Il piacere estetico

Il piacere riguarda i sensi, ma nell’uomo – animale razionale – il piacere veramente umano è razionalizzato.

Si va a tavola per gustare il cibo, ma il piacere non riguarda soltanto il gusto: infatti le regole del galateo si sono formate nel tempo per razionalizzare un’azione di per sé istintiva come l’alimentarsi.

Non ci si avventa sul piatto, non si sminuzza il pane tra una portata e l’altra, la frutta va sbucciata secondo la procedura razionalizzata per ogni frutto.

E oltre alla qualità del cibo conta, forse anche di più, come è apparecchiata la tavola, se ci sono i bicchieri appropriati per il vino (bianco o rosso), per l’acqua, per lo champagne, e se vengono serviti gli asparagi occorre che ci siano le apposite pinzette.

Mentre si mastica le posate non vanno appoggiate all’orlo del piatto come i remi di una barca.

Gli antichi hanno insegnato che il bene produce piacere tramite il possesso, mentre la bellezza tramite la sola percezione.

È possesso intellettuale, quindi solo degli esseri intelligenti.

Il piacere più umano è il piacere estetico: la contemplazione di un paesaggio, di un quadro, l’ascolto di una musica sono il piacere più sublime.

San Tommaso ha scritto che la virtù della temperanza modera i piaceri dei sensi, mentre i piaceri spirituali non ricadono sotto questa virtù: si può dunque essere immoderati nella contemplazione estetica, a meno che non ostacoli la contemplazione di un bene spirituale superiore (Summa Theologiae, II-II q. 141, a 2-4).

Ciò vale a maggior ragione per il piacere sessuale, che non va ricercato al di fuori del suo fine naturale: va cioè esperito solo nel matrimonio il cui fine è procreativo, anche se, naturalmente, non ogni atto coniugale comporta procreazione.

Il piacere sessuale è più alto quando avviene in un contesto di vero amore coniugale, stabile e fecondo, cioè in dimensione estetica e simbolica secondo il suo fine naturale.

San Paolo ha scritto agli Efesini e, attraverso di loro, alle generazioni venture: “Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato sé stesso per lei, per renderla santa” (Ef 5,25-26).

Se lo si priva di questa valenza simbolica (amore coniugale addirittura come emblema dell’amore di Cristo per la Chiesa), se non diventa ierofania (manifestazione del sacro) il matrimonio stesso viene impoverito, diventa meno umano.

E l’atto sessuale al di fuori del matrimonio è come l’accoppiamento dei cani in mezzo alla strada, delle belve nella savana.

Cesare Cavalleri