America

L’impegno più pressante era il cambiar bandiera.

Il Comune di Poggio Berni, un paesotto di campagna nel Riminese, era nel cuore della Linea Gotica, l’ultima speranza della Wehrmacht impegnata, dopo tante sconfitte, nell’atto finale, detto Guerra Difensiva (che mi fa venire in mente – scusate la deformazione professionale – il Catenaccio di Viani e Brera).

Era finita l’estate del Quarantaquattro e mio padre, segretario del comune la cui casa era diventata da oltre un anno la nostra casa, dovette issare ancora la bandiera tedesca.

Erano ritornati, i ‘Tognini’, il comando usava il Municipio come base e mia mamma doveva preparargli la cena anche se non c’era più niente da mangiare (ma gli ufficiali tedeschi – ormai lo sapevamo da tempo – portavano carne e zucchero e gallette della loro riserva).

Paradossalmente erano i più umani.

In realtà fra loro non c’erano esse-esse.

Erano soldati veri (così diceva mia mamma, fascistona, papà non si sbilanciava, lui nel suo ruolo era l’Italia…) mentre quando davanti al comune sventolava la bandiera britannica voleva dire che avevamo in casa inglesi e scozzesi, cafoni e ladroni: svuotavano la nostra misera dispensa, trattavano mia madre da serva, si soffiavano il naso con le dita, mettevano le zampe stivalate sul tavolo e ordinavano cibo come fossero gransignori.

Erano solo i vincitori di un giorno.

Poi tornavano i doich, loro scappavano portandosi dietro i gurkha e altri gruppi di indiani inturbantati.

Da Poggio Berni si poteva seguire la guerra minuto per minuto: alle conquiste territoriali che provocavano il cambiabandiera s’inframmezzavano le battaglie aeree e i cannoneggiamenti.

Correvamo nelle grotte/rifugio e si stava lì, ormai neppure più capaci di avere paura, in attesa della sosta.

Si viveva così, non terrorizzati ma affamati, si sopravviveva soprattutto perché a Camerano, lì vicino, c’erano frutteti e verdura in quantità.

Papà non ne poteva più, della guerra, e qualche volta lo sentivo ragnare con la mamma, guerrafondaia:

“Sai cosa vuol dire, Gina, quest’andirivieni?

Stiamo perdendo la guerra…

I tedeschi mancano da giorni, dicono che li abbiano bloccati a Rimini…”.

“Tu ti arrendi subito – strillava mia mamma, mai un lamento o lacrime – non pensi a Cleto lassù al Nord”.

Mio fratello maggiore, Cleto, finito il liceo si era arruolato nella Repubblica Sociale.

Mio padre aveva sentito dire bene, dei tedeschi bloccati a Rimini.

 

È diventata storia.

“25 Agosto – 30 Settembre 1944

La battaglia di Rimini raccontata dagli americani:

“Ora siamo all’ultimo salto.

Rapidamente e segretamente abbiamo mosso un esercito di immensa forza e di dirompente potenza per infrangere la Linea Gotica.

La vittoria nelle prossime battaglie significherà il principio della fine per gli eserciti tedeschi in Italia.”

(Generale Leese eppoi tanti racconti di Amedeo Montemaggi, storico della Linea Gotica che avrebbe pubblicato il mio primo articolo sul Carlino di Rimini, nel ’57).

Furono giorni terribili.

Il cielo illuminato dai bengala, cannoni e mitraglie senza pause, tutti nel rifugio, noi del paese, affamati e stavolta spaventati davvero.

Durò un bel po’.

Poi un lungo silenzio e nessuno osava mettere il naso fuori della grotta.

Io ero steso per terra e mia mamma aveva smesso di guerreggiare: “Sta morendo di fame”.

Avevo cinque anni, ricordo come fosse adesso.

Ricordo che sentimmo molti motori fuori della grotta, rumore di gente che gridava, poi qualcuno entrò e non si capiva chi fosse perché la porta del rifugio era piena di sole e le figure sembravano ombre in movimento.

Aprii meglio gli occhi per vedere e all’improvviso mi trovai addosso una faccia nera con due grandi occhi bianchi, eppoi una mano nera che mi accarezzava e poi in quella mano comparve una scatola, e ancora un pezzo di pane bianchissimo.

Quella mano nera aprì la scatola e tirò fuori qualcosa che sembrava carne, una carne rosa come il palmo della mano nera.

Quell’uomo nero – finalmente lo vedevo, e vedevo una divisa nuova: non tedesco, né inglese – fece un panino e a pezzetti mi imboccò.

Mangiai.

Vicino a me, mia mamma era del tutto rappacificata col mondo. Guardò lui, guardò me, e mi disse :

“Non aver paura, è un americano”.

E dopo un po’, alla luce del sole, mio padre:

“La guerra è finita, è arrivata l’America”.

Sembrava la radio.

La bandiera americana fu issata davanti al Comune e ci restò.

Dopo qualche giorno arrivò purtroppo anche l’Italia: uno del CLN del nostro paese, Sassocorvaro, era venuto apposta ad arrestare mio padre.

Collaborazionista – diceva – perché aveva un figlio con Mussolini.

Sparì mio padre (sparirono anche i suoi risparmi contenuti in un cassetto…) ma prima che lo caricassero su una camionetta, un ufficiale americano che aveva in testa un cappello rosso disse a quei ceffi :

“Attenti voi, questa è una buona persona…”.

Mia mamma dovette ringraziare il Governatore americano e l’America  incontrati sulla Linea Gotica.

Italo Cucci