Varese elevata al rango di città

“Varese al rango di Città, Milano, il 6 luglio 1816″ IL CONTE DI SAURAU Governatore.”

Il mio compito in questa sede è quello di illustrare le motivazioni maturate ed espresse dagli amministratori varesini tra il 1814 ed il 1816 e rivolte alle autorità di Milano per ottenere l’innalzamento del Borgo al grado di Città: lo farò partendo dall’esame delle carte conservate nell’Archivio Storico Comunale di Varese. Già i regesti sui fascicoli “Ricorso onde fosse conservato l’antico lustro al Comune di Varese” e “Supplica all’Imperatore per la conservazione dei Privilegi della Città”, proprio in questo marcato riferimento ad una realtà passata ci inducono, come emerge d’altronde dai dati e dalle considerazioni sviluppate poi nei testi, a rivolgere l’attenzione all’anno 1780: ad alcuni mesi di distanza era morto a Varese il Duca di Modena e Signore di Varese il 22 febbraio e nella sede imperiale di Vienna Maria Teresa il 29 novembre. Entrambi assurti poi a simboli di un’epoca, l’Imperatrice protagonista della grande storia, come incarnazione del buon governo illuminato, il duca emblema della più modesta storia locale, come sopravvivenza di un’investitura feudale, destinata ad essere esemplare per la sua unicità, e sotto questo aspetto conclusasi con lui. Il governo di Milano infatti si affrettò a far rientrare Varese nella normale organizzazione dello Stato. Tuttavia nel riordino promosso da Giuseppe II, anche per il rinnovamento impresso al Borgo dal Duca, Varese nel 1787 fu promossa a sede di provincia; esperienza che si concluse nel 1791 e Varese ritornò così sotto Milano.Con la Repubblica Cisalpina, nella suddivisione amministrativa francese, Varese ritornò capoluogo del Verbano nel 1797; soluzione transitoria, perché nel 1801 fu creato il dipartimento del Lario e Varese fu aggregata a Como: “Non vi era, tra Varese e Como, alcun motivo di continuità storica o geografica che potesse giustificare questo provvedimento, dettato esclusivamente dall’esigenza di distribuire equamente la popolazione nei diversi dipartimenti, posta l’esigenza prioritaria della riduzione delle ripartizioni amministrative”, secondo il giudizio dello storico L. Ambrosoli.Nel 1814 con la sconfitta di Napoleone e la conclusione delle grandi vicende militari che avevano ridisegnato a più riprese i confini interni dell’Europa e contribuito a modificare in maniera indelebile mentalità, orizzonti politici, esperienze religiose, principi di convivenza civile, l’antico borgo di Varese non mancò di afferrare la possibilità di soddisfare l’attesa (secolare sul versante ecclesiastico) di un innalzamento ad un ruolo qualificato e stabile nel contesto amministrativo e politico dello Stato di Milano. Il 27 giugno 1814 i Deputati della Deputazione di Varese, Piccinelli, Mozzoni Frasconi e Giudici, con la collaborazione del segretario Franzosini, predisposero un primo testo, nella forma di “supplica” o di “ricorso”, cioè che il Comune potesse conservare l’antico lustro, con la richiesta all’Imperatore che Varese fosse innalzata al grado di Città. Quando poi il governo austriaco ebbe confermato il suo controllo, ed i fatti e le informazioni si fecero localmente più chiare e sicure, il 9 luglio 1814 fu consegnata a firma di Piccinelli, Pellegrini Robbione, Rapazzini e Giuseppe Maffei, (a nome della Deputazione Provvisoria di Varese), tramite Cesare Carcano Origoni al nuovo Governatore in Milano altra richiesta: destinatario era il Feld Maresciallo Conte di Bellegarde che dal suo ingresso in Milano l’8 maggio stava avviando il ripristino della piena giurisdizione austriaca in Lombardia: i tempi dei due scritti rispecchiano quelli dell’assestamento della struttura politico-istituzionale verso la creazione del Regno Lombardo-Veneto. Uno dei primi provvedimenti degli Austriaci fu quello di ridare autonomia a taluni comuni aggregati a Varese ed il Borgo scese nel numero degli abitanti di due mila unità, dai diecimila precedenti, come era già stato recepito ed annotato nell’ultima richiesta in data 17 febbraio 1816. Poiché Bellegarde passò ad altro compito senza aver dato evasione a questa pratica, il 17 febbraio 1816 fu predisposta con alcune modificazioni altra copia del ricorso da consegnare nuovamente tramite le mani del Sig. Don Cesare Carcano Orrigoni; governatore di Milano era il conte di Saurau, successore di Belleguarde. Dell’intermediario varesino conosciamo la qualifica di “savio” presso la Municipalità di Varese da un carteggio personale contenuto nel Fondo Biblioteca Civica. Insieme con i testi contenuti nel fascicolo alle date sopra indicate, un altro testo che reca sul foglio di camicia “Supplica all’Imperatore