Come e in qual modo Piero Chiara non vinse il Premio Strega

Verrà l’estate e con essa torneranno ad imperversare i maggiori premi letterari che, nelle più varie parti delle penisola, si industrieranno a presentarci quei libri che, poi, nel prossimo autunno-inverno compreremo in tutte le librerie.

Le grandi case editrici (sono sicuro) hanno già iniziato le loro manovre e, a casa dei componenti delle giurie, stanno arrivando le copie dei romanzi che parteciperanno allo Strega, al Campiello, al Viareggio, eccetera, eccetera.

Conosco bene tutta questa trafila per averla vissuta, quasi personalmente e, comunque, giornalmente, quando vivevo gran parte del mio tempo con Piero Chiara.

Questi, dopo la pubblicazione de “Il piatto piange”, suo primo grande successo, per qualche anno, partecipò, su invito e sollecitazione della sua casa editrice, a quasi tutti i premi letterari di maggior rilievo e, poi, una volta affermatosi definitivamente passò, armi e bagagli, dall’altra parte della barricata divenendo membro (e questa parola gli piaceva molto) di varie giurie ed, in particolare, di quella che selezionava i cinque finalisti del Premio Campiello (il solo fatto di farne parte, diceva, era segno indiscutibile di avvenuta consacrazione).

Molto ci sarebbe da narrare su quanto accadeva, ogni anno, di questi tempi, nello studio di Via Bernascone: le lettere che arrivavano da amici, da critici, da scrittori noti ed alle prime armi, da tutti coloro, insomma, che assicuravano o chiedevano l’appoggio a o di Piero.

Più avanti nella stagione, toccava al telefono: squillava continuamente; la linea (come si dice) diventava bollente. Chiara affrontava tutta questa baraonda con vero divertimento; gli piaceva molto ricevere richieste di aiuto da grandi suoi concorrenti e devo dire, più volte cercava di dare una mano a colleghi più sfortunati di lui se li riteneva, in qualche modo, meritevoli.

Comunque, mi confessò a seguito di una mia richiesta, non gli era proprio possibile star dietro a tutte quelle storie e riusciva a malapena a sfogliare qualche pagina di ogni singolo libro che gli veniva spedito.

E’ evidente che, a seguito di tutta questa manfrina, alla fine, i vincitori non risultavano gli autori migliori e, tantomeno, i romanzi più belli, ma quelli più appoggiati.

Nell’anno in cui Piero Chiara pubblicò “Il pretore di Cuvio”, venne praticamente costretto a prendere parte ad uno di questi “tornei” letterari. Il romanzo, peraltro, vendeva già assai bene (il pubblico ha sempre amato lo scrittore luinese) e lui, forse, non sentiva la necessità di mettersi in concorrenza, ma, com’è come non è, si trovò a correre e corse cercando di fare il meglio possibile.

Alla vigilia della sua partenza per Roma e della cerimonia della premiazione (che avveniva ed avviene in un magnifico ambiente e sotto le telecamere) lo andai a trovare e gli feci gli auguri (la frase da usare, in queste circostanze, era assai scurrile, perchè, a semplici auguri, avrebbe risposto con uno scongiuro).

“Chissà che tensione?” – gli dissi, cercando di partecipare, in qualche modo, all’avvenimento.

“Macchè! – mi rispose – tutto già fatto; arriverò secondo!”.

Mauro della Porta Raffo