La nuova Santa Vehme

Verso la fine del Medioevo operò in Germania uno speciale tribunale, chiamato della Santa Vehme.

Esso per la verità era molto di più di un tribunale, era una complessa istituzione i cui membri erano allo stesso tempo inquisitori, giudici ed esecutori delle loro sentenze.

Tutta la loro attività era avvolta dal segreto: nessuno sapeva chi fossero i “giudici”, in base a che criteri operassero, su chi si sarebbero abbattute le sue folgori, contro le quali non c’era difesa possibile.

Le sue vittime erano i traditori, o presunti tali, ed in generale tutti coloro che violavano delle leggi conosciute soltanto da chi le faceva applicare, cioè sempre dagli stessi “giudici”.

Il solo evocare il nome della Santa Vehme faceva venire brividi di terrore, tanto più che spesso la mattina in un angolo di una strada o in una piazza si trovava un cadavere orrendamente mutilato con un cartello che spiegava che esso era di qualcuno condannato da quel tribunale.

Si credette che, mutati i tempi ed i costumi, fosse stato dissolto, ma in realtà esso ha continuato ad operare   lungo il corso dei secoli sotto altre forme, adattandosi alle nuove circostanze politiche e sociali.

Cos’altro sono stati la Gestapo tedesca, il KGB sovietico, la Stasi tedesca-orientale o l’AVH ungherese, per citare i più noti?

Ma anche da noi, in modo più subdolo ancor oggi c’è una Santa Vehme che sarebbe più appropriato chiamare Tripocor, Tribunale del Politicamente Corretto, che le sue vittime non uccide fisicamente ma copre di ludibrio, indica alla riprovazione generale, ad esse nega il diritto di parola.

Se qualcuno per esempio si azzarda a pronunziare il termine “negro”, ecco il Tripocor a denunciarlo alla collettività come traditore della convivenza civile, né il poveraccio può invocare a sua discolpa che il poeta senegalese Léopold Sédar Senghor (che del suo paese fu anche presidente) della sua “négritude” si fece giustamente vanto, celebrandola in sue composizioni poetiche.

Nulla da fare: nessun alibi è ammesso, anathema sit!

Altro esempio (ma ce ne sarebbero migliaja) di condanna del Tripocor riguarda la parola zingaro.

Chissà perché si è deciso che essa sia vitanda perché diffamatoria, benché nessuno abbia mai spiegato in che cosa consistesse l’offesa.

Si cantava un tempo “Una zingara mi ha detto, anche tu sarai felice…”, più recentemente “Prendi questa mano, zingara…” o “Il cuore è uno zingaro…”.

Si sappia che quelle canzoni sono proibite e che, se è proprio necessario cantarle, bisogna cambiare la parola incriminata ed incriminante.

Dunque: “Una rom mi ha detto”, “Prendi questa mano sinti” e “il cuore è un camminante”, ché tali sono i termini fermamente raccomandati per non dire imposti dal Tripocor.

Ma non è sicuro che la prima chiromante sia una rom, la seconda una sinti e l’organo anatomico del terzo esempio un camminante, e comunque il termine da usare, per non rovinare il ritmo, dovrebbe essere trisillabo e sdrucciolo.

Una soluzione si potrebbe trovare usando il sistema, anche qui, dell’acrostico sillabico: a zingaro si può sostituire “ròsica” (ROm,SInti, CAmminanti) che conviene perfettamente alla musicalità e obbedisce, in quanto termine nuovo ed innocente, ai dettami del politicamente corretto.

Speriamo che la “Santa Vehme” nostrana gli dia il suo imprimatur e non decreti che anch’esso sia da condannare perché implica chissà quali offensive allusioni.

Perché i suoi supremi legislatori-giudici-esecutori, in base al principio “Omnia immunda immundis”, vedono negli altri il male ed i cattivi pensieri che sono in loro .

Alberto Indelicato