per la conservazione dei Privilegi della Città” si colloca, nella stessa finalità, accanto agli scritti precedenti: ma, in quanto privo di indicazioni, potrebbe trattarsi di un promemoria fornito al Carcano Orrigoni o delle argomentazioni da lui sviluppate nella sua legazione. I testi messi a confronto sembrano rispecchiare una comune impostazione di fondo, illustrata con alcuni dati inerenti alla occasione storica, cioè quella poter di trarre vantaggio dal nuovo osannato vincitore, che riprendeva possesso dei suoi domini, mentre altri dati ed argomentazioni sono invece peculiari della realtà locale e rivelatori della coscienza e sensibilità degli abitanti del borgo di Varese e dei loro maggiorenti. Il testo del 27 giugno 1814 iniziava con la “supposizione che possi essere prossima una nuova organizzazione anche nel pubblico ordine amministrativo”, che induceva a dire che “… non potrebbe essere fondata che sopra le leggi più saggie quali si convengono alle Paterne cure dell’Ottimo ed Augustissimo nostro Sovrano…”. Nella relazione presentata il 9 luglio 1814 la premessa si amplia e si articola in tre complessi preamboli, che rispecchiano indubbiamente la maturazione degli avvenimenti e del giudizio espresso su di essi. Dallo sguardo rivolto all’Italia risorta al suo antico splendore, alla comune esultanza dei popoli, alla indicazione di Varese come partecipe insieme alla Capitale della Lombardia e alle primarie Città dello Stato, il discorso si volge poi alla celebrazione di Varese, secondo l’immagine di sé che negli anni 1814/1816 si riteneva orgogliosa di offrire.Le argomentazioni contenute nei diversi testi sostanzialmente concordano tra loro e giustificano per i richiedenti il possesso dei titoli grazie ai quali si chiedeva l’innalzamento di Varese a Città. Ma la categoria concettuale del “conservare” presenta una declinazione problematica nel confronto con i contenuti storici che intendeva poi portare alla luce. Infatti la parte riservata alla ricostruzione delle vicende passate si commisura con la negatività di traguardi mancati o solo temporaneamente conquistati, mentre, in positivo, solo la memoria della gloria raggiunta nel passato o delle conquiste ottenute poteva, in alcuni casi, porsi in continuità con il presente. L’elogio di Varese quindi si sviluppa così in forma chiaroscurale nel ricordare quello che il borgo di Varese era stato o sarebbe potuto essere o avrebbe potuto avere: una successione di epoche, vicende, situazioni che si identificano con esiti e esperienze esemplari, ma risoltesi nel tempo, o prematuramente concluse: un testo di natura politico-amministrativa per una conquista politica che fu ottenuta, si rivela a posteriori segnato da rimpianto e da nostalgia per un qualcosa che non si era realizzato. E invece comune, come dato positivo evocato nei testi, a base giustificativa delle richieste, il riferimento alla funzione che Varese svolge per un vasto territorio che nel Borgo Varese oramai si riconosceva: si indica l’esercizio della funzione giudiziaria sviluppatasi in connessione con la crescita civile, con una documentata ricostruzione delle fasi di questo aspetto. Invece sul versante religioso si ricordavano i floridi conventi del passato, si dava grande rilievo al Capitolo ed alla chiesa di San Vittore, sempre vicina ad ospitare un vescovato che non fu mai eretto; si esprimevano un grande elogio e profonda ammirazione per la figura di Francesco d’Este, rimpianto come persona e governante, ma anche con la consapevolezza, non esplicitamente espressa, di una realtà che con la sua scomparsa fosse rimasta senza seguito e di tante potenzialità, per il Borgo, solo parzialmente realizzate. Qui, come in altri passi relativi al Duca, i testi sono da leggersi in chiave segnatamente encomiastica.E così, nel passaggio alla seconda richiesta del 17 febbraio 1816, ci si rese conto, con un affinamento del senso storico, che la figura del Duca era quella che poteva rappresentare la carta più valida per ottenere ascolto dalle orecchie dell’Imperatore d’Austria, il vivente Francesco, figlio di Leopoldo e nipote di Giuseppe II.Si iscrive positivamente quasi eredità conseguente al ruolo impresso dal Duca al Borgo l’innalzamento di Varese a sede di Intendenza politica: il collegamento è implicito con un riconoscimento segnato da inversione cronologica dei fatti che esalta prima la concessione fatta da Giuseppe II alle due fiere annuali per poi proseguire con l’opera del Duca, in un passo che in parte trascrivo: “… Qui fino da remoti tempi furono dal cuor Clemente de’ Monarchi determinati tre mercati in ciascuna settimana. Qui fecero fiorire il commercio, e qui dall’Augusto Cesare