Il comitato internazionale della Croce Rossa e il rispetto del diritto internazionale umanitario

Pubblichiamo di seguito un contributo di Cornelio Sommaruga già Presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa (1987-1999). – MdPR

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Sono un giurista dell’‘Alma Mater Thuricensis’, che dopo una carriera professionale specialmente dedicata alla diplomazia economica, si è trovato chiamato a coprire una delle cariche – che si dice essere – fra le più delicate del mondo contemporaneo, quella di ‘Presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) a Ginevra’, l’organo responsabile di portare protezione ed assistenza a tutte le vittime dei conflitti armati, che siano internazionali o no.

Ruolo delicato si, in quanto, come diceva uno dei miei predecessori, il Presidente del CICR è un nuotatore solitario nell’oceano della politica mondiale, che deve essere sufficientemente accorto e forte per non bere, non abboccare alle tante esche, che lo porterebbero senz’altro ad affogare, perdendo la sua credibilità di intermediario umanitario neutro, indipendente ed imparziale.

E’ così che diventa comprensibile il mio motto per la presidenza del CICR: ‘costanza, rigore, umiltà!’

 

Effettivamente questa istituzione – organizzazione internazionale sui generische trae il suo mandato dalle Convenzioni di Ginevra è un ‘Associazione secondo il Codice civile svizzero composta da quindici a venticinque membri di cittadinanza svizzera’, che vengono cooptati, senza alcuna ingerenza da parte del Governo svizzero.

Dall’Associazione dipendono i circa tredicimila delegati e collaboratori a Ginevra ed in settanta paesi, delle nazionalità le più diverse, che hanno come obiettivo di proteggere ed assistere le vittime di conflitti armati.

Il finanziamento è specialmente quello di Governi, senza alcuna chiave di ripartizione, che raggiunge oggi un preventivo di oltre un miliardo di franchi svizzeri

 

Ma il CICR – non dimentichiamolo – è anche il ‘guardiano del Diritto internazionale umanitario’, la cui elaborazione è stata largamente sua responsabilità sin dalla sua fondazione nel 1863; il CICR si è dato come vocazione di promuoverne lo sviluppo e di vegliare alla sua applicazione ed al suo rispetto.

 

È proprio su questo rispetto, sfida permanente del CICR e non solo di esso, che vorrei mettere qui di seguito l’accento.

Il Diritto umanitario non è un diritto che si invoca regolarmente nella solennità dei pretori.

Nato dalla guerra, è nei conflitti armati che vuole far sentire la sua voce.

Protesta contro la forma estrema di violenza che mette Stati contro Stati o contro movimenti armati di opposizione, non ha come scopo di giudicare delle motivazioni che hanno portato l’uno o l’altro dei belligeranti a ricorrere alle armi.

La sua portata di ‘ius in bello’ è altrove : sono altre giurisdizioni che avranno eventualmente da giudicare sul ‘jus ad bellum’.

L’obiettivo del Diritto umanitario è più immediato e più elevato : davanti alle sofferenze causate da conflitti armati, ricorda ai belligeranti il dovere comune di umanità; nel chiasso delle armi costruisce un’ultima barriera alla violenza dell’uomo contro l’uomo.

Fu la battaglia di Solferino (nella Seconda guerra di Indipendenza d’Italia) nel 1859 che indusse Henry Dunant, oltre a portare soccorso ai feriti nella Chiesa maggiore di Castiglione delle Stiviere, a prendere l’iniziativa di elaborare una convenzione per migliorare la sorte dei militari feriti negli eserciti in campagna.

Era un postulato già avanzato dal chirurgo napoletano Ferdinando Palasciano, quello stesso che aveva curato Garibaldi per la sua ferita sull’Aspromonte.

E’così che nacque la prima Convenzione di Ginevra nel 1864.

Il Diritto umanitario sarebbe rimasto teorico se i redattori della Convenzione non avessero avuto la preoccupazione di dare alla protezione dei feriti e del personale di assistenza un’espressione concreta.

Adottando l’emblema della croce rossa come simbolo visibile riconosciuto dell’immunità, avevano anche dato alla Convenzione lo strumento operazionale della sua applicazione.

È questo senso del realismo e questa dinamica di messa in opera che danno al Diritto umanitario i mezzi della sua autorità, in quanto – il Comitato internazionale, attivo in tanti conflitti, lo sa meglio di chiunque – per soccorrere e proteggere le vittime di guerra non bastano formule altisonanti che restano lettere morte.

