Possibile identificare il vero ‘numero uno’ nello sport?

Antica e irrisolta questione nell’ambito sportivo guardando agli sport individuali: è possibile identificare il più bravo, il più forte, il ‘numero uno’ di tutti tempi, ‘all time’?
Da questo punto di vista, sembrerebbe netta la differenza tra le discipline per così dire ‘a mani nude’ e le altre.
Che so? nella boxe dovrebbe essere meno complicato arrivare a una conclusione: si combatte oggi come cento anni fa, per dire.
Non così nelle discipline nelle quali si usi un attrezzo: la racchetta da tennis, per esempio, è cambiata moltissimo nel trascorrere dei decenni.
Dovrebbe…, sembrerebbe…
Nessuna certezza, difatti: non pochi cultori – per restare al pugilato – non ritengono possibili paragoni, per esempio, tra Jack Johnson, Rochy Marciano e Muhammad Ali.
E’ vero, tutti e tre usavano i pugni, tutti e tre avevano i guantoni tutti e tre si attenevano alle medesime regole ma, per dirne una, non hanno avuto gli stessi avversari e, ci si chiede, erano più competitivi i pugili sconfitti dall’uno o quelli battuti dall’altro?
E, aggiungo io, da qualche non poco tempo i match per i titoli mondiali si disputano al limite dei dodici round quando prima prima si andava a oltranza e  poi si combatteva sulle quindici riprese.
E nove minuti (questione di resistenza) in più possono cambiare tutto: se l’incontro tra Marciano e Jersey Joe Walcott che consentì all’italo americano di conquistare la cintura di campione si fosse concluso al dodicesimo suono della campana l’esito sarebbe stato tutt’altro visto che Walcott era nettamente avanti nei cartellini dei giudici.
Fu nel tredicesimo round che Rocky stese l’avversario col più memorabile dei KO!
Quanto allo sport ‘dei gesti bianchi’ (così lo definiva il grande Gianni Clerici), anche qui – e, direi, per ogni altrove agonistico – a parte il cambio della racchetta, come sarebbe possibile paragonare senza possibili critiche ed obiezioni gli avversari negli anni Venti di Bill Tilden a quelli nei Sessanta di Rod Laver e a quelli affrontati nel primo decennio e poco oltre del terzo millennio da Roger Federer?
E che dire di quel gruppone di campioni che si sono trovati, tutti insieme o pressappoco, a giocare negli anni Settanta/Ottanta/Novanta: Bjorn Borg, John McEnrore, Jimmy Connors, Ivan Lendl, Stefan Edberg, Boris Becker, Pete Sampras, Andre Agassi…?
In altri momenti, con differenti competitors, non calpestandosi i piedi l’un l’altro, presi uno per uno, non sarebbero stati inarrivabili o quasi?
Tra i molti tennisti citati, forse, alla fine, una menzione speciale va a William ‘Bill’ Tilden, il vero dominatore degli anni Venti: tre Wimbledon e sette Campionati USA praticamente in un decennio.
Stando a quanto racconta Michael Parrish (‘L’età dell’ansia’), Bill si divertiva a giocare ad handicap.
Spesso, volutamente, lasciava all’avversario di turno i primi due set per poi batterlo al quinto.
Gli spettatori aspettavano il momento del cambio di passo del tennista di Philadelphia, momento che era immancabilmente segnalato da due accadimenti: si toglieva il pullover col quale aveva giocato dai primi scambi e, soprattutto, si rovesciava in testa una brocca d’acqua gelata!
Nessuno, neppure Tom Mix o John Barrymore, avevano a quei tempi un senso del colpo di teatro superiore al suo.

Mauro della Porta Raffo