Giuseppe II vennero concesse due annuali fiere, che feconde di vantaggi, tuttora esistono. Qui finalmente per la somma clemenza e predilezione a così Magnifico e rinomato Borgo, fu questo eretto in Signoria dalla tanto ben amata e pianta Imperatrice Regina Maria Teresa per Sua Altezza Serenissima Francesco III d’Este Duca di Modena di sempre cara e gloriosa ricordanza (…) Invidioso però il fato per tanta gloria che circondava Varese rapì il Principe all’amore e alla riconoscenza di questa Popolazione; ma non lo tolse alla memoria di quella presente e di quella futura generazione. Sebbene orfano per la perdita di questo Magnanimo Signore, (il Borgo di Varese) fu mai sempre presente a suoi sovrani, e nel 1788 fu anche distinto col destinarlo a possedere una Regia Intendenza politica Provinciale …”.La relazione prosegue illustrando altre riforme introdotte per Varese anche dalle autorità austriache dal 1791 per giungere poi alla dominazione francese e liquidarla con un amaro giudizio: “In tali adombrati tempi se tutta l’Italia ebbe a soffrire infinite modificazioni anche Varese rammenta le proprie …”.Riprendiamo ora il terzo documento compreso nello stesso carteggio. Esso supera le considerazioni particolari dei testi del 1814 e del 1816: testimonia una forte coscienza storica, animata da un non dissimulato senso critico. Tanto per chiarire la natura del documento e delle finalità che lo animano, l’elevazione di Varese a città non è neppure materialmente nominata, perché lo sguardo va oltre l’esigenza immediata di quell’obiettivo: si persegue piuttosto l’intento di dare voce alla speranza di avere il ripristino di tutte le istituzioni e funzioni pubbliche già un tempo operanti. Dopo aver illustrato con voci specifiche l’azione del governo austriaco nella attuazione del Piano Particolare del 1757, giunge ad affermare che Varese “godeva insomma di tutte quelle civiche distinzioni e prerogative che distinguono regolarmente una civile ben regolata popolazione”.La relazione poi “ex abrupto”, con una svolta intenzionale, fa cadere l’attenzione sul presente contemporaneo alla stesura del testo, e su quanto già a quel tempo non c’era più; il discorso fa un salto qualitativo e diventa voce di una coscienza che si fa forte in nome della sua identità offesa e ferita. In che cosa? Nella propria identità culturale e religiosa. In quali termini? Nella denuncia della soppressione delle scuole, nell’aver sospesa la funzione educativa svolta a servizio di giovani di un vasto territorio in scuole qualificate, nell’aver distrutto conventi con la demolizione degli edifici e la dispersione dei loro patrimoni. La responsabilità delle prime scelte erano già del governo austriaco, quella derivante dall’incameramento e dalla messa all’asta dei beni ecclesiastici erano avvenute nel periodo della dominazione francese.Per la scuola, rilevata la forza istitutiva di pie disposizioni, tese a garantire un pubblico diritto, si riconosceva la centralità dell’intervento del Duca Francesco III impegnato a trasformare il profilo e la qualità della scuola stessa: “… cessato con l’abolizione de’ Gesuiti il precedente sistema delle dette scuole / furono queste dalla beneficenza di Francesco III duca di Modena in allora Signore di Varese immediatamente con l’applicazione delle necessarie rendite / ristabilite ed accresciute; e fu il tutto ampiamente approvato e confermato dal sovrano assenso della Augustissima Madre come da reale dispaccio 14 febbraio (1774) … tutti questi vantaggi si videro svanire e perdersi.Cessarono parimenti nella massima parte le scuole pubbliche e non ne rimase che un’ombra infruttuosa …”.Alla scomparsa del Duca (possiamo noi aggiungere) seguì la soppressione di un ginnasio superiore, rimpiazzato con scuole che non potevano pareggiare più con quelle di Como, mentre nella creazione della scuola di Varese nel 1774 vi era una cattedra di filosofia con matematica e fisica immediatamente smantellata nel 1780, sostituita dalle scuole comunque ricordate nel primo documento, ma di livello inferiore: vi è infatti da notare che nel Ginnasio di Como dal 1774 insegnava Alessandro Volta, poi chiamato a Pavia, mentre il frate e matematico varesino Ippolito Bianchi svolgeva la stessa funzione nel Ginnasio di Varese: Como e Varese avevano istituzioni scolastiche di pari grado con insegnamenti impartiti secondo l’impostazione gesuitica.Il secondo rilievo riguardava i monumenti di Varese: “… Si vide per ultimo distrutto da fondamenti un convento rispettabile ed un tempio il più maestoso, il più ornato, il più ben servito che esistesse in quel circondario appartenente ai padri Conventuali; si videro aboliti due monasteri di monache e molte