Il ‘sogno americano’ è ancora tanto forte da farmi venire le lacrime agli occhi

Ogni mattina, a Parigi, percorrendo a piedi il tratto di strada che separa casa dal mio ufficio, passo attraverso una piazza poco conosciuta: Place des Etats Unis, piazza degli Stati Uniti.

Accanto a un giardino ben curato sorge una grande statua: Lafayette e Washington si stringono la mano.

E’il simbolo dell’amicizia franco americana.

I francesi ricordano orgogliosamente che Lafayette si imbarcò per gli Stati Uniti per combattere al fianco dei ribelli contro la corona inglese quando in Francia c’era ancora il re e di rivoluzione non si parlava.

D’altronde molti studiosi mettono insieme le rivoluzioni americana e francese con un solo nome: ‘la rivoluzione atlantica’.

Una rivoluzione che ha lasciato segni ben più duraturi di quella bolscevica.

Ci sono però profonde differenze fra la declinazione americana della rivoluzione atlantica e quella francese.

Quella per me cruciale è il diritto alla ricerca della felicità, assente a Parigi, centrale a Washington.

Anni fa, seguendo a New York un congresso del partito repubblicano, ne ebbi una descrizione a mio parere fulminante da Susan Molinari ‘keynote speaker’ del congresso.

I keynote speaker danno il senso profondo a tutto un congresso.

Mario Cuomo, l’indimenticabile governatore del New York da poco scomparso, fu formidabile nell’introdurre la convention democratica.

Susan Molinari, molto più giovane e meno attrezzata di Cuomo, spiazzò tutti raccontando la storia della sua famiglia (immigrati di origine italiana) come simbolo di un programma politico ideale dei repubblicani nello spirito della ricerca della felicità sancita dalla Dichiarazione di Indipendenza.

“Mio padre emigrò qui dall’Italia e coltivò il suo sogno: sposare la sua bella (‘sweetheart’), mettere su casa, farsi una famiglia”.

La sua semplicità, forse  un poco naif agli occhi di noi europei, è per me esemplare: nessun programma sociale, nessun intento di raddrizzare il ‘legno storto’del mondo.

Il ‘sogno americano’ tramandato di padre in figlio.

Ripenso a tutto questo vivendo in Francia dove lo Stato con la S maiuscola è chiamato a interpretare ed applicare la Costituzione calando dall’alto principi astratti.

E’ giusto o no lavorare la domenica?

Il vecchio Molinari non ci avrebbe pensato un attimo: lui lavorava anche di notte per costruirsi pezzo per pezzo il suo ‘sogno americano’.

In Francia no: lo Stato affronta il problema appunto in astratto.

Prima si afferma che la domenica non si deve lavorare per proteggere la famiglia.

Poi ecco un’eccezione per i beni necessari: medicinali, cibo…

E il bricolage, che di solito si fa la domenica?

Solo in qualche zona.

E che fare se i turisti scappano a fare shopping nella vicina Londra dove tutto funziona ventiquattro ore su ventiquattro?

Allora si può aprire, ma solo una domenica su due ed esclusivamente in zone ad alto interesse turistico.

Ma i sindacati ricorrono: vendere sugli Champs Elysees generi superflui come i cosmetici viola i principi costituzionali.

Ricorso in punto di diritto: vinto.

I sindacati esultano.

Centinaia di lavoratori vengono licenziati.

Tutto questo, agli occhi di un ‘ex americano’ come me, sembra davvero assurdo ma dimostra la forza della rivoluzione USA rispetto a quella francese.

Certo i nemici del liberismo selvaggio possono additare mille storture nei diritti dei lavoratori nel libero mercato americano e io stesso ne sono stato testimone.

Ma oggi ho sotto gli occhi i nipoti di Voltaire e Robespierre e mi viene nostalgia di Washington ed Hamilton.

Che poi anche i loro ideali siano stati traditi è un’altra storia.

Il ‘sogno americano’, ogni volta che passo per Place des Etats Unis la mattina, è ancora così forte da farmi venire  le lacrime  agli occhi.

Antonio Di Bella