Non si può accogliere chiunque

Pubblichiamo per gentile concessione dell’autore l’articolo apparso ieri sul Corriere del Ticino

Non c’è dubbio che sull’angoscioso tema dell’accoglienza ai profughi, l’Europa abbia finalmente intrapreso una strada solidale e coraggiosa. Speriamo non temeraria. Inutili le chiusure solitarie, inaccettabili i muri, necessaria la cooperazione. Ma l’Unione europea, affascinata dalle scelte del suo unico vero leader, Angela Merkel, mostra di avere in materia una politica troppo oscillante. L’imprevedibile Hollande è lo stesso che non esitò a schierare la gendarmeria alla frontiera di Ventimiglia per bloccare poche decine di disperati. L’ondivago Cameron è passato in poche ore dal minacciare di impedire il soggiorno nel Regno Unito ai cittadini europei senza lavoro all’accettazione di una quota di ventimila siriani. Rajoy è disponibile ad accollarsi subito l’onere di ospitare 15 mila rifugiati, ma come potrà d’ora in poi spiegare la durezza con la quale vengono contenuti e respinti, senza poter chiedere asilo, gli africani dall’enclave di Ceuta e Melilla?

Solo pochi giorni fa non riuscivamo a distribuire in Europa 40 mila persone. Un dramma. Ieri il presidente della Commissione europea Juncker ha promesso di sistemare subito un numero quattro volte superiore. Si parla con eccessiva leggerezza di poterne accogliere milioni. Inevitabile, vista la generosità di Berlino che stima un’accoglienza di 500 mila profughi. L’Europa è vecchia, ha bisogno di ringiovanirsi. Ma lo scopriamo solo oggi? I profughi, specie siriani, sono mediamente più istruiti delle popolazioni che li accoglieranno. Perfetto, ma non era così anche poche settimane fa?

Insomma, questa oscillazione di posizioni non può essere spiegata solo con la grande emozione di una foto simbolica che ha scosso le coscienze e la conseguente straordinaria mossa umanitaria di Angela Merkel. Lo scarto improvviso di un’Europa rimasta a lungo insensibile alle tragedie del Mediterraneo, costate finora la vita a 2500 persone, va analizzato a mente fredda. E con il metro della ragione. Non perdere il senso della misura è indispensabile. Per non creare crisi di rigetto e non alimentare populismi e nazionalismi. Ma anche per assicurare agli immigrati un’integrazione sostenibile che renda effettivo il rispetto dei diritti di tutti. Di chi arriva e di chi c’è già e magari soffre per la disoccupazione e la crisi economica. E non lo applaude nessuno.

Vi è poi un’altra considerazione. Delicata, politicamente non corretta. Attenti a non cadere nella cosiddetta «trappola della generosità». Distinguere fra profughi che fuggono dalla guerra e immigrati economici era già difficile prima. Oggi lo è ancora di più. Il rifugiato afghano, intervistato ieri da Rainews, che vedeva passargli davanti i siriani, si chiedeva, lui che non aveva mai conosciuto la pace, se la sua guerra fosse stata dimenticata dall’Occidente. C’è chi scappa da un conflitto, ma anche chi tenta di salvarsi da una persecuzione religiosa, non meno grave sotto il profilo umanitario. E chi soffre la fame ha meno diritti? La desertificazione è all’origine di numerosi conflitti. La rivolta delle campagne contro il regime di Assad è scoppiata con la siccità. La mancanza di acqua destabilizza gli Stati, alimenta il terrorismo.

Sono domande angosciose che non possiamo non porci. Non si può accogliere chiunque. Il meglio è spesso nemico del bene. La sensazione delle porte europee che si stanno aprendo – quella diffusa a tutte le latitudini in questi giorni – induce anche i due milioni di rifugiati siriani in Turchia a sperare in una sistemazione migliore, a incamminarsi verso il nord Europa. E con loro tanti altri.

Chi è disperato, però, non va illuso. Le popolazioni residenti vanno rassicurate. Le regole devono essere chiare e condivise. I limiti pure. L’opzione di interventi umanitari, ma anche militari, nei luoghi d’origine non scartata. Va calcolato e scongiurato un effetto domino, un movimento indistinto che spinga chiunque a cercarsi un futuro migliore, al di là di aspettative ragionevoli. «Perché i siriani sì e noi no?». Il desiderio è comprensibile, umano, la realizzazione improba. I sentimenti di solidarietà così forti in questi giorni, muovono, giustamente, la ragione, ma se dovessero fagocitarla gli esiti sarebbero imprevedibili. Il dilemma del buon samaritano è tale quando il suo gesto è proporzionato alle risorse. Altrimenti è incubo per lui e per chi vuole aiutare.

Ferruccio de Bortoli