confraternite che ornavano il paese …”.Rimane il dubbio se con “i Conventuali” l’autore dello scritto si riferisse al Convento dei Francescani passato poi in proprietà alla Famiglia Veratti o non a quello più noto e carico di storia ed arte del Convento dell’Annunciata, passato in proprietà a Vincenzo Dandolo, dopo la soppressione del 1810. E’ probabile che la denuncia della responsabilità della demolizione del convento si riferisse, senza che se ne facesse il nome, proprio su quello da lui acquistato; e che il Dandolo divenuto uno dei primi esponenti del Borgo, la cui ascesa sociale era avvenuta sotto i Francesi, volendo allontanare recenti ostilità e diffidenze, fosse indotto a fare in quello stesso anno, come espressione insieme della sua appartenenza alla Comunità e dei suoi interessi scientifici la donazione a Varese, ora Città, di un terreno in zona pregiata con questa motivazione: “Il desiderio di fare qualche cosa che più direttamente di altre potesse riuscir grata agli abitanti di questa Città scelta già sono vent’anni in mia patria, mi inspirò da alcun tempo il pensiero di conservare a passeggio pubblico una porzione del fondo che posseggo sullo stradone della Madonnina. Un tale pensiero si è confermato anche dalla considerazione che cadendo in parte sull’accennata porzione un piantamento di filari di alberi esotici, per esso l’ideato passeggio verrebbe ad avere ornamento e comodo …”. Questa donazione, che il figlio Tullio perfezionò con atto notarile nel 1827, ci pone indirettamente di fronte ad un aspetto essenziale della comunità varesina relativo alla fisionomia sociale assunta dal borgo con le profonde trasformazioni che incisero anche sul regime patrimoniale con l’incameramento dell’asse ecclesiastico, con un interrogativo di fondo: chi erano e come vivevano gli 8000 mila Varesini nel 1816 per i quali si chiedeva l’innalzamento a città?Dopo aver solo e comunque segnalata l’importanza di questo aspetto, meritevole di ben altra attenzione e competente ricostruzione, ritorniamo al testo sopra citato.L’estensore di quelle note ci ha offerto implicitamente – nella sottolineatura espressa per contrasto ai segni monumentali delle precedenti generazioni distrutti e alle istituzioni (di cui la scuola è l’espressione più alta) soppresse – i tratti ideali e costitutivi di una comunità di cui la forma di “città” può essere solo un accidente storico e di natura estrinseca. Si potrebbe rilevare che manchi in questo documento un accenno esplicito all’ambiente, alla “natura loci”, ma il dato ambientale è rilevato, in questo momento, nell’aspetto funzionale della vocazione mercantile del Borgo, nato e cresciuto come luogo di naturali confluenze anche da terre lontane.Vorrei chiudere l’esame di questi testi evocati nella celebrazione dell’esito allora raggiunto di diventare “Città” con due testimonianze che delineano sull’arco del tempo l’emergere, il perdurare ed il rinnovarsi di alcuni tratti della coscienza idenditaria di Varese: dal discorso funebre tenuto l’11 marzo 1780 dal frate cappuccino Ferdinando da Varese, in commemorazione del defunto Signore di Varese Francesco III, e dal discorso tenuto il 21 ottobre 1908 dal dott. Luigi Zanzi, ri-fondatore della scuola ginnasiale a Varese.Su quali dati il frate incentrò il suo discorso? In primo luogo sullo sguardo di predilezione da lungo tempo rivolto dal Duca a questo territorio, caratterizzato dal fascino dei suoi paesaggi, che lo indusse a scegliere Varese come sua sede (per dirla alla latina, dall’ “amoenitas et natura loci”, cioè dalla bellezza naturale del luogo); con la costruzione di questa ducale delizia (cioè con gli interventi destinati a lasciare memoria visiva nella strutturazione degli spazi, “opera et monumenta”); infine con provvedimenti sociali destinati a durare al servizio della Comunità (cioè con principi ideali ispiratori di istituzioni per le generazioni, civitatis mores et instituta”): e fece questo per aver conservato a Varese le rendite del capitale dei soppressi Gesuiti, impiegate nelle scuole, nell’aumento dei redditi dell’ospedale, nella redenzione a favore delle cinque parrocchie dal pagamento delle decime, in opere pubbliche… E noi possiamo aggiungere: con la creazione di un teatro!Che cosa ricordava il dott. Luigi Zanzi riaprendo a Varese un ginnasio pubblico nel 1908 ?: ” Quella d’oggi non è una festa, ma una iniziazione raccolta e modesta per una scuola … che è chiamata a diventare non solo un istituto educativo al quale le famiglie della regione Varesina affideranno secure i loro figli, ma altresì un centro di coltura e di italianità in questa meravigliosa plaga dei laghi e delle Prealpi, ai confini della Patria”.

