L’Italia era ed è più ricca degli Stati Uniti

Ho avuto modo stamane di vedere un servizio di RAI Storia sui documentari italiani: dal 1946 al 1970, ogni sala cinematografica era obbligata a ‘dare’, insieme al film, un cinegiornale (la Settimana INCOM) e un documentario della durata di dieci minuti.

Ricordo che quando arrivava il documentario erano fischi e lazzi infastiditi.

Ne sono stati girati quattordicimila: inizialmente in bianco e nero poi anche a colori.

Oggi, rivedendoli, avrei ben diversi occhi e ben diversi pensieri.

Intanto perché molti di questi avevano una delicatezza molto dolce, elevata: poi perché davano squarci di vita vera vissuta dalla nostra gente, con scenari di povertà che contrastavano con la profonda ‘ricchezza’ del paese: non ricordo più in quale anno, ma la nostra ‘liretta’ ebbe l’Oscar delle monete: aveva una riserva aurea elevatissima (valutazioni del Financial Times); a grandi passi cresceva e cresceva: pochi fronzoli, molta sostanza.

E ho capito una cosa: che siamo (lo dico al presente indicativo ma comprendo settanta anni di storia repubblicana) un Paese ricco, straricco.

Forse incapace di amministrarsi bene: ma comunque ricco.

Un giorno in aereo da Boston a NewYork guardavo dal finestrino: l’aereo era in planata verso l’aeroporto Kennedy e sorvolava il Rhode Island per prendere per il lungo Long Island: sobbalzai quando mi accorsi, all’improvviso, che sorvolava miglia e miglia di casette di legno, quelle all’americana, che a me piacciono moltissimo.

Fu un momento nel quale ebbi una chiara percezione: e cioè che l’americano medio, il sig. Smith, era ben più povero dell’italiano medio, il sig. Rossi.

Feci le seguenti riflessioni:

–        Una casa di legno valeva, mediamente cinquantamila US$: una equivalente casa in muratura, poco poco, duecentomila US$: e noi siamo un popolo campione del mondo nel possedere una casa in muratura.

–        Il costo del cibo quotidiano, in USA, è molto basso: sia per la preponderanza delle produzioni industriali di cibo che per la semplicità del loro desco:

–        La benzina costa un quarto rispetto a noi: oggi il costo è di ca. 0,8€/litro, contro i nostri 2€/litro: ma a quell’epoca la benzina ad un cittadino USA costava un quarto rispetto a noi.

–        Ridicolo il costo del vestiario: molto bassa la spesa dedicata al leisure-time e alla cultura.

Alta la spesa sanitaria, tutta privata e decisamente cinica nel prestare soccorso ai malati; altissima la spesa per corsi di studio universitari (cui accedono sostanzialmente solo i ricchi: le borse di studio non mancano, ma sono comunque una percentuale molto bassa sul totale degli studenti).

Il sig. Smith deve lavorare sodo e duro: perché è la regola: può cambiare lavoro più facilmente del sig. Rossi, ma le scadenze delle assicurazioni sulla vita e sulla malattia, nonché i mutui per le case lo ammazzano: ho conosciuto diversi yankees, ma normalmente non si tratta di individui sereni.

Ancora oggi io credo che noi siamo più ricchi: perché l’Italia repubblicana è ‘ricca’: due sono i motivi di sostanziale preoccupazione:

–        Una molto opaca visione del nostro futuro

–        Una profonda sfiducia nel corpo dirigente (in generale)

Il pericolo è che proprio in ricaduta da queste due ‘sfiducie’ si innesti una sfiducia in noi stessi: che, oltre che veramente mal risposta, creerebbe un ulteriore isteresi nel processo di ‘risalita’ del nostro Paese.

Siamo straricchi perché sappiamo vivere senza materie prime e senza energia propria: il nostro successo storico ‘repubblicano’ è figlio esclusivamente di ‘mente e braccio’: solo ‘trasformando’ facciamo faville: nessun altro paese ha dato risultati paragonabili ai nostri.

E la ‘mente’ e il ‘braccio’ non subiscono svalutazioni.

Che ne sarebbe degli USA se crollassero i prezzi dell’energia (il mondo si adeguerebbe ai loro livelli) e i prezzi delle materie prime?

USA e Russia andrebbero..’in vacca’ come ridere.

Per questo necessitano di sistemi imperialistici: questione, per loro, di vita o di morte.

Dobbiamo rendercene conto: ma dobbiamo anche capire che la nostra ‘ripartita’ non può che iniziare dalla ‘fiducia in noi stessi’, che è proprio l’opposto del pianto greco di cui oggi non facciamo altro che nutrirci.

Giuseppe Brianza