 

Nel frattempo gli emblemi protettori sono tre: oltre alla croce rossa, le Convenzioni prevedono la mezzaluna rossa (1929) ed il cristallo rosso (2005).

Le Convenzioni sono ormai quattro, universalmente ratificate nei loro testi del 1949, ma molto importanti sono i due Protocolli aggiuntivi del 1977 che hanno, per conflitti internazionali ed interni, rinforzato la protezione ed il rispetto della popolazione civile, già largamente prevista dall’articolo tre comune alle quattro Convenzioni che declama le regole assolute di umanità da rispettare in ogni circostanza.

 

Giuristi e politici s’accordano per definire il Diritto umanitario come espressione d’equilibrio tra gli imperativi militari e le esigenze dell’umanità.

Non è quindi da meravigliarsi che nel secolo scorso il Diritto internazionale umanitario abbia conosciuto le tappe le più importanti del suo sviluppo, a causa dei drammi delle due guerre mondiali, della guerra civile spagnola, delle numerose guerre di liberazione nazionale e dei vari conflitti interni specialmente africani, come il genocidio del Ruanda, le varie guerre nell’ex Jugoslavia o il caotico conflitto della Somalia, che persiste.

Durante questi scontri armati gli equilibri umanitari stabiliti precedentemente sono spesso stati messi in causa dall’evoluzione della guerra verso una forma sempre più totale, a causa dello sviluppo delle armi, del razzismo e delle ideologie totalitarie.

Da tre decenni sono soprattutto i conflitti interni, ed il terrorismo in seno a questi conflitti, che – tristemente – stimolano la nostra riflessione.

 

Già le Convenzioni del 1949 introducevano una disposizione (l’art 3 comune) che fa obbligo ai protagonisti di un conflitto interno di trattare con umanità i civili che non partecipano alle ostilità, i feriti, i malati ed i prigionieri.

Sono i principi fondamentali del Diritto umanitario che penetrano all’interno delle frontiere degli stati per fondare un vero diritto dell’umanità in virtù del quale la persona umana, la sua integrità fisica, la sua dignità devono essere rispettate in nome dei principi morali che oltrepassano i limiti di un Diritto internazionale fino allora confinato ai soli conflitti fra Nazioni.

Ma era una timida apertura, in quanto gli Stati erano reticenti ad accettare dei meccanismi atti a garantirne il controllo e l’applicazione.

 

Ma anche la lunga Conferenza diplomatica dal 1974 al 1977, durante la quale furono negoziati i Protocolli aggiuntivi, non è veramente riuscita ad eliminare questa ipoteca.

Il CICR resta ancora oggi nei conflitti interni largamente tributario dei propri negoziati per riuscire a proteggere ed assistere i civili ed altre vittime ‘hors de combat’.

Questa Conferenza diplomatica ha tuttavia avuto il merito di associare per la prima volta ai suoi lavori molti paesi da poco indipendenti (erano centoventiquattro nel 1977 e solo cinquantanove nel 1949), facendo in modo che il dibattito umanitario tendesse ad oltrepassare le differenze politiche, culturali, storiche ed economiche, per raggiungere una concezione convergente delle esigenze dell’umanità.

 

Oltre ad avere rinforzato considerevolmente, per conflitti interni ed internazionali, la protezione della popolazione civile, i Protocolli aggiuntivi del 1977 sono riusciti ad integrare e completare le disposizioni del “diritto di guerra” (il cosiddetto Diritto dell’Aia), dando al Diritto internazionale umanitario una coerenza ed una globalità che lo sviluppo dell’industria bellica ed i metodi di combattimento rendevano imperativamente necessarie.

Diverse disposizioni adottate quasi quaranta anni fa obbligano le parti belligeranti di fare costantemente la distinzione tra popolazione civile ed obiettivi militari.

Gli attacchi contro i civili ed i beni indispensabili alla loro sopravvivenza, come anche quelli diretti a sbarramenti, dighe, centrali nucleari per produzione di energia elettrica, come pure attacchi che comportano danni gravi e durevoli contro l’ambiente naturale sono espressamente proibiti. In questo senso, una della disposizioni del Primo Protocollo aggiuntivo, che resta di perfetta attualità, merita di essere ricordata.

Essa dice (art. 35,2) “è vietato l’impiego di armi proiettili e sostanze, nonché metodi di guerra capaci di causare mali superflui o sofferenze inutili”.

Queste disposizioni hanno servito, quale base a molti negoziati sui limiti di uso di determinate armi convenzionali e le ho personalmente invocate quando nel febbraio del 1994 lanciai l’appello per la proibizione assoluta delle mine antipersona.