Già i regesti sui fascicoli “Ricorso onde fosse conservato l’antico lustro al Comune di Varese” e “Supplica all’Imperatore per la conservazione dei Privilegi della Città”, proprio in questo marcato riferimento ad una realtà passata ci inducono, come emerge d’altronde dai dati e dalle considerazioni sviluppate poi nei testi, a rivolgere l’attenzione all’anno 1780: ad alcuni mesi di distanza era morto a Varese il Duca di Modena e Signore di Varese il 22 febbraio e nella sede imperiale di Vienna Maria Teresa il 29 novembre. Entrambi assurti poi a simboli di un’epoca, l’Imperatrice protagonista della grande storia, come incarnazione del buon governo illuminato, il duca emblema della più modesta storia locale, come sopravvivenza di un’investitura feudale, destinata ad essere esemplare per la sua unicità, e sotto questo aspetto conclusasi con lui. Il governo di Milano infatti si affrettò a far rientrare Varese nella normale organizzazione dello Stato. Tuttavia nel riordino promosso da Giuseppe II, anche per il rinnovamento impresso al Borgo dal Duca, Varese nel 1787 fu promossa a sede di provincia; esperienza che si concluse nel 1791 e Varese ritornò così sotto Milano.Con la Repubblica Cisalpina, nella suddivisione amministrativa francese, Varese ritornò capoluogo del Verbano nel 1797; soluzione transitoria, perché nel 1801 fu creato il dipartimento del Lario e Varese fu aggregata a Como: “Non vi era, tra Varese e Como, alcun motivo di continuità storica o geografica che potesse giustificare questo provvedimento, dettato esclusivamente dall’esigenza di distribuire equamente la popolazione nei diversi dipartimenti, posta l’esigenza prioritaria della riduzione delle ripartizioni amministrative”, secondo il giudizio dello storico L. Ambrosoli.Nel 1814 con la sconfitta di Napoleone e la conclusione delle grandi vicende militari che avevano ridisegnato a più riprese i confini interni dell’Europa e contribuito a modificare in maniera indelebile mentalità, orizzonti politici, esperienze religiose, principi di convivenza civile, l’antico borgo di Varese non mancò di afferrare la possibilità di soddisfare l’attesa (secolare sul versante ecclesiastico) di un innalzamento ad un ruolo qualificato e stabile nel contesto amministrativo e politico dello Stato di Milano. Il 27 giugno 1814 i Deputati della Deputazione di Varese, Piccinelli, Mozzoni Frasconi e Giudici, con la collaborazione del segretario Franzosini, predisposero un primo testo, nella forma di “supplica” o di “ricorso”, cioè che il Comune potesse conservare l’antico lustro, con la richiesta all’Imperatore che Varese fosse innalzata al grado di Città. Quando poi il governo austriaco ebbe confermato il suo controllo, ed i fatti e le informazioni si fecero localmente più chiare e sicure, il 9 luglio 1814 fu consegnata a firma di Piccinelli, Pellegrini Robbione, Rapazzini e Giuseppe Maffei, (a nome della Deputazione Provvisoria di Varese), tramite Cesare Carcano Origoni al nuovo Governatore in Milano altra richiesta: destinatario era il Feld Maresciallo Conte di Bellegarde che dal suo ingresso in Milano l’8 maggio stava avviando il ripristino della piena giurisdizione austriaca in Lombardia: i tempi dei due scritti rispecchiano quelli dell’assestamento della struttura politico-istituzionale verso la creazione del Regno Lombardo-Veneto. Uno dei primi provvedimenti degli Austriaci fu quello di ridare autonomia a taluni comuni aggregati a Varese ed il Borgo scese nel numero degli abitanti di due mila unità, dai diecimila precedenti, come era già stato recepito ed annotato nell’ultima richiesta in data 17 febbraio 1816. Poiché Bellegarde passò ad altro compito senza aver dato evasione a questa pratica, il 17 febbraio 1816 fu predisposta con alcune modificazioni altra copia del ricorso da consegnare nuovamente tramite le mani del Sig. Don Cesare Carcano Orrigoni; governatore di Milano era il conte di Saurau, successore di Belleguarde. Dell’intermediario varesino conosciamo la qualifica di “savio” presso la Municipalità di Varese da un carteggio personale contenuto nel Fondo Biblioteca Civica. Insieme con i testi contenuti nel fascicolo alle date sopra indicate, un altro testo che reca sul foglio di camicia “Supplica all’Imperatore per la conservazione dei Privilegi della Città” si colloca, nella stessa finalità, accanto agli scritti precedenti: ma, in quanto privo di indicazioni, potrebbe trattarsi di un promemoria fornito al Carcano Orrigoni o delle argomentazioni da lui sviluppate nella sua legazione. I testi messi a confronto sembrano rispecchiare una