Chiuso il caso Majorana?

Nei giorni scorsi, e precisamente il 4 e 5 febbraio, si è parlato sui giornali ed anche in televisione della archiviazione delle indagini, riaperte dalla Procura di Roma in seguito ad una puntata della trasmissione “Chi l’ha visto” del 2008, sulla scomparsa, nel 1938, del famoso fisico siciliano Ettore Majorana. La magistratura aveva aperto un fascicolo in seguito alla testimonianza di un meccanico di origine italiana, Francesco Fasani, morto qualche anno fa, emigrato a Valencia, in Venezuela. Questi aveva raccontato di avere conosciuto a Valencia un certo signor Bini, un uomo di mezza età, solitario e poco disponibile ad unirsi agli altri immigrati italiani ed a farsi ritrarre, con il quale non era mai riuscito a stabilire una vera amicizia dato il carattere estremamente schivo della persona. Fasani aveva saputo da un maggiorente della comunità italiana, un certo sig. Carlo, mai identificato nelle indagini, che quel sig. Bini, che aveva un accento romano e viveva con una donna in località San Raphael, tra Valencia e Maracai, era proprio Ettore Majorana. Fasani racconta che nel 1955, prestando a Bini, che ne aveva urgentemente bisogno, 150 bolivar, riuscì ad ottenere di essere fotografato insieme a lui. La foto, in quanto scattata davanti ad un ufficio bancario, ne avvalora, secondo la procura, l’autenticità. Questa immagine, consegnata alla procura di Roma, sarebbe, secondo la sentenza, la prova principe dell’identità del sig. Bini col fisico scomparso. La foto, analizzata in dettaglio dal RIS dei carabinieri, confermerebbe una perfetta somiglianza dei principali tratti fisiognomici del viso con quelli di un’immagine del padre di Ettore, Fabio, quando aveva la stessa età di 50 anni. Secondo quanto scritto dal procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani nella richiesta di archiviazione del caso, si riscontra una “perfetta sovrapponibilità delle immagini, addirittura nei particolari anatomici quali la fronte, il naso, gli zigomi, il mento e le orecchie, queste ultime anche nell’inclinazione rispetto al cranio”. Aggiunge che Fasani “pur privo di conoscenze di natura psichiatrica» fornisce «anche sotto il profilo caratteriale e comportamentale una ulteriore prova della identità tra il Bini ed Ettore Majorana”. Inoltre Fasani, dopo averne saputa la vera identità, aveva prodotto una cartolina del 1920 che aveva preso nell’auto di Bini, una Studebaker gialla ingombra di carte ed appunti che il meccanico periodicamente ripuliva, indirizzata da Quirino Majorana, zio di Ettore e noto fisico, allo statunitense W.G.Conklin riguardante ricerche che Quirino stava conducendo sulla base di suggerimenti di Conklin. L’insieme di questi fatti ha portato la Procura di Roma a concludere che lo scienziato si trasferì volontariamente all’estero “permanendo in Venezuela, almeno, nel periodo tra il 1955 e il 1959”. Inoltre la cartolina costituisce un’ulteriore conferma dell’identità Bini-Majorana “stante il rapporto di parentela con Quirino, la medesima attività di docenti di fisica e il frequente rapporto epistolare già intrattenuto tra gli stessi, avente spesso contenuto scientifico”. Si sarebbe allontanato volontariamente dall’Italia in quanto le risultanze acquisite portano ad escludere “la sussistenza di condotte delittuose o auto lesive contro la vita o contro la libertà di determinazione e movimento di Majorana”. Purtroppo sarà difficile sapere come sia arrivato, come sia vissuto e cosa abbia fatto lo scienziato in Venezuela “stante l’inerzia degli organi diplomatici venezuelani richiesti di notizia, seppure fuori dall’ambito di rogatoria giudiziaria” ad esempio concernenti il possesso di una patente di guida o documenti relativi alla proprietà di un’auto.

