La vita e un orto

Coltivo un orto comunale di mia temporanea proprietà e il mio compito preferito è strappare le erbacce che crescono e si estendono a velocità tripla rispetto ai pomodori e alle zucchine e a tutto quanto ci aspettiamo la terra ci restituisca dopo tanto lavoro (e tante spese!).

In realtà è proprio così: lavorare nell’orto è come stipulare un contratto in cui le parti in causa sono due, la terra e chi la lavora.

Ma come tante volte succede, al di là della volontà dei contraenti di onorare l’impegno, esiste sempre il rischio di non vederlo soddisfatto.

E’ la vita e la vita dell’orto non fa eccezione.

Pioggia o calore eccessivo o al contrario scarso corrispondono a tutti quegli imprevisti che spesso ci impediscono di giungere in modo soddisfacente alla concretizzazione delle nostre intenzioni e all’incertezza delle cose che solo “dopo” divengono certe.

Scorgere, arrivando da lontano, i primi punti di colore rosso tra il fogliame verde dei pomodori è quanto di più emozionante l’orto ci offra.

La certezza che mentre noi facevamo altro e correvamo a destra e a manca magari lamentandoci del sole o della pioggia…loro, le piante, intanto davano un impulso straordinario alla loro stessa crescita offrendo poi, all’apparenza improvvisamente, lo spettacolo più bello nel quale siamo immersi e di cui ci dimentichiamo: quello della vita in cui la vita, per sua intrinseca natura, è in continuo divenire.

Per questo ogni volta che giro l’angolo e mi avvio per il vialetto che porta all’orto numero diciannove, pregusto un’ emozione e spesso sono soddisfatta.

La vita è come il sole che ogni giorno riappare… offrendoci non solo calore e luce (quando non oscurato da nuvole!) ma quell’altro aspetto, la certezza, cosicché a chi mi dice che la morte è l’unica certezza che abbiamo io rispondo che anche il levarsi del sole lo è e se finirà non lo sapremo mai (chissà…).

Abbiamo quindi un sacco di cose certe: la morte, il sole e quanto già avvenuto.

Non male.

Le erbacce poi sono presenze tanto importanti quanto pomodori e zucchine e cetrioli o peperoni.

Come nel vivere quotidiano trama e ordito formano il tempo, lo spazio e uno senza l’altro non potrebbero esistere, così nell’orto non sarebbe ragionevole né saggio aspettarsi di non trovare anche una montagna di erbacce che crescono a lato o mescolandosi alle piante dai frutti commestibili.

Mi piace cercare di capirne la natura e non ce n’è una che somigli ad un’altra e questo mi fa sempre pensare agli esseri umani…

A volte occorre ingaggiare un combattimento a due mani con alcune di esse, di norma quelle che si sono specializzate nello strisciare: le vedi subito, si allargano in lungo e in largo raso terra e sono pervicacemente radicate in profondità e mollano difficilmente la presa.

Occorre zappettare tutto intorno, isolarle e poi estrarle come si fa col dente del giudizio quando non ne vuole più sapere di fare il suo mestiere di dente.

E, come fa il cavadenti, occorre puntare al meglio le ginocchia e i piedi per riuscire nell’impresa.

Esistono esseri umani striscianti ed è altrettanto difficile cavarseli dai piedi; ecco cosa vado pensando mentre, piegata in due, combatto la mia battaglia per la libertà liberando il terreno e, nella fantasia, la mia stessa vita da simili esseri.

Ci sono poi le erbacce che per riuscire a vivere devono sentirsi in gruppo, fili esili a decine e una medesima zolla alla quale sembrano essere incollati; insieme creano una notevole resistenza e si possono svellere solo scalzandole da sotto ed eliminando il supporto comune sul quale reggono.

Conosco tante persone che vivono così…confondendosi e sorreggendosi nel sentirsi uguali.

Essere uguali è il valore e questi insiemi possono creare danno o beneficio, dipende dalle intenzioni ma ciò che si osserva è che se non si appoggiassero l’uno all’altro di certo non riuscirebbero a far nulla.

Ci sono poi delle erbacce sfacciate che addirittura crescono molto alte e tentano di somigliare alle piante attorno, ora di patate ora di peperoni.

Per fortuna le vedi subito e altrettanto facilmente le sradichi, dato che non oppongono resistenza e non saprebbero su cosa poggiarsi per farlo e così accade anche nella vita umana.

Molti, non avendo personalità propria, assumono quella di un altro e divengono in tal modo visibili ma possiamo scoprirli molto facilmente: sono esseri umani fragili e basta poco per metterli in crisi dato che di personale hanno sviluppato ben poco.

L’orto è così; davvero simile alla vita degli umani.

Naturalmente ci sono altre mille generi di erbacce ma per non annoiare preferisco raccontare ancora, in poche righe, degli esseri umani veri che vivono quel luogo.