comune impostazione di fondo, illustrata con alcuni dati inerenti alla occasione storica, cioè quella poter di trarre vantaggio dal nuovo osannato vincitore, che riprendeva possesso dei suoi domini, mentre altri dati ed argomentazioni sono invece peculiari della realtà locale e rivelatori della coscienza e sensibilità degli abitanti del borgo di Varese e dei loro maggiorenti. Il testo del 27 giugno 1814 iniziava con la “supposizione che possi essere prossima una nuova organizzazione anche nel pubblico ordine amministrativo”, che induceva a dire che “… non potrebbe essere fondata che sopra le leggi più saggie quali si convengono alle Paterne cure dell’Ottimo ed Augustissimo nostro Sovrano…”. Nella relazione presentata il 9 luglio 1814 la premessa si amplia e si articola in tre complessi preamboli, che rispecchiano indubbiamente la maturazione degli avvenimenti e del giudizio espresso su di essi. Dallo sguardo rivolto all’Italia risorta al suo antico splendore, alla comune esultanza dei popoli, alla indicazione di Varese come partecipe insieme alla Capitale della Lombardia e alle primarie Città dello Stato, il discorso si volge poi alla celebrazione di Varese, secondo l’immagine di sé che negli anni 1814/1816 si riteneva orgogliosa di offrire.Le argomentazioni contenute nei diversi testi sostanzialmente concordano tra loro e giustificano per i richiedenti il possesso dei titoli grazie ai quali si chiedeva l’innalzamento di Varese a Città. Ma la categoria concettuale del “conservare” presenta una declinazione problematica nel confronto con i contenuti storici che intendeva poi portare alla luce. Infatti la parte riservata alla ricostruzione delle vicende passate si commisura con la negatività di traguardi mancati o solo temporaneamente conquistati, mentre, in positivo, solo la memoria della gloria raggiunta nel passato o delle conquiste ottenute poteva, in alcuni casi, porsi in continuità con il presente. L’elogio di Varese quindi si sviluppa così in forma chiaroscurale nel ricordare quello che il borgo di Varese era stato o sarebbe potuto essere o avrebbe potuto avere: una successione di epoche, vicende, situazioni che si identificano con esiti e esperienze esemplari, ma risoltesi nel tempo, o prematuramente concluse: un testo di natura politico-amministrativa per una conquista politica che fu ottenuta, si rivela a posteriori segnato da rimpianto e da nostalgia per un qualcosa che non si era realizzato. E invece comune, come dato positivo evocato nei testi, a base giustificativa delle richieste, il riferimento alla funzione che Varese svolge per un vasto territorio che nel Borgo Varese oramai si riconosceva: si indica l’esercizio della funzione giudiziaria sviluppatasi in connessione con la crescita civile, con una documentata ricostruzione delle fasi di questo aspetto. Invece sul versante religioso si ricordavano i floridi conventi del passato, si dava grande rilievo al Capitolo ed alla chiesa di San Vittore, sempre vicina ad ospitare un vescovato che non fu mai eretto; si esprimevano un grande elogio e profonda ammirazione per la figura di Francesco d’Este, rimpianto come persona e governante, ma anche con la consapevolezza, non esplicitamente espressa, di una realtà che con la sua scomparsa fosse rimasta senza seguito e di tante potenzialità, per il Borgo, solo parzialmente realizzate. Qui, come in altri passi relativi al Duca, i testi sono da leggersi in chiave segnatamente encomiastica.E così, nel passaggio alla seconda richiesta del 17 febbraio 1816, ci si rese conto, con un affinamento del senso storico, che la figura del Duca era quella che poteva rappresentare la carta più valida per ottenere ascolto dalle orecchie dell’Imperatore d’Austria, il vivente Francesco, figlio di Leopoldo e nipote di Giuseppe II.Si iscrive positivamente quasi eredità conseguente al ruolo impresso dal Duca al Borgo l’innalzamento di Varese a sede di Intendenza politica: il collegamento è implicito con un riconoscimento segnato da inversione cronologica dei fatti che esalta prima la concessione fatta da Giuseppe II alle due fiere annuali per poi proseguire con l’opera del Duca, in un passo che in parte trascrivo: “… Qui fino da remoti tempi furono dal cuor Clemente de’ Monarchi determinati tre mercati in ciascuna settimana. Qui fecero fiorire il commercio, e qui dall’Augusto Cesare Giuseppe II vennero concesse due annuali fiere, che feconde di vantaggi, tuttora esistono. Qui finalmente per la somma clemenza e predilezione a così Magnifico e rinomato Borgo, fu questo eretto in Signoria dalla tanto ben amata e