crisi economico/finanziaria che ha sconvolto il Pianeta e che iniziata negli Stati Uniti con il fallimento dei fondi immobiliari BNP nell’agosto 2007, proseguita con l’insolvenza di Bear Stearns e terminata con il tracollo di Lehman Brothers, si è diffusa in tutto il Mondo e ha cambiato le vite di milioni di persone.

Non ne siamo ancora usciti e le prospettive di un suo definitivo superamento rimangono opache, perché l’accumulo dei patrimoni in sempre minori mani e la crescita delle rendite, sottraggono risorse all’economia reale.

La grande finanza alleata con i monopolisti delle tecnologie digitali e dei social imperversa e la crescita debole, non ostante l’eccesso di liquidità dovuta alle politiche espansive delle banche centrali, non rilancia l’economia lineare e non ripartisce in modo equo la ricchezza.

L’impoverimento dei ceti popolari con le crescenti difficoltà di ripresa occupazionale, per effetto di automazione e tecnologie informatiche, infiacchiscono lo Stato sociale e le democrazie occidentali, comprimono i salari e la diseguale situazione dei valori immobiliari che crescono nelle punte estreme del lusso e dell’esclusività e decrescono invece in quello medio basso, comprimono ulteriormente anche i patrimoni del ceto medio.

Questa situazione unita alle paure dell’immigrazione non governata e del terrorismo islamico, non fa che accrescere la percezione di insicurezza e precarietà che impediscono la formazione di progetti globali proposti e gestiti da una classe dirigente responsabile e all’altezza dei suoi compiti.

Pertanto non possono che aumentare le ansietà e i timori per una stagnazione secolare, dal momento che i tradizionali modelli di sviluppo del capitalismo lineare e finanziario si sono inceppati; infatti la crescita demografica è asimmetrica, il potere di acquisto si riduce, la produttività indietreggia, le innovazioni reali latitano e i paesi poveri rimangono tali senza emergere più.

Nel Nostro Paese, poi, dopo la crisi finanziaria del Monte dei Paschi, delle banche Popolari e di quelle venete, il credito al sistema produttivo si è fatto ancora più difficile e sono ancora troppo poche le nostre piccole e medie imprese che sono in grado di realizzare solidi legami di filiera.

Infatti le aziende migliori puntano a costruire piattaforme integrate, soprattutto con base territoriale, sulle quali si assestano i loro fornitori strategici che possono così avvalersi delle capacità operative e gestionali delle imprese capofila, creando, in questo modo, una coesione e capacità imprenditoriale, superiore alle dimensioni della singola impresa.

Questa modalità è il nostro specifico modo, attualmente, di superare i limiti dimensionali di un sistema produttivo troppo polverizzato, come lo erano stati negli anni passati, i distretti produttivi.

Come risulta evidente non è quindi un problema solamente di denaro che manca ( in Italia ci sono più di tremila famiglie in possesso di un capitale liquido di oltre cinquanta milioni di euro pro capite, non impiegato) è il venir meno di una capacità imprenditoriale e di una voglia di rischio che pare essersi esaurita, o meglio si è indirizzata su attività finanziario/speculativo e di rendita di posizione, piuttosto che produttive e innovative.

Luigi Pastore