La vita in rosa che non ho vissuto

Non ho mai avuto una macchina blu.

Meglio: l’ho avuta per poche ore, viaggio Milano – Como.

Oggetto: ricerca abitazione congrua per vicedirettore Gazzetta dello Sport.

Diciamo 1980.

Diciamo.

Stavo preparando i bagagli per Mosca.

Destinazione Olimpiadi.

Le più significative del Ventesimo Secolo.

Passò lo sport, presto fu perestroika, glasnost, quel che vi pare: cominciò a crescere l’idea della Libertà, veloce come il Pietro Mennea dello Stadio Lenin che mi fece piangere e ricordare – chissà perché – Jesse Owens.

Mi aveva invitato a Milano Gino Palumbo, il direttore della Rosea che qualche tempo prima, mentre era in esilio alla Rusconi per avere pubblicato sul Corriere d’Informazione un titolo scandaloso, avevo candidato alla guida della Bibbia dello Sport avviata verso un disastro editoriale.

Dimenticavo il titolo: ‘I metalmeccanici hanno sempre ragione’ (Sorbole, mi dissi allora: con quei padroni che ha il Corriere…).

Dunque: Gino m’invita, dovrei lasciare il Guerin Sportivo, ma forse è ora di fare il salto.

C’è già stato un assaggio in un breve incontro al Circolo della Stampa, Palazzo Serbelloni.

Stavolta porto mia moglie, siamo già a cercar casa…

Prima parliamo del contratto (e dei soldi ) a Piazza Belgioioso, dove sono gli uffici “segreti” della Rizzoli.

Ricordo che con Gino c’erano Gigi Boccaccini (vecchio amico, già capo dello sport della Stampa di Torino) e il signor Caio Rossi ch’era il più importante è rappresentava Tassan Din, più gente d’amministrazione.

Ok per i soldi (li sogno ancora), vediamo la casa.

Prima un salto a Milano  Due guidati da Moccagatta, l’uomo di Berlusconi: appartamento super, giardino privato, scuola a due passi, supermercato chic, ristorante, c’è tutto, anche per i figli.

Mia moglie: “Allevamento per polli”.

Lei è bolognese e viviamo a San Lazzaro, in via Galletta, strada di campagna con piole e contadini.

No,no, Non fa per noi.

Idea – dice uno – : quella casa di Como…

Vedrá…

Laggiù c’era il lago, incorniciato nei finestroni luminosi, la villa era di una signora americana che “lasciava a disposizione tutto” e raccomandava alcuni Buchi di Burri e Tagli di Fontana (“non si preoccupi, sono assicurati”).

Io e Grazia ci guardammo negli occhi, ci facevamo un po’ schifo, siamo gente di passo, noi, non riccastri, nè Cafè Society..

Vabbè – dice Gino – una soluzione si troverà.

Come no?

Il bello è che della Gazzetta non abbiamo neanche parlato, sapevamo già che cosa c’era da fare, e in fretta, perché Palumbo se ne sarebbe andato e sarebbe toccato a me, sostituirlo.

Una Vita in Rosa.

Mica male.

Tornammo verso casa con la nostra Volvo verdina, quasi silenziosi, strano perché in genere con Grazia era dibattito. Sempre.

Non eravamo ancora a Casalecchio, mi venne in mente che Caio Rossi aveva chiesto di telefonargli verso sera.

Forse aveva la casa giusta…

Uno stop all’Agip, due squilli e rispose piazza Belgioioso, non lui, Rossi, ma un suo assistente:

“Mi scusi – mi sentii dire – la cosa non è importantissima ma è giusto che lei sappia: l’Editore ha preso l’impegno con il Comitato di Redazione di pubblicizzare i contratti dei dirigenti e siccome il suo sarebbe più alto di quello di… lei dovrebbe accettare una parte, come dire, ufficiosa…”. In nero.

“Farò sapere”, dissi; salito in macchina comunicai a mia moglie quel che avevo deciso: “Restiamo a Bologna”.

Fu così contenta che non mi chiese subito il perché.

Glielo spiegai, aggiungendo: “Ti ricordi cosa mi diceva mio padre? Italo, stai sempre attento ai carabinieri…”.

Dissi no alla Gazzetta, Palumbo, seccato, non si fece più sentire.

Solo molto tempo dopo, quando il Guerin decise di dargli un premio per le maxitirature della Rosea, mi abbracciò e mi disse in un orecchio: “Tu sapevi tutto della Pidue, vero?

Potevi dirlo anche a me…”.

Non osai deluderlo.

Che scoop.

Italo Cucci