pianta Imperatrice Regina Maria Teresa per Sua Altezza Serenissima Francesco III d’Este Duca di Modena di sempre cara e gloriosa ricordanza (…) Invidioso però il fato per tanta gloria che circondava Varese rapì il Principe all’amore e alla riconoscenza di questa Popolazione; ma non lo tolse alla memoria di quella presente e di quella futura generazione. Sebbene orfano per la perdita di questo Magnanimo Signore, (il Borgo di Varese) fu mai sempre presente a suoi sovrani, e nel 1788 fu anche distinto col destinarlo a possedere una Regia Intendenza politica Provinciale …”.La relazione prosegue illustrando altre riforme introdotte per Varese anche dalle autorità austriache dal 1791 per giungere poi alla dominazione francese e liquidarla con un amaro giudizio: “In tali adombrati tempi se tutta l’Italia ebbe a soffrire infinite modificazioni anche Varese rammenta le proprie …”.Riprendiamo ora il terzo documento compreso nello stesso carteggio. Esso supera le considerazioni particolari dei testi del 1814 e del 1816: testimonia una forte coscienza storica, animata da un non dissimulato senso critico. Tanto per chiarire la natura del documento e delle finalità che lo animano, l’elevazione di Varese a città non è neppure materialmente nominata, perché lo sguardo va oltre l’esigenza immediata di quell’obiettivo: si persegue piuttosto l’intento di dare voce alla speranza di avere il ripristino di tutte le istituzioni e funzioni pubbliche già un tempo operanti. Dopo aver illustrato con voci specifiche l’azione del governo austriaco nella attuazione del Piano Particolare del 1757, giunge ad affermare che Varese “godeva insomma di tutte quelle civiche distinzioni e prerogative che distinguono regolarmente una civile ben regolata popolazione”.La relazione poi “ex abrupto”, con una svolta intenzionale, fa cadere l’attenzione sul presente contemporaneo alla stesura del testo, e su quanto già a quel tempo non c’era più; il discorso fa un salto qualitativo e diventa voce di una coscienza che si fa forte in nome della sua identità offesa e ferita. In che cosa? Nella propria identità culturale e religiosa. In quali termini? Nella denuncia della soppressione delle scuole, nell’aver sospesa la funzione educativa svolta a servizio di giovani di un vasto territorio in scuole qualificate, nell’aver distrutto conventi con la demolizione degli edifici e la dispersione dei loro patrimoni. La responsabilità delle prime scelte erano già del governo austriaco, quella derivante dall’incameramento e dalla messa all’asta dei beni ecclesiastici erano avvenute nel periodo della dominazione francese.Per la scuola, rilevata la forza istitutiva di pie disposizioni, tese a garantire un pubblico diritto, si riconosceva la centralità dell’intervento del Duca Francesco III impegnato a trasformare il profilo e la qualità della scuola stessa: “… cessato con l’abolizione de’ Gesuiti il precedente sistema delle dette scuole / furono queste dalla beneficenza di Francesco III duca di Modena in allora Signore di Varese immediatamente con l’applicazione delle necessarie rendite / ristabilite ed accresciute; e fu il tutto ampiamente approvato e confermato dal sovrano assenso della Augustissima Madre come da reale dispaccio 14 febbraio (1774) … tutti questi vantaggi si videro svanire e perdersi.Cessarono parimenti nella massima parte le scuole pubbliche e non ne rimase che un’ombra infruttuosa …”.Alla scomparsa del Duca (possiamo noi aggiungere) seguì la soppressione di un ginnasio superiore, rimpiazzato con scuole che non potevano pareggiare più con quelle di Como, mentre nella creazione della scuola di Varese nel 1774 vi era una cattedra di filosofia con matematica e fisica immediatamente smantellata nel 1780, sostituita dalle scuole comunque ricordate nel primo documento, ma di livello inferiore: vi è infatti da notare che nel Ginnasio di Como dal 1774 insegnava Alessandro Volta, poi chiamato a Pavia, mentre il frate e matematico varesino Ippolito Bianchi svolgeva la stessa funzione nel Ginnasio di Varese: Como e Varese avevano istituzioni scolastiche di pari grado con insegnamenti impartiti secondo l’impostazione gesuitica.Il secondo rilievo riguardava i monumenti di Varese: “… Si vide per ultimo distrutto da fondamenti un convento rispettabile ed un tempio il più maestoso, il più ornato, il più ben servito che esistesse in quel circondario appartenente ai padri Conventuali; si videro aboliti due monasteri di monache e molte confraternite che ornavano il paese …”.Rimane il dubbio se con “i Conventuali” l’autore dello scritto si riferisse al