La scala, l’ombrello, le piramidi… ovvero Alexander Goldenweiser e il ‘principio delle possibilità limitate’

Piramidi egizie, azteche, tolteche, babilonesi e elamitiche (ziqqurat), tongane, tahitiane.

A distanza di migliaia di chilometri e di millenni, diverse etnie, nelle più differenti parti del mondo – quasi sempre senza avere nessuna cognizione l’una dell’altra – hanno edificato piramidi.

Come mai?

Molte le risposte di fantasia a questa e a consimili domande e più diffusa fra tutte (dai media, sempre alla ricerca dell’improbabile o, meglio ancora, dell’incredibile) quella che vuole che oltre diecimila anni orsono una sola, grande ed avanzatissima civiltà – in seguito, scomparsa a causa del diluvio o per il passaggio del pianeta attraverso la coda di una gigantesca cometa – governasse la Terra e che proprio la diffusione delle piramidi in ogni angolo dell’orbe lo comprovi.

La scienza, sempre giustamente restia ai voli di fantasia, ha invece risposto altrimenti, in particolare per bocca dell’antropologo e sociologo americano ma di origini e formazione ucraina Alexander Goldenweiser (Kiev 1880 – Portland 1940).

Sua è, infatti, la teoria nota come ‘Principio della possibilità limitate’.

In sostanza, Goldenweiser afferma che per quanto le produzioni fantastiche degli esseri umani siano infinite, la loro traduzione in pratica – attraverso usi, costumi, organizzazione sociale, eccetera – è, appunto, limitata.

Le abitudini e le manifestazioni concrete di un gruppo, cioè, possono assomigliare a quelle di un’altra etnia anche assai remota perché esiste solo un numero circoscritto di modi per fare una cosa.

Ad esempio, per salire un pendio si impone comunque l’idea di una scala o dei gradini mentre per ripararsi dalla pioggia, dovunque nell’orbe terracqueo, si è pensato all’ombrello.

Mauro della Porta Raffo