Nemo propheta in patria

Per quanto, dopo aver abbandonato il suo incarico di aiuto cancelliere presso il Tribunale di Varese (“Lasciata la Giustizia”, amava dire, facendo intendere chissà quali altre e più significative incombenze) a seguito del clamoroso successo de ‘Il piatto piange’, Piero Chiara – oramai ‘scrittore professionista’ – fosse noto ed apprezzato in tutta Italia, per la gran parte dei suoi concittadini varesini, restava, senza molti complimenti, uno dei più fieri perdigiorno e veniva immancabilmente annoverato tra quanti passavano il loro tempo soprattutto correndo dietro alle sottane e giocando a biliardo o a carte nei caffè.

E d’altronde, cosa potevano sapere della sua fama letteraria il barista che gli preparava l’aperitivo o il fornaio, il garzone di macelleria e il piazzista che, ogni giorno, lo affrontavano a scopa piuttosto che a goriziana?

A quei tempi beati e, a dire il vero, anche prima, per anni, uno dei suoi più decisi e combattivi avversari fu un certo Rosmino.

Era costui un forte giocatore, impavido all’aspetto, pronto alla lotta ma irascibilissimo ed altamente superstizioso.

Di queste ultime sue pecche, per inciso, Piero non mancava di approfittare quando le loro sfide a carte si svolgevano nelle sale superiori del caffè Zamberletti, il più importante di Varese.

Si deve sapere che, allora, i camerieri di quel ritrovo servivano ai tavoli indossando un bel frac nero, colore, come noto, assai poco gradito a chi teme la sfortuna e crede nella jella.

Così, allorché una partita di particolare rilievo per la posta in palio stava per volgere al termine con esito per lui prevedibilmente negativo, a un cenno convenuto di Chiara, uno dei camerieri – completamente nero e silenziosissimo – si avvicinava al tavolo dove il gioco ferveva e si poneva alle spalle del Rosmino.

Questi, ‘sentendo’ (più che vedendo) l’incombente figura, considerando l’intruso “un enorme uccello del malaugurio”, iniziava immediatamente ad innervosirsi, ad insultarlo insieme con il connivente avversario – che, da parte sua, seraficamente negava ogni responsabilità – a perdere il controllo di sé, a dimenticare le carte ‘uscite’, per arrivare, alla fine, sconfitto, a buttare tutto per aria.

Ora, questo Rosmino – anche per via della sua notevole bella presenza, della particolare complessione fisica (era un vero omone) e di una buona disponibilità economica (il che, in certi ambienti, non guasta mai) – era, in città, assai conosciuto e forse più dello stesso Piero.

Così – ‘nemo propheta in patria’ – quando, un giorno, un inviato di un importante quotidiano nazionale arrivò a Varese per intervistare lo scrittore, indirizzato da qualcuno al caffé dove, in quel momento, quegli si trovava e chiesto, appena entrato, al barista, dove Chiara fosse, si sentì rispondere: “Eccolo là, è quello che gioca col Rosmino!”.

Mauro della Porta Raffo