Convento dei Francescani passato poi in proprietà alla Famiglia Veratti o non a quello più noto e carico di storia ed arte del Convento dell’Annunciata, passato in proprietà a Vincenzo Dandolo, dopo la soppressione del 1810. E’ probabile che la denuncia della responsabilità della demolizione del convento si riferisse, senza che se ne facesse il nome, proprio su quello da lui acquistato; e che il Dandolo divenuto uno dei primi esponenti del Borgo, la cui ascesa sociale era avvenuta sotto i Francesi, volendo allontanare recenti ostilità e diffidenze, fosse indotto a fare in quello stesso anno, come espressione insieme della sua appartenenza alla Comunità e dei suoi interessi scientifici la donazione a Varese, ora Città, di un terreno in zona pregiata con questa motivazione: “Il desiderio di fare qualche cosa che più direttamente di altre potesse riuscir grata agli abitanti di questa Città scelta già sono vent’anni in mia patria, mi inspirò da alcun tempo il pensiero di conservare a passeggio pubblico una porzione del fondo che posseggo sullo stradone della Madonnina. Un tale pensiero si è confermato anche dalla considerazione che cadendo in parte sull’accennata porzione un piantamento di filari di alberi esotici, per esso l’ideato passeggio verrebbe ad avere ornamento e comodo …”. Questa donazione, che il figlio Tullio perfezionò con atto notarile nel 1827, ci pone indirettamente di fronte ad un aspetto essenziale della comunità varesina relativo alla fisionomia sociale assunta dal borgo con le profonde trasformazioni che incisero anche sul regime patrimoniale con l’incameramento dell’asse ecclesiastico, con un interrogativo di fondo: chi erano e come vivevano gli 8000 mila Varesini nel 1816 per i quali si chiedeva l’innalzamento a città?Dopo aver solo e comunque segnalata l’importanza di questo aspetto, meritevole di ben altra attenzione e competente ricostruzione, ritorniamo al testo sopra citato.L’estensore di quelle note ci ha offerto implicitamente – nella sottolineatura espressa per contrasto ai segni monumentali delle precedenti generazioni distrutti e alle istituzioni (di cui la scuola è l’espressione più alta) soppresse – i tratti ideali e costitutivi di una comunità di cui la forma di “città” può essere solo un accidente storico e di natura estrinseca. Si potrebbe rilevare che manchi in questo documento un accenno esplicito all’ambiente, alla “natura loci”, ma il dato ambientale è rilevato, in questo momento, nell’aspetto funzionale della vocazione mercantile del Borgo, nato e cresciuto come luogo di naturali confluenze anche da terre lontane.Vorrei chiudere l’esame di questi testi evocati nella celebrazione dell’esito allora raggiunto di diventare “Città” con due testimonianze che delineano sull’arco del tempo l’emergere, il perdurare ed il rinnovarsi di alcuni tratti della coscienza idenditaria di Varese: dal discorso funebre tenuto l’11 marzo 1780 dal frate cappuccino Ferdinando da Varese, in commemorazione del defunto Signore di Varese Francesco III, e dal discorso tenuto il 21 ottobre 1908 dal dott. Luigi Zanzi, ri-fondatore della scuola ginnasiale a Varese.Su quali dati il frate incentrò il suo discorso? In primo luogo sullo sguardo di predilezione da lungo tempo rivolto dal Duca a questo territorio, caratterizzato dal fascino dei suoi paesaggi, che lo indusse a scegliere Varese come sua sede (per dirla alla latina, dall’ “amoenitas et natura loci”, cioè dalla bellezza naturale del luogo); con la costruzione di questa ducale delizia (cioè con gli interventi destinati a lasciare memoria visiva nella strutturazione degli spazi, “opera et monumenta”); infine con provvedimenti sociali destinati a durare al servizio della Comunità (cioè con principi ideali ispiratori di istituzioni per le generazioni, civitatis mores et instituta”): e fece questo per aver conservato a Varese le rendite del capitale dei soppressi Gesuiti, impiegate nelle scuole, nell’aumento dei redditi dell’ospedale, nella redenzione a favore delle cinque parrocchie dal pagamento delle decime, in opere pubbliche… E noi possiamo aggiungere: con la creazione di un teatro!Che cosa ricordava il dott. Luigi Zanzi riaprendo a Varese un ginnasio pubblico nel 1908 ?: ” Quella d’oggi non è una festa, ma una iniziazione raccolta e modesta per una scuola … che è chiamata a diventare non solo un istituto educativo al quale le famiglie della regione Varesina affideranno secure i loro figli, ma altresì un centro di coltura e di italianità in questa meravigliosa plaga dei laghi e delle Prealpi, ai confini della Patria”.

Renzo Talamona