Il monumento a Paolo VI al Sacro Monte di Varese

Lo scorso 24 maggio ricorreva il trentesimo anniversario dell’inaugurazione del monumento a Paolo VI al Sacro Monte di Varese.

Voluto dall’allora arciprete Mons. Paquale Macchi, già segretario di Papa Montini,  il monumento bronzeo realizzato dallo scultore Floriano Bodini è il secondo di una serie di ritratti del pontefice che l’artista ha creato durante il proprio percorso artistico: il primo, “Ritratto di un Papa” risale al 1968 realizzato in legno di cirmolo oggi conservato ai Musei Vaticani, il terzo è il monumento marmoreo nel duomo di Milano ed il quarto il busto in marmo di Carrara per la Sala Nervi in Vaticano.

L’inaugurazione del monumento fu un grande evento con ospiti illustri tra cui l’allora Ministro degli Esteri Giulio Andreotti, il Ministro Zamberletti  e il Segretario di Stato Vaticano Card. Casaroli.

Di seguito il testo che Don Giorno Basadonna scrisse per la presentazione del monumento descrivendo l’opera e la simbologia in essa presente.

Michele Castelletti

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Nell’abbraccio di Paolo VI

Salendo in orazione al Sacro Monte, d’un tratto si scorge quasi sospesa sul vuoto un’ombra ché via via si fa più concreta e incombe sull’ultima rampa della salita.

Chino verso il pellegrino che sale, quasi per incoraggiarlo e nello stesso tempo invitarlo a un’altezza superiore, nell’ampio vestito liturgico che gli dona consistenza e suggestività, appare Paolo VI nello slancio ospitale della sua figura viva e palpitante nel bronzo.

In ginocchio sul cuscino soffice e duro che lo sostiene, Paolo VI si protende su tutta la pendice del monte e quasi si stacca dalla roccia per farsi incontro a chi sale, e per invitare chi ancora è giù nella pianura e forse non pensa nemmeno ad avvicinarsi al mistero che quassù è di casa.

Perché Bodini — l’artista che ha reso così vivo il suo Papa nella poderosa monumentalità della scultura — ha fatto quelle mani così vistose, così tese e aperte, quasi a sfidare l’equilibrio e le misure di un realismo troppo facile?

Perché quelle mani che si protendono accoglienti e si fanno notare per prime, e quasi assorbono l’attenzione di chi guarda, perché quel gesto che sembra imperativo e violento ed esige un riscontro?

È una domanda che sale subito alla mente e al cuore di chi guarda: ed è il primo messaggio di questo Paolo VI del Sacro Monte. Sono le mani che si aprono alla ospitalità, alla stretta amichevole e cordiale, le mani che hanno trasmesso innumerevoli volte la carità, l’attenzione, la condivisione appassionata di lui con tutto il bene e il dolore del mondo, con le persone, i malati, i bambini, i grandi e gli umili. Sono le mani che lungo il suo ministero sacerdotale hanno benedetto e consacrato la misera realtà umana infondendovi la forza divina del Dio fatto uomo, le mani che hanno significato la partecipazione di Dio stesso alla vicenda umana. Sono le mani stese come nel gesto liturgico che sulle offerte sacrificali invoca lo Spirito, e lo trasmette nelle imposizioni sacramentali della Cresima e della ordinazione sacerdotale ed episcopale. Sono le mani aperte a cogliere e prolungare la tradizione della Chiesa, dal Cristo storico al Cristo mistico fino alla fine dei secoli.

Floriano Bodini, Paolo VI (1986), bronzo. Sacro Monte di Varese . Foto Pepi Merisio/Archivio Bodini
Floriano Bodini, Paolo VI, bronzo. Sacro Monte di Varese (Foto Pepi Merisio/Archivio Bodini)

Ora le sue mani protese indicano un’altra ascensione, un altro monte da raggiungere nella quotidiana ascesi sostenuta dalla fede e dalla speranza, sono le mani che offrono una certezza ornai solida ed eterna. Sono le mani che indicano quella meta che Lui già gode, quel Cielo e quell’eterno che, sospiro e anelito di tutti, ora sono realtà di Lui vivente nell’eterna beatitudine di Dio.

A dire tutto questo, oltre la forma materiale stessa con cui si articola il gesto, è anche il volto così preciso e così reale e al tempo stesso così al di là del tempo e dello spazio.