Gli uomini vi si recano in prevalenza al mattino, quando le mogli non li vogliono tra i piedi perché devono pulire casa e perciò loro vanno all’orto come se andassero ancora in ufficio o comunque al lavoro e con orari ben precisi.

Alcuni si sono organizzati come solo i maschi artigiani sanno fare e si sono costruiti piccole casette con poche assi e quello diventa il loro nuovo mondo.

Spesso, tra un’innaffiatura e una potatura, si siedono all’interno e cominciano a telefonare a destra e a manca, forse qualcuno anche all’amante che però è ancora in età da lavoro.

Le femmine invece arrivano all’ora di merenda e sono sempre tre o quattro insieme e più che altro, mentre raccolgono una zucchina da una e l’altra raccoglie due pomodori o melanzane dall’altra, si capisce che sono lì per chiacchierare e infatti in un paio d’ore passano in rassegna tutte le parentele parlandone malissimo e mostrando come sentimento prevalente una strisciante invidia per le altre donne, figlie e nuore soprattutto, che a parer loro non sono capaci di far nulla se non stare in qualche ufficio e così raccontano di nipotini che mangiano perfino il minestrone ma solo il “loro” minestrone ché quello della mamma loro non è buono e solo quello della nonna pare essere commestibile e poi giù con panni da stirare in vece delle figlie o delle nuore e di lavatrici fatte male e via dicendo.

Il loro chiacchiericcio si spande per tutto l’orto e ti fa sentire a casa tanto i discorsi e le lamentele si somigliano ad ogni latitudine.

L’arrivo dei maschi che vengono per un’ultima innaffiata e sistematina prima del riposo notturno, interrompe il dolce tran tran dell’orto e mentre le signore scappano a casa urlando improvvisamente che è tanto tardi e loro devono preparare la cena se no nessuno lo fa, ecco che l’orto ritorna silenzioso.

Gli uomini non parlano tra di loro e probabilmente si accontentano del rimuginìo interno per non crear guai….

Tra tutti però spicca una coppia che si discosta dal resto dell’umanità dell’orto.

Sono due pensionati venuti chissà quando dalla Puglia e che, si vede, non possono vivere senza lavorare la terra ovunque sia.

Lei bassina e larga e un occhio sguercio, vecchia, un cappellino piccolo e strano sempre in testa lavora come un uomo, piccona e vanga con incredibile forza e velocità, mai un lamento o una parola; lui un po’ più altino e tendente ad allargarsi (mi confida che gli piacciono i dolci e che però l’età è crudele perché a volte ingrassa anche senza mangiare), viene volentieri alla mia rete per dirmi che non sono molto capace e che le mie piante sono un po’ miserine e mi dà dei buoni consigli.

Lo fa in modo semplice e gentile e infatti non è proprio il caso di offendersi e lo ringrazio per l’aiuto.

Lei, la moglie, che pare non veder nulla mentre lavora come un treno che corre, ogni volta gli rivolge un cenno col capo e lui capisce al volo che deve prendere due cespi di insalata e porgermeli al di sopra della rete che ci divide.

Sono molto generosi ma quel che mi colpisce è il loro affiatamento, l’armonia che trasmettono insieme e stasera guardandoli meglio e cioè con altri occhi, ho pensato che mi piacciono molto, che lui, vecchio contadino un po’ grosso, è un bell’uomo e che certamente questi due fanno l’amore e lo fanno in silenzio; e le mani abituate alla terra, a tirare, a strappare, scavare, seminare…con quelle mani invecchiate più del dovuto ma di cui vanno fieri e infatti sono belle mani, esplorano in silenzio la loro età, come vecchie piante abituate a tutto e in silenzio accettano la vita così com’è.

Nei loro vecchi corpi solidi sanno trovare ciò che altri, belli e giovani, spesso non trovano: il piacere vero, profondo e intelligente di chi non si oppone e conosce la vita dalle radici ai fiori e ai frutti maturi e profumati.

Sì, nessuno me lo dice, ma io so che quei due si conoscono nel più bel senso del termine.

Li guardo con rispetto e forse per questo lei, l’ultima del mondo per aspetto e abiti, vuole sempre regalarmi qualcosa.

Così va il mondo e così va all’orto.

Lavorare la terra insegna molto e invece di costosissime terapie penso, uscendo sulla strada e tornando all’altra vita, quella fuori dall’orto, che farebbe molto bene a tanti disperati esistenziali.

Dismessi i panni del coltivatore, sudata e sporca di terra nelle mani e nei piedi, risalgo verso la macchina, torno a casa e ripulitami di tutto prendo in mano il computer e leggo le ultime notizie.

L’orto, ben lavorato, aspetta anche lui la pioggia e poi di nuovo il sole in un infinito (così vorremmo noi uomini) susseguirsi di alternanze che prenderanno poi forma.

Mille forme.

Chiara Del Nero