Materia ed energia nell’arte: Ferdinando Romanò scultore

L’arte non ha confini.

Germoglia e poi si sviluppa riempiendo specifiche nicchie in modo epidemico, quasi si trattasse di colture batteriche.

Pensiamo alla Firenze dei Medici, al Bauhaus, all’impressionismo, al suprematismo.

Ma non tutti i movimenti artistici attecchiscono.

Per uno di essi che si afferma, molti rimangono privi di proseliti: si tratta di mutazioni o fluttuazioni culturali la maggior parte delle quali sono destinate a regredire.

Per mille motivi: la scarsa comunicativa, la mancanza di stile, la povertà di contenuti, la mediocrità, …

Quando però ci si imbatte in una persona dotata di un innato talento artistico le cui modalità di operare, a causa della loro complessità tecnica, non possono essere imitate o adottate da altri; quando ci si rende conto che il motivo del mancato sviluppo di un movimento artistico prescinde da una evidente qualità delle opere e risiede nella atipicità di un metodo di lavoro inimitabile e di fatto impraticabile, non si può fare a meno di parlarne.

Veniamo ai fatti.

A Cesano Maderno, un borgo a Nord di Milano nel cui centro storico le famiglie Arese e Borromeo hanno lasciato un’impronta suggestiva, ci è capitato un incontro straordinario.

Al termine di un dibattito nella Biblioteca Comunale su Il perché del bello e il bello del perché, su invito di uno scultore presentatoci da uno degli organizzatori, ci rechiamo nella sua casa.

Colpiscono la potenza espressiva, la capacità evocativa e la gradevolezza al tatto delle sculture lignee, per lo più astratte, che affollano e adornano il salotto.

Ferdinando Romanò – è questo il nome dello scultore – smontando e riassemblando alcune delle sue sculture ci mostra che, dal punto di vista strutturale, ciascuna di esse è una sorta di puzzle tridimensionale, geometricamente e topologicamente complesso, i cui componenti, ben lavorati e finemente levigati, sono ritagliati a partire da un blocco di legno a forma di parallelepipedo.

Ma quel che maggiormente colpisce è la descrizione che il Romanò fa del suo processo creativo.

Il concepimento dell’opera dura generalmente una decina di giorni.

La realizzazione materiale dell’opera – il taglio del blocco di legno, la politura dei pezzi e il loro assemblaggio – procederà invece a colpo sicuro, senza ripensamenti; e richiederà soltanto qualche ora.

Superando un naturale riserbo, il Romanò ci confida che tale realizzazione materiale è però preceduta da un travaglio interiore, durante il quale si sviluppa un enorme sforzo di concentrazione teso a identificare la forma della scultura e di ciascuno dei suoi componenti che andranno, correlati, a comporla.

In questa fase, che dura appunto una decina di giorni, il Romanò evita di aiutarsi con schemi o disegni preparatori.

Registra e serba nella memoria tutto ciò che va elaborando.

Ma questo intenso lavorio mentale si accompagna a un crescente mal di testa che non abbandonerà l’artista fino al momento liberatorio in cui questi, rilassando lo sforzo di concentrazione, darà corso alla fase esecutiva concludendo rapidamente il lavoro.

“La creazione – scrive Nicolaj Berdiaev nel suo The Sense of Creativity consiste nell’aggiungere al mondo qualcosa che prima non esisteva”.

Ascoltando le parole del Romanò, ci rendiamo conto che per aggiungere al mondo qualcosa di nuovo, qualcosa che dopo, ad altri, potrà magari apparire naturale e scontato, occorrono energie e sforzi di concentrazione enormi: enormemente maggiori di quelli che sviluppiamo in un museo, quando, per così dire, ri·creiamo mentalmente le opere esposte, quasi ripercorrendo le tappe della creazione lungo l’itinerario tracciato dagli artisti.

Ma procediamo con ordine e – quasi fosse possibile – cerchiamo di razionalizzare quel flusso caotico di pensieri che passa per la mente di un artista durante il processo creativo.

Si parte da una tabula rasa.

Le singole fibre che si allineano nel blocco di legno sono indifferenziate, non hanno ancora alcuna funzione estetica.

D’altronde, parallelamente, i colori stesi sulla tavolozza di un pittore che si accinga a dipingere un quadro non configurano ancora una forma artistica.

Il primo stadio della creazione artistica è quello della identificazione della idea della forma.

Questa fase richiede uno sforzo di concentrazione sufficientemente intenso per potere operare una scelta tra innumerevoli forme, tutte a priori possibili.

Ma operare una scelta equivale a rimuovere incertezza, a produrre informazione.

Per identificare l’idea della forma, in ultima analisi occorre gestire una informazione intesa come esito di una azione che porta, appunto, a una forma.

Ma “non si può ottenere qualcosa in cambio di niente – scrive D. Gabor – neppure una informazione”.

E’ qui che si configura un primo punto di contatto tra energia e arte.