Appare il volto caratteristico di Paolo VI, con la sua espressione severa e dolce, tesa e aperta, pensosa ed eloquente, il volto in cui si può leggere tutta la sua ammirazione per «questo mondo immenso, misterioso, magnifico», tutta l’ansia per «questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena», «questa terra dolorosa, drammatica e magnifica».

Si legge in questo volto l’amore tenero e appassionato, drammatico e sofferto per l’umanità, per la Chiesa, per tutti e ciascuno: da questo volto traspare l’ansia di comprendere il mistero del vivere, il dramma della storia di una umanità così travagliata eppure salvata dal sangue prezioso di Cristo.

L’arte di Bodini ha saputo imprimere sotto la mitria così pesante, il tormento e l’estasi di questo Papa così grande, il suo pensiero e la sua cultura, ricerca instancabile nei meandri dell’uomo e nel mistero del Dio che si rivela, la capacità di assumere nella propria mente i riverberi luminosi dell’unica verità disseminata nelle pallide espressioni dell’umanità di sempre.

È il fascino dei discorsi di Paolo VI così pregnanti di sacro e di umano, così carichi di amore e di passione, di luce e di richiamo rispettoso e coraggioso.

Dalla cima puntita della grande mitria scende il ritmo flessuoso del manto che tutta ricopre la figura inginocchiata nella preghiera e unisce cielo e terra, Dio e gli uomini: il manto conduce e avvolge la persona creando così una intimità sacra che quasi incute timore e impone silenzio contemplativo ma non separa né allontana, invitando invece a entrare in quel clima per godere la pienezza di un mistero che si rivela e di un amore che si dona.

Seguendo le linee del manto si scopre il significato completo di questa scultura: è il pastore della Chiesa, è Pietro a cui Gesù affida le sue pecore per le quali ha dato e dona la vita, e per le quali Paolo VI ha speso tutto se stesso, la sua intelligenza, la sua sensibilità, in un dono quotidianamente sofferto.

È Paolo VI, il papa del Concilio, del Sinodo introdotto nella vita della Chiesa, dei primi grandi pellegrinaggi nel mondo per incontrare dappertutto l’uomo figlio di Dio consapevole o no di questa sua dignità e aiutarlo a ritrovare e realizzare il suo grandioso destino.

Le pecore a grandezza naturale, così concrete che sembrano vive, formano il basamento dell’opera monumentale di Bodini e vogliono indicare la preoccupazione di sempre che ha abitato l’animo di papa Montini, l’ansia delle anime da salvare, dell’evangelo da annunciare a tutti.

Si crea così anche un ambiente familiare, un’accoglienza ospitale, dove la ciotola indica il sapore di casa, e offre quel ristoro e quella pace che ciascuno vuole trovare e che la Chiesa offre, la sua Chiesa amata come una madre.

Appare qui la dedizione filiale di Paolo VI che ha voluto servire la Chiesa amandola e rendendola più luminosa, più aperta, più accogliente, e perciò più esigente e più coerente con il mistero che contiene.

C’è un teschio che emerge da sotto le pieghe del manto: è il perenne ricordo della morte che Paolo VI coltivava per meglio capire il suo ministero, il suo servizio, la sua responsabilità di pastore.

Non è un richiamo negativo, né un incubo: è il continuo stimolo a «fare presto, fare tutto, fare bene, fare lietamente», è la luce che fa capire il valore dei doni ricevuti e conduce ad amare di più per offrire a tutti ciò che sente dentro di sé.

Quel segno di morte dice bene tutta la vita e ricorda a tutti la figura dolcissima di Paolo VI, il suo delicato e tenero animo così sensibile e così aperto verso l’uomo: «O uomini comprendetemi; tutti vi amo nella effusione dello Spirito santo… Così vi guardo, così vi saluto, così vi benedico. Tutti».

A noi non resta che deporre un mazzo di fiori davanti a questa figura di umanità, di vita, di fede, di speranza, di amore, per dire devozione, riconoscenza, preghiera, e desiderio di non vanificare la sua azione, il suo insegnamento, il suo esempio affascinante.

È quel mazzo di fiori che Bodini lascia apparire,, dalle pieghe del manto alla base del monumento, Oasi come il suo e il nostro segno di affetto filiale che vuole durare per sempre.

Giorgio Basadonna