 

Come l’importante studio del CICR sul Diritto internazionale umanitario consuetudinario, ancora da me lanciato nel 1996 su iniziativa della Conferenza internazionale della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa del 1995 lo sottolinea, queste disposizioni relative al limite dell’uso e dello sviluppo industriale di determinate armi convenzionali sono parte del diritto consuetudinario ed applicabili per conflitti internazionali e non internazionali a tutti gli Stati firmatari delle Convenzioni di Ginevra.

Ciò è particolarmente importante, tenuto conto che i Protocolli aggiuntivi non sono per ora universalmente ratificati.

Il Primo Protocollo aveva anche voluto rinforzare le disposizioni di applicazione del Diritto umanitario e del suo rispetto.

È così che il controllo è devoluto a delle Potenze protettrici e che è istituita (con partecipazione facoltativa) una Commissione internazionale di accertamento dei fatti.

Lo stesso Protocollo prevede poi, in caso di violazioni gravi delle Convenzioni, di agire collettivamente od individualmente in collaborazione con le Nazioni Unite e conformemente alla Carta.

Eppure le speranze sull’efficacia di queste misure nel contenere le violazioni del diritto, o anche all’applicazione dell’articolo primo comune delle quattro Convenzioni, che fa obbligo alle Parti contraenti di rispettare e far rispettare in ogni circostanza le disposizioni convenzionali, non si sono veramente realizzate.

 

Confrontati all’ampiezza dei drammi di cui siamo testimoni, possiamo seriamente domandarci quanti appelli le vittime di guerra debbano ancora lanciare per essere sentite.

Non bisogna mai tralasciare di denunciare l’immensa sofferenza delle vittime, la scalata della violenza, dell’orrore, della barbarie conflittuale e terroristica, in cui i principi fondamentali di umanità sono ignorati in via assoluta.

Effettivamente la guerra è oggi quasi dappertutto.

Popolazioni civili intere sono costrette a fuggire le loro terre, vittime di rappresaglie, tormentate, minacciate di mancanza di sussistenza, di acqua potabile, colpite da bombardamenti indiscriminati.

Donne di ogni età sono violentate, detenuti torturati, prigionieri costretti a lavorare sul fronte, sottoposti ad ogni tipo di mercanteggiamento ed altri ancora sono oggetto di esecuzioni sommarie.

Le organizzazioni umanitarie sono troppo spesso impedite di portare soccorso e protezione (vedi Siria) e talvolta sono esse stesse bersaglio di attacchi, anche letali.

È con emozione e grande tristezza che i responsabili di azioni umanitarie, protette dall’emblema della croce rossa o della mezzaluna rossa, sono testimoni di tali comportamenti: la perdita di colleghi è una dura realtà, ma quella di essere confrontati ad ostacoli alla protezione ed assistenza dovute alle vittime è almeno altrettanto umiliante.

 

In tutte queste situazioni è il rispetto delle regole umanitarie esistenti che avrebbe permesso di salvare decine di migliaia di vite e di evitare che popolazioni civili intere siano forzate ad emigrare per cercare in terra di asilo la protezione e l’assistenza di cui hanno bisogno.

 

Vorrei proclamare alto e forte che non è più tollerabile che in tutti questi conflitti, le cui conseguenze valicano in un modo o l’altro le frontiere, la sorte delle vittime resti tributaria della buona e passeggera disposizione delle parti interessate.

Dobbiamo far sapere con maggiore fermezza ai belligeranti ed altri fomentatori di violenza armata, che sono responsabili dei loro atti davanti alla comunità internazionale.

L’articolo primo comune delle Convenzioni di Ginevra, già citato, non permette alcuna ambiguità: i Paesi firmatari (ed ormai è l’assoluta totalità degli Stati) sono tenuti a far rispettare il diritto umanitario in ogni circostanza.

È un precetto giuridico evidente che deriva innanzitutto dalla responsabilità individuale degli Stati, ma che si iscrive in un quadro più largo, ogni Stato essendo tenuto di far rispettare questo stesso diritto.

Questo significa che quando uno Stato in conflitto viola l’impegno preso al momento di aderire alle Convenzioni, tutti gli altri ne diventano ugualmente responsabili, se si astengono dall’agire per mettervi fine.

 

È dunque una responsabilità collettiva di proclamare che il Diritto internazionale umanitario ratificato nelle Convenzioni di Ginevra da duecento Stati deve essere rispettato ed applicato.

Adoperiamoci in questo senso perché è la società civile che ha la forza di rendere responsabili i Governi!

Cornelio Sommaruga