Il cane da riporto

Una sera di fine estate.

La solita riunione al bar della piazza centrale della città dopo la serata passata a discutere di politica nella sede del partito.

Siamo circa una decina e Piero Chiara, contrariamente al solito, se ne sta in silenzio e quasi appartato.

Lo guardo e noto che la sua attenzione è rivolta verso un tavolo vicino, intorno al quale stazionano due o tre coppie.

“Beh,” penso, “Guardiamo meglio anche noi: certo ci sarà qualche bella donna” e mi giro con tutta la sedia badando però, a non dare le spalle agli amici.

Che delusione! Non è certamente l’avvenenza delle signore che ha attratto Chiara, deve esserci qualcosa d’altro. Le coppie sono tre e di mezza età. Le donne, se mai furono belle, non lo sono più di certo!

Mi rigiro pensando che i gusti del mio amico sono andati decisamente peggiorando.

Dopo qualche altro minuto, vedo, o più che altro sento, che il tavolo vicino sta per essere abbandonato dagli occupanti: il rumore delle sedie spostate per alzarsi in piedi, il vocio più intenso per lo scambio dei primi saluti.

Le persone si dividono e noto che una delle signore, da sola, si allontana per traversare la piazza verso la fontana.

Velocissimo, Chiara si alza in piedi di scatto e parte decisamente alla rincorsa.

Sono sempre più incuriosito, ma, se voglio saperne qualcosa, devo per forza aspettare il suo ritorno.

Intanto, gli amici, anch’essi sorpresi dell’improvviso abbandono, decidono di sciogliere la compagnia.

Mi accorgo che nessuno di loro ha notato che Chiara si è lanciato all’inseguimento di quella donna (hanno solo visto che se ne andava).

Dichiaro di voler restare ancora un po’ e qualcuno mi incarica di salutare ‘il Piero’ e di sgridarlo bonariamente per la sparizione.

Per passare il tempo, chiedo a Mario, il cameriere che conosco da sempre, di portarmi il giornale: “Uno qualunque”.

Mi piace, qualche volta alla sera, quando si sono già compiuti nuovi avvenimenti, dare un’occhiata ai quotidiani del mattino, per scoprire qualche errata previsione e per vedere se gli editoriali, alla luce delle novità, hanno ancora un senso.

Verso la mezzanotte, se Dio vuole, ecco la figura di Chiara che si avvicina lentamente.

Viene a sedersi vicino a me senza dire una parola.

Riprende in mano il bicchiere e finisce di bere quel che resta della sua bibita. Dopodichè, quasi solo a gesti, mi chiede una sigaretta.

Non parlo neanche io.

Conoscendolo, non ho dubbi che, presto o tardi mi dirà tutto. Succede sempre così!

“Quella donna che ho inseguito e con la quale ho parlato fino ad ora”, comincia all’improvviso, “mi ha riportato indietro di moltissimi anni, a quand’ero giovane. Per quanto ti possa sembrare strano, era bella, con seni marmorei, occhi vivaci ed una bocca… una bocca…”

Non va avanti.

Si è fermato quasi sognante, nel suo narrare.

Per pungolarlo, gli dico che, così, per come l’avevo potuta vedere io, non aveva certo niente di particolare e tantomeno una bella bocca.

“Non capisci proprio niente, come tutti i giovani”, e scuote la testa.

“A parte che ti ho già detto che era molto meglio di adesso, non sai cosa può fare una donna in gamba con la sua bocca.

Per tagliare corto, per qualche tempo era stata una mia amante a Luino e mi aveva proprio ben svezzato facendomi conoscere l’arte dell’amore orale, nel quale era imbattibile.

Poi, non so perchè, si era trasferita e, per anni, non l’avevo più incontrata.

Di tanto in tanto ne sentivo parlare e, quando arrivai qui stabilmente, venni a sapere che viveva in città.

Subito cercai di riallacciare gli antichi rapporti ma la trovai un po’ fredda nei miei riguardi.

