Dimitte nobis debita nostra

Le bugie, si sa, hanno le gambe corte. Continuare a sostenere che l’Unione Europea impedisce l’adozione di politiche di sviluppo economico nel nostro Paese, è una bugia. La verità è che un Paese con un rapporto deficit PIL intorno al 135% fatica a trovare le risorse necessarie persino per le spese ordinarie, figuriamoci per quelle straordinarie. Anche in un periodo, come quello attuale, in cui i tassi d’interesse sono bassi, ridurre l’indebitamento italiano in maniera significativa non è possibile. L’effetto del debito pubblico sulla vita degli italiani è sotto gli occhi di tutti: paghiamo le tasse prima ancora d’incassare gli importi oggetto di tassazione, i tagli imposti dall’amministrazione centrale hanno quale effetto l’aumento vertiginoso delle imposte locali, il livello dei servizi e persino quello di sicurezza degli edifici pubblici scade di anno in anno. Sentiamo ripetere queste medesime cose da talmente tanto tempo da esserne assuefatti, come davanti all’ineluttabile.

Tutto questo è (anche) il frutto di un singolare vuoto normativo. Tutti i sistemi giuridici – ad eccezione, per ovvi motivi, di quelli comunisti – conoscono e riconoscono l’importanza delle procedure concorsuali.

In sintesi, un soggetto (negli Stati Uniti e altrove anche una persona fisica) che non sia in grado di far fronte ai propri debiti (in default, per usare il termine di uso giornalistico), viene posto sotto tutela (principalmente nell’interesse dei creditori) e, se non abbia commesso reati fallimentari, viene spossessato del proprio patrimonio ma al contempo, al termine della procedura, liberato dai debiti.

La prima osservazione che sorge spontanea è la seguente: nell’ambito dell’Unione Europea, esiste davvero il rischio di default di un Paese membro? Non esistono precedenti e il caso della Grecia – in cui il default è stato evitato nonostante un rapporto deficit PIL vicino al 180% – sembrerebbe indicare che il rischio non esista. Ciò nonostante, la finanza internazionale dà al rischio default un valore economico – rischio maggiore, spread più elevato – a detrimento dei Paesi con le economie più deboli o semplicemente più indebitate.

Per economie deboli, io intendo quelle dove il PIL sia inferiore alle uscite, al netto degli interessi sul debito pubblico e l’Italia non è tra questi Paesi. Il bilancio complessivo dell’economia italiana – al netto degli interessi sul debito pubblico – è infatti in attivo.

Semplificando, la verità è che l’adozione di politiche di sviluppo economico nel nostro Paese non è possibile a causa della necessità di far fronte al pagamento degli interessi sull’enorme debito pubblico a tassi che – per quanto attualmente bassi – sono superiori a quelli applicati a Paesi dalle economie con un debito pubblico inferiore.

Tutte le risorse italiane sono dedicate all’enorme sforzo di evitare il default. In quest’ottica, si comprende chiaramente che ridurre significativamente il debito sia una necessità assoluta. Ma è davvero possibile?

La risposta, ovvio, è no. Nessun soggetto (persona fisica o giuridica) può sopravvivere per anni con un indebitamento pari al 135% del suo reddito.

Esiste un motivo per cui uno Stato, nelle medesime circostanze, debba essere trattato in maniera difforme da una persona fisica o giuridica? I sistemi giuridici che conoscono e riconoscono l’importanza delle procedure concorsuali, perché non hanno sviluppato strumenti analoghi nell’ipotesi di default degli Stati? Merita tutela e rispetto un sistema giuridico che concede una liberazione dai debiti del singolo (responsabile del proprio default) e non concede analogo sollievo alla pluralità dei cittadini italiani, che non hanno colpa se sono nati in un Paese indebitato?

I castighi biblici sono sotto gli occhi di tutti: nascere in paesi poveri è una disgrazia senza rimedio (pensiamo al Sud del mondo) e ai pochi fortunati sfugge che l’uguaglianza di diritti e le pari opportunità siano i principi più nobili mai concepiti dalle menti illuminate dei nostri antenati.

E’ facile fare del qualunquismo: “I greci non lavorano abbastanza… Gli italiani – cicale d’Europa – hanno sempre vissuto al di sopra delle proprie possibilità”. La verità è che gli investitori si arricchiscono da anni grazie allo spread che penalizza il nostro Paese e sarebbe ora che le menti migliori dicessero: “Ora basta”.

Come in un concordato preventivo, si conceda all’Italia di negoziare un default per consentirle di tornare competitiva, costi quello che costi.

L’alternativa è il degrado, l’impoverimento collettivo. Certo, si può continuare ad addebitare le colpe all’Unione Europea. Ma il rimedio non è domandare il permesso di fare ulteriori debiti, chiedere flessibilità dei parametri. Il rimedio è introdurre strumenti giuridici adeguati che eliminino lo spread tra i tassi d’interesse applicati ai Paesi membri dell’Unione Europea e consentano davvero di ridurre progressivamente l’indebitamento pubblico.

Dimitte nobis debita nostra è un’invocazione che tutti noi italiani dovremmo rivolgere ai nostri politici.

Alfredo Tocchi