Per definizione, secondo i fisici, l’azione è il prodotto di un tempo per un’energia.

L’azione irreversibile che porta dalla configurazione omogenea e incerta della materia prima alla configurazione differenziata e informata della forma embrionale della scultura richiede pertanto tempo ed energia.

L’informazione costa energia: per dirimere la singola alternativa binaria si-no (binary digit, cifra binaria) corrispondente all’informazione elementare minima – il bit –, sempre secondo i fisici non è possibile evitare di dissipare (a temperatura ambiente) un’energia pari ad almeno un miliardesimo di un miliardesimo di un miliardesimo di Kilowattora.

Bazzecole, si potrebbe obiettare.

Ma se pensiamo alla vita come a un processo di conservazione ed elaborazione dell’informazione, a un processo che nel corso dell’evoluzione ha acquisito la capacità di autoriprodursi accuratamente, ci rendiamo conto di un fatto importante: una frazione cospicua, circa il venti per cento delle duemilacinquecento kilocalorie corrispondenti al pane quotidiano di cui ci cibiamo anche per sopravvivere, va impiegata per alimentare l’attività mentale e, in taluni talenti, va a promuovere l’attività creativa e la nucleazione delle idee – nonché i violenti mal di testa che talvolta a tale attività si accompagnano –.

Il secondo stadio della creazione artistica è quello della organizzazione mentale della forma.

Tra gli innumerevoli possibili modi di ricavare dal blocco di legno i componenti del puzzle che, assemblati, andranno a formare la scultura, occorre identificare quello ottimale: il modo che meglio risponde alla caratteristiche direzionali del materiale fibroso, e che più elegantemente soddisfa ai vincoli geometrici, topologici e dimensionali.

Ma organizzare una forma composita, sia pure soltanto mentalmente, equivale a creare– sempre mentalmente – delle nuove superfici e a correlarle, portando alla “luce” una “materia” che prima era nascosta all’interno.

Creare superfici, sia pure soltanto mentalmente, equivale a rompere dei legami.

Qui si configura un ulteriore punto di contatto tra energia e arte: organizzare – lo abbiamo appena detto – significa significa rompere vecchi legami per instaurare correlazioni e legami nuovi, magari di diversa natura su un piano ad esempio funzionale; e rompere e organizzare costa, appunto, energia.

Il terzo ed ultimo stadio della creazione artistica è la realizzazione materiale dell’opera.

Si passa alla fase esecutiva del progetto, ritagliando dal blocco di legno i componenti della scultura e levigandoli finemente.

Anche queste operazioni richiedono energia.

Ma si tratta di un’energia elettromeccanica di basso costo (le nuove bollette, comprensive delle tasse e delle tasse sulle tasse, indicano un costo che si aggira sui zero tre Euro/Kilowattora): si tratta di un’energia la cui qualità è incomparabilmente meno elevata della qualità dell’energia mentale accumulata nel cervello dell’artista durante gli stadi precedenti.

Detta energia mentale, in questa fase conclusiva, si trasferisce nell’opera compiuta e in essa si conserva, latente ma disponibile ad assecondare e pilotare il nostro processo percettivo: che è un processo durante il quale l’opera d’arte in un primissimo momento appare indifferenziata e priva di significato; ma subito dopo suscita nella nostra mente l’idea della forma che non tarda poi a dispiegarsi – per dirlo con R. Arnheim – nel pensiero visivo.

 

 

Ferdinando Romanò è uno scultore scevro di esibizionismo, riservato ma aperto al dialogo con interlocutori che a lui appaiono sensibili.

Dedichiamo a lui questo scritto.

Egli ci ha indotto a pensare che esistono sì tante forme di energia note ai tecnici – l’energia termica (il calore), l’energia meccanica, l’energia chimica, l’energia elettrica, l’energia magnetica, l’energia nucleare…

Accanto ad esse esiste però una forma di energia – studiata a lungo dagli psicologi, dai critici d’arte e dai filosofi di tutti i tempi – che mal si presta a essere oggetto di ricerche sperimentali di natura tecnica: una forma di energia che forse, fra tutte, è la più nobile.

E’ l’energia che anima la creazione artistica e presiede alla nucleazione delle idee, e che così avvicina l’uomo a Dio: “In effetti l’uomo si dimostra essere cosa divina perché dove la natura finisce di produrre le sue spetie l’uomo quivi comincia colle cose naturali a fare coll’aiutorio d’essa natura infinite spetie” [Leonardo da Vinci, Disegni anatomici, Biblioteca Reale di Windsor, n. 72 verso].

Giuseppe Caglioti e Tatiana Tchouvileva

(Giuseppe Caglioti, Professore emerito di Fisica della Materia, Politecnico di Milano, Dipartimento Energia – Tatiana Tchouvileva già Docente di Estetica presso l’Istituto Statale di Cinematografia, Mosca. Co-presidente Comitato di Coordinamento delle Associazioni Italia-Russia)