Era già impegnata – mi disse – con un facoltosissimo signore che la voleva tutta per sè e che sapeva apprezzare moltissimo le sue capacità, specie quelle che anch’io conoscevo.

Quando seppi chi era la persona e che l’aveva sistemata in un bell’appartamento, in pieno centro ma con un discreto accesso posteriore, capii che aveva fatto un bel colpo e mi congratulai mentalmente con lei”.

Parlare gli secca evidentemente la gola e così ordina a Mario, che bighellona intorno a noi, di portarci altre due bibite.

“Passarono molti mesi”, riprende, sorseggiando, “senza che ne sentissi più niente. Poi, improvvisamente, seppi che il suo protettore era morto.

Mi dispiacque per lei, ma d’altronde!

Trascorso qualche giorno, però, da quella notizia, mi arrivò all’orecchio una voce che girava velocissima la città.

Il commendator… era sì morto, ma non nel suo letto, nè nella sua casa, bensì, guarda un po’, nell’abitazione e nella stanza da letto di quella signora.

Scandalo cittadino, risate, lettere anonime alla vedova, ecc.

Infine, ostracismo per la mia amica da parte di tutti i benpensanti.

Solo dopo qualche anno, ormai dimenticati i protagonisti di quella storia, mi capitò di rincontrarla.

Ero, per caso, in corso… e lungo i portici  un ‘pittore’ girovago stava esponendo i suoi lavori.

Mentre passavo, mi accorsi che la signora in questione era lì, ferma, che fissava uno di quei quadri.

Mi accostai e la salutai con affetto, poi la portai con me proprio in questo caffè dove siamo ora.

Volevo sapere tutto.

Come era morto il commendatore? Era vero quel che si diceva in giro ai tempi?

“Senti”, le dissi, “a me puoi dirlo, in nome dei momenti passati insieme: è vero che è morto mentre facevate l’amore. Sai, è la morte migliore per un uomo. Solo coloro che Dio ama muoiono in quel momento”.

Malgrado la vecchia amicizia, non mi fu facile farla parlare e sembrò che dovessi restare deluso.

Ci alzammo dal tavolino, ci incamminammo e, nel farlo ci trovammo ancora davanti ai quadri di quel pittore da strapazzo.

Vidi che, nuovamente, si fermava a guardarne uno e, così da dove eravamo, non riuscivo a capire quale fosse.

“Ti piacciono?”, le chiesi. “Ne vuoi qualcuno in particolare?”

Sorrise e, con gesto timido, strano per lei, mi indicò il dipinto in questione.

La scena ritratta vedeva un cane da caccia, o forse da riporto, che aveva in bocca un’anatra morta che stava, evidentemente, portando al padrone.

“Se ti piace”, le dissi, lasciando capire che mi sembrava proprio una cosa di poco conto.

Acquistato il quadro e fattolo incartare, mi avviai con la mia amica verso casa sua.

Sentivo che c’era qualcosa in sospeso, qualcosa di non detto.

Quando arrivammo a pochi passi dall’ingresso del condominio dove ancora abitava, finalmente, si voltò verso di me e mi disse: “Sei stato caro a comprarmi questo dipinto. Lo so che non è bello, ma mi ricorda il commendatore che è stato la persona più buona verso di me, e allora…”.

“Ti ricorda lui?”, le chiesi stupito. “Ma come può essere?”.

“Mi meraviglio. Sei sempre così perspicace. Possibile che tu non capisca? Pensa un attimo a quello che era la mia specialità, confrontala col quadro e avrai così anche la risposta alla tua domanda di prima”.

Stavo quasi per scartare il pacco, quando, fissando la mia amica e le sue labbra, fui come folgorato da una visione.

Ecco spiegato tutto!

Col dovuto tatto nella voce le chiesi: “E’ morto mentre facevate del sesso orale?”

“Sì”, rispose, “e il quadro che hai in mano e che mi hai regalato lo chiamerò ‘L’uccello morto in bocca!’”.

Mauro della Porta Raffo