Il Sahara algerino, l’Eldorado del pomodoro

Liberamente tratto da “Le monde diplomatique” di maggio 2016 da Chiara Del Nero

 

Siamo sulla strada nazionale 83 che raccorda Tebessa a Biskra; gli unici colori esistenti, qui, sono il giallo, il grigio, a volte il rosa; niente verde, naturalmente.

Il paesaggio è di grande fascino.

D’estate la temperatura diventa insopportabile…nulla quindi può crescere in un simile ambiente.

Eppure, lungo la strada o una laterale, uno spettacolo stupefacente si offre allo sguardo del turista: appaiono, qui e là, a perdita d’occhio, serre a forma di tunnel come lunghi corridoi di plastica.

All’interno, in un’atmosfera tiepida e umida, file infinite di piante di pomodori dai frutti perfettamente tondi e della stessa specie detta la tofana.

Una varietà standard , grossa e vigorosa.

Da qualche anno, da dicembre a marzo, quasi tutti i pomodori che si consumano in Algeria provengono da questi luoghi.

Questi “pomodori d’inverno” dal gusto “fiacco” e che marciscono velocemente, non possono essere coltivati più a nord perché d’inverno fa troppo freddo.

Malgrado costino molto, i consumatori li richiedono sempre di più e soltanto d’estate, quando arriva la produzione da nord, coltivata in campo aperto, i prezzi si abbassano.

La povertà del suolo richiede fertilizzanti chimici in quantità e specialmente azoto, fosfato e potassio e le radici che non possono dirsi aeree, sono comunque molto superficiali e non scendono in profondità, assorbendo così tutto quanto sparso sul terreno.

Dove si trova l’acqua necessaria per una simile impresa?

E’ sbagliato pensare che manchi: basta scavare.

Sotto il Sahara vi sono immense riserve d’acqua per la maggior parte “imprigionate” da tempi immemorabili a differenti profondità e così come le più profonde si possono trovare anche a duemila metri sotto terra, le più superficiali sono a portata di mano: tra i dieci e i trecento metri.

Con ventimila euro euro chiunque può scavare e costruire un impianto e questa zona meridionale algerina è diventata una miniera d’oro per tanti che sono oltretutto agevolati da prestiti statali tax-free.

Una vera manna per chi vuole mettersi in questa impresa.

Una sinergia dunque tra Stato (che ha costruito strade e elettrificato questa parte immensa del paese) e privato.

Questa zona famosa per i suoi datteri, sta diventando quindi una sorta di teatro della corsa all’oro con grandi, oltre che piccoli, investitori che con sessantamila euro possono permettersi una serra ricoperta da un unico tunnel di plastica di un ettaro  e mezzo (il modello più utilizzato alle isole Canarie), pari a trentasette tunnel serra del modello più piccolo.

A metà marzo circa, una volta concluso il ciclo invernale dei pomodori, vengono seminati meloni e angurie che arrivano così sulle tavole degli algerini ben prima dei frutti della zona più a nord. Si stanno creando grandi ricchezze personali e molti reinvestono piantando palme da dattero, frutto prezioso, esportabile e che richiede certo meno cura di una pianta di pomodoro.

Ad oggi si contano diciotto milioni di palme da dattero presenti in tutto il paese e aumentano le ricchezze di una classe sociale legata alle proprietà terriere, aumentano le presenze nei villaggi che crescono velocemente e si sviluppa l’impresa edile “di lusso”.

Di solito i pomodori raccolti arrivano sugli scaffali dei supermercati entro trentasei o quarantotto ore e gli algerini, memori della carestia che li colpì negli anni 1960 e 1990, non vogliono più soffrire la fame e ne sono ben felici.

Un sogno, certamente.

Ma dai risvolti tragici.

Questi pomodori non potrebbero crescere se non fossero bombardati con dosi massicce di pesticidi, acaricidi, fungicidi, insetticidi, diserbanti, battericidi ecc..

Le norme sanitarie esistono anche qui ma i controlli sono inesistenti, con grave pericolo per i consumatori.

Simili prodotti non potrebbero mai essere venduti in Europa.

Oltre l’inquinamento chimico si è venuto a creare un problema di inquinamento idrico.

Per millenni l’uomo ha ben preservato e protetto le oasi e le loro acque, risparmiandole e riciclandole con vari sistemi, conscio dell’importanza vitale di tale elemento.

Oggi in virtù di queste coltivazioni il bisogno d’acqua si è moltiplicato a dismisura e ognuno scava senza riserve e sempre più in profondità, impoverendo ed esaurendo vene d’acqua millenarie. L’acqua, utilizzata anche per i bisogni domestici e alimentari,  non si esaurirà a breve termine perché le riserve sono immense ma corre il pericolo di inquinamento ed è ormai vicina alla non potabilità.

Nitrati, cloruro, solfati, ammonio….non si contano più gli elementi inquinanti.

Se non bastasse questo disastro, eccone un altro:  l’acqua richiamata in superficie (anche da trecento metri di profondità) forma delle stagnazioni molto estese perché il terreno non assorbe più di tanto e le radici delle palme da dattero marciscono inevitabilmente a migliaia.

Inoltre l’acqua che proviene dalle profondità è carica di sali minerali che, con la fuoriuscita e la forte conseguente evaporazione dovuta all’alta temperatura, creano sul suolo delle croste spesse e dense che rendono i terreni definitivamente inadatti alle colture.

Il deserto è enorme e una serra non vive più di tre anni.

Ma basta spostarsi e il lavoro ricomincia più avanti.

Tutto ciò, non lo abbiamo ancora detto, comporta una enorme quantità di mano d’opera.

Ricchezza, lavoro, inquinamento, pericolo sanitario e per la salute vanno quindi a braccetto.

Perfino la mentalità religiosa incide fortemente su quanto avviene e gli imprenditori, gli operai, e in genere chiunque operi al mantenimento e all’accrescimento di questo sistema perverso, avvisato del pericolo che corre, ti guarda fatalista e pronuncia le fatidiche parole: “ Ma cosa vuole, lo sa anche lei…la nostra vita è nelle mani di Dio…”.

Lavorano senza protezione alcuna come Habib, trovato a polverizzare gli antiacari, che ti risponde: “Lo so che mi fa male, ma è così…”

Lo Stato non interviene ben sapendo che migliaia di trivellazioni abusive ogni anno sconvolgono l’equilibrio del terreno; d’altronde chi interverrebbe in un sistema in cui ognuno guadagna qualcosa (non in salute!) ?

Gli aiuti statali vanno per l’ottanta per cento ai grossi investitori e per il restante venti ai piccoli; così tutti sono contenti.

Tuttavia i “piccoli” stanno sparendo lentamente, sopraffatti dalla forza dei grossi investitori che danno lavoro ad una massa enorme di operai e contribuiscono in tal modo ad una sorta di pace sociale.

Lo Stato preferisce che i giovani lavorino e guadagnino piuttosto che vadano a protestare nelle strade o reclamino aiuti e pur sapendo che il rischio di degrado ecologico è irreversibile anche se ancora poco visibile.

Tutto si mescola e questo fenomeno o modello di sviluppo sta portando con sé anche un certo sviluppo industriale.

A Biskra stanno nascendo industrie agroalimentari e conserviere ma anche cementifici e fabbriche di cavi elettrici ai quali si aggiungono, per ora, ventisei nuovi alberghi in costruzione per un rilancio del turismo.

A questo ritmo, il pomodoro di Biskra ha un bell’avvenire davanti a sé.