Possiamo finalmente dire che il caso è chiuso? Sicuramente no, a cominciare dall’opinione del fisico Antonino Zichichi (Corriere.it del 4/02/2015) che rigetta decisamente l’ipotesi dell’emigrazione in Venezuela; secondo il fisico siciliano, infatti, Majorana si era rifugiato in convento a seguito di profonde crisi mistiche, la stessa ipotesi di Leonardo Sciascia ne “La scomparsa di Majorana” ( Einaudi, 1975). Massimo Sideri (Corriere.it del 6/02/2015) riporta anche l’opinione di Salvatore Majorana, pronipote di Ettore, che appare alquanto perplesso sui risultati dell’indagine, propendendo piuttosto per la versione di Sciascia e di Zichichi. Nell’intervista Salvatore Majorana dichiara tra l’altro: «Non credo che il mio prozio Ettore Majorana si sia ucciso, nessuno di noi lo ha mai pensato. Ha voluto fare una scelta precisa – è questa l’opinione in famiglia – più in linea con le sue capacità intellettuali, i fatti che conosciamo e anche l’opinione delle persone che gli erano più vicine al tempo, cioè la zia Maria, sua sorella». Anche Ettore Majorana jr, il nipote, figlio del fratello più grande di Ettore, Luciano, si dichiara scettico (Il quotidiano del Sud, 6/02/2015, pag.43). “E’ solo propaganda” afferma “Gli elementi di queste ricerche mostrano indicazioni assolutamente opposte a quelle che portano al riconoscimento”. Il nipote del fisico, attualmente in Giappone, però si dichiara disposto “a ricredersi”. Infatti dice: ”Mi metto a disposizione per un test del dna che, pur non esaustivo, permetterebbe di escludere con alta probabilità, il riconoscimento. Il fatto è – sottolinea ancora – che nessuno ci ha mai contattato. Dovrei bloccare la chiusura del caso, non si sa aperto per quale notizia di crimine, ma non faccio in tempo”.

A quelle già menzionate sono da aggiungere anche le testimonianze di altri due giovani Majorana, che preferiscono rimanere anonimi, pubblicati sul Siciliajournal.it del 5/02/2015, raccolte e presentate da Marco Iacona: “Ettore Majorana in Venezuela? Fotografato negli anni Cinquanta? Uno dei nipoti dell’ex-ragazzo di via Panisperna, Majorana anche lui, a giudicare dalle foto – quelle per così dire “ufficiali” – somigliantissimo alla zio, non ci sta. Lo raggiungo al cellulare. C’è un po’ di stanchezza in chi è costretto a riparlare di questa storia. Ha ragione chi pensa che Majorana vada citato esclusivamente come scienziato, il più grande dopo Galilei in Italia, lasciando perdere i dati biografici. Ma come dare torto a chi da anni studia le vicende familiari e le tracce che il catanese ha lasciato prima di sparire, nel 1938? Come ignorare che è alla costante ricerca di prove o indizi? Un bel rebus, insomma. Oggi però cambia tutto. Una sentenza della procura di Roma aggiunge qualche verità di Stato. Lo scienziato non si suicidò né si chiuse in convento, come pensavano in molti; negli anni Cinquanta fu visto e fotografato in Vanezuela. La comparazione tra foto diverse di Ettore Majorana avrebbe dato un risultato sorprendente: un certo signor Bini, emigrato in Venezuela ed Ettore Majorana, genio italiano, sono la stessa persona. Tuttavia c’è un “ma” di troppo, anzi ce ne sono due. “Non vedo alcuna somiglianza nella foto proveniente da Venezuela” dice il nipote. “Innanzitutto in quella foto degli anni Cinquanta lo zio dovrebbe avere tra i quarantacinque e i cinquant’anni….il signor “Bini” sembra un ultrasessantenne. Capisco le vicissitudini che possono portare all’invecchiamento precoce, ma mi sembra un po’ troppo”. E non basta. “Altri dettagli non coincidono: orecchie, zigomi, labbra sottili, occhi…..potrei aggiungere che da giovane ero praticamente uguale gobba compresa alla zio….solo un po’ più alto. Adesso sono un cinquantenne, ho avuto una vita relativamente complessa, ma non assomiglio al signor “Bini”. Dunque? “Interessanti sono altri particolari….ad esempio la modalità che porta le persone a spacciare per reale anche ciò che nulla ha di concreto e ancora di più come ci si possa soffermare su notizie realmente sconclusionate. Aggiungo un’altra cosa interessante, a mio parere. Ho notato che a cadenze regolari, questo caso viene riportato in vita con bufale sempre nuove….a pensarci bene ogni volta che si è parlato della vicenda dello zio Ettore, era perché i giornali non avevano notizie da dare, o, peggio, preferivano non occuparsi dei reali disastri politici o economici, stimolando così i pruriti degli italiani….Adesso mi piace sperare che questa notizia sia venuta alla ribalta per mancanza di notizie e non per problemi reali. Ma non ne sono del tutto convinto…..”.

