Il vento, all’alba

Da almeno tre mesi lontano da roulette, agenzie ippiche, biliardi e bische, tranquillo, in studio, vado riordinando le carte di un polveroso fascicolo il cui contenuto ho del tutto dimenticato quand’ecco una scampanellata alla porta  e appare Roby.

“Senti”, mi fa subito evitando i convenevoli, “mi devi fare un piacere.

Ho qui un assegno di un milione e ottocentomila lire.

E’ di un tale, un conoscente fidato di Catania.

Io, lo sai, con tutte le gabole che ho combinato, non ho un conto corrente bancario.

Lo incassi tu?

Chiedi il bene fondi, ti fai dare la grana e me la passi.

Per un amico:::”

 

Un amico?

Fa  presto a dirlo Roby, ma va bene perché quel che ci unisce è molto di più dell’amicizia.

Ci legano gesti, momenti, comunanze, risa, alterchi, una ‘serie’ uscita tre volte di fila, un cinque sponde, un poker di re, un cavallo ‘stampato’ sul palo, le notti, e, insomma, il gioco.

E così, “Andiamo”, gli faccio e, senza minimamente sospettarlo, do il via a una nuova avventura.

 

In banca, il funzionario telefona e conferma che l’assegno è coperto.

Prendo i soldi e li giro a Roby.

“Ci vediamo”, mi dice.

“Grazie” e se ne va.

 

Un paio di giorni e verso le tre del pomeriggio suona il telefono.

E’ quel tale, quello che ha governato l’operazione al Credito V…

“Scusi, dottore”, ha una voce strana e pare davvero imbarazzato.

“Vede, ci hanno appena comunicato che l’assegno che lei ha bancato l’altro ieri non è coperto.

E’ vero, al momento dell’incasso i denari c’erano ma sono stati prelevati dal conto interessato subito dopo.

Un vecchio trucco.

Non che noi si pensi che lei ne fosse al corrente, per carità.

Ma, purtroppo, per evitare storie e problemi legali, sarà bene che venga a versare quella stessa cifra al massimo domattina all’apertura”.

La fa facile il ragioniere, ma dove diavolo li trovo in poche ore un milione e ottocentomila lire?

Sotto il materasso?

 

Calma.

Malgrado tutto, calma.

A chi posso chiedere?

Un giro di telefonate.

Qualcuno si defila, altri mi dicono di non averli tutti quei quattrini.

Un paio potrebbero, ma si chiedono come e quando sarò in grado di restituirli…

 

Non resta che cercare Roby: mi ha messo lui nei pasticci.

In sala corse? Non c’è.

Nel circolo di via B…? Neppure.

L’unica è vedere se è a Campione.

Salto in macchina e via.

 

Mezzanotte è passata da un pezzo quando arrivo al casinò.

All’entrata, chiedo al fisionomista.

L’ha visto entrare un paio d’ore fa e non è uscito.

“Guardi nel privé”, conclude.

Eccolo.

Staziona davanti a una roulette con l’aria schifata e le mani in tasca.

Non ha l’aspetto di uno che stia vincendo.

“Ciao”, gli dico affiancandolo.

“Bel giochetto mi hai fatto.

La banca vuole i soldi domani all’apertura.

Ti tocca trovarli”.

Nessun tono minaccioso, nessun piagnisteo.

Non servirebbero.

Non fa una piega: “Andiamo al bar e ragioniamoci sopra”, dice avviandosi.

 

Una coca io, una birra lui.

Uno di fronte all’altro, in silenzio.

Lascio che pensi.

Cinque minuti o forse meno e mi fa “Un paio di squilli e aggiustiamo tutto. Aspetta”.

Si avvia – non lo perdo di vista un secondo – al bancone e chiede il telefono.

Parla con un una e poi con una seconda persona.

Torna.

“Conviene mettersi in macchina subito. C’è da viaggiare”, dice e non va oltre nelle spiegazioni.

Non gli chiedo niente: l’importante è che, alla fine, in un modo o nell’altro, io abbia in mano la maledetta grana.

 

Una strada lunga e finiamo in campagna, là nel Pavese.

Il cielo comincia schiarire ed ecco una grande fattoria.

La costruzione centrale è davvero imponente e intorno le stalle e i fienili.

Sull’aia, al vento che lo scompiglia creando giochi e strani mulinelli, un enorme ammasso, un’infinità di grani di frumento.

Guardo lo spettacolo incantato.

 

Verso le cinque e tre quarti, dalla casa esce un omone e viene verso di noi.

“Ti pare il modo”, dice, aggressivo, a Roby che è sceso e lo aspetta.

“Credi che i soldi li tenga nella zuccheriera in cucina?

E poi, non li devo a te ma a Germano.

E’ con lui che li ho persi.

Tu cosa c’entri? Che vuoi?”.

Calmo, conoscendo di certo il suo pollo, Roby lo prende a braccetto.

“Non fare il furbo con me.

So che Germano ti ha telefonato stanotte e ti ha detto come stanno le cose.

E poi, il denaro ce l’hai.

Magari non nella zuccheriera ma so che ce l’hai”, lo sento dire mentre si allontanano in direzione della fattoria.

 

Un quarto d’ora, ed ecco l’amico di ritorno.

Entra in auto, si mette una mano in tasca e mi passa un rotolo di assegni postali.

Un sacco e tutti al portatore.

“Eccoti i soldi. Tranquillo, non manca una lira”, mette in moto e parte.

“Senti”, gli faccio”, Te la vedi tu con Germano.

Io sono a posto? Non è che poi viene a trovarmi lui e…?”

“La faccenda finisce qui.

Con Germano me la vedo io. Siamo d’accordo”.

 

Otto e venti: ho appena finito di girare gli chèque.

Il Credito V… apre ed entro.

Chiedo del funzionario che segue la pratica.

Arriva, dà un’occhiata agli assegni e vorrebbe chiedermi da dove diavolo vengono.

“Sono sicuri?”, mi fa.

“Perbacco!”, replico con la faccia giusta, ma so che dovrò passare un paio di giorni col fiato sospeso per averne conferma.

 

Le nove ed arrivo a casa.

Il momento peggiore.

“Dove sei stato tutta la notte?

Sei un delinquente!

Potevi almeno avvertire.

Eravamo preoccupatissime” e via così.

Le ragazze sono a scuola ma Flora è qui che aspetta.

“Hai smesso o no con il gioco? Come si fa a crederti?”

Cosa le dico?

Le racconto tutto per farmi gridare in faccia che sono stato un cretino a fidarmi di uno come Roby?

E poi, mi crederebbe?

“Avevo una vecchia questione da mettere a posto”, mi vien fatto di dirle, “Un debito da saldare.

Adesso è davvero finita”.

Urla ancora, ma sono a casa e, in fondo, è l’unica cosa che conta.

Mauro della Porta Raffo