Ancora più netto un cugino di secondo grado di Ettore, abitante a Catania. Se ne potrebbero aggiungere altre con la certezza che il giudizio negativo “Quanto mai sarà costata questa “messa in scena”? Era davvero un’inchiesta così urgente? Non sarà per caso che si vuol coprire un’altra verità?”. Quale, per esempio? “Quasi nessuno ha indagato il fatto che Ettore possa essere stato eliminato da una lobby politica che intendeva colpire, a quel tempo, l’Italia. E questo aspetto della vicenda non è stato indagato anche a causa di ciò che ha scritto Laura Fermi dopo la morte del marito Enrico. Sono sicuro che la vicenda di Ettore è qualcosa di più di un semplice servizio su “Chi l’ha visto?”.

A queste opinioni è importante affiancare quella di Stefano Roncoroni, nipote di Ettore Majorana, che da anni si dedica alla figura dello scienziato catanese, ed è l’autore del libro “Ettore Majorana, lo scomparso, e la decisione irrevocabile” (Editori Riuniti, 2013). Roncoroni era già stato intervistato da me all’uscita del suo libro due anni fa (vedi “Incontri”, n.4, 2013 e la rivista on-line “Dissensi e Discordanze”, 2014). Questo è il suo commento: “A queste testimonianze di alcuni familiari di Ettore se ne potrebbero aggiungere delle altre con la certezza che il giudizio negativo su quanto prospettato dalla chiusura delle indagini della Procura, nella sostanza, non cambierebbe. Faccio qualche osservazione concreta. Per me la cartolina postale è inquietante come la firma dell’assassino, del regista o del burattinaio che tira i fili; se ne vorrebbe sapere di più. Arrivo ad ipotizzare tutta una messa in scena da parte del sig. Francesco Fasani. Non è una prova il profilo “caratteriale e comportamentale” fornito da Fasani in quanto appare tanto generico da potere appartenere a moltissime altre persone. Sicuramente quello di Ettore era più complesso. Malgrado la lunga permanenza a Roma, l’accento di Ettore sarà stato, all’epoca del ritrovamento Bini-Majorana nel 1955, leggermente siciliano come quello dei suoi fratelli, certamente non romano. Esprimo una serie di osservazioni sulle foto cui si da molta importanza: Ettore non avrebbe mai sorriso come il Bini-Majorana della foto e, soprattutto, non avrebbe fissato l’obbiettivo: la palingenesi cui si è sottoposto Ettore dopo il suo allontanamento deve essere stata totale per volere una macchina sportiva di quel tipo, per guidarla lui che era la negazione totale della guida, per vestire nel modo in cui è abbigliato nella foto, con un fare aperto e sfrontato; insostenibili una possibilità di soggiorno a Valencia e la concomitante presenza di una moglie o compagna. Dovremmo aprire il capitolo sulla supposta omosessualità di Ettore per negare questa ipotesi, ma è ancora un argomento scomodo, ancora off-limits, simile, per molti aspetti, alla vicenda del matematico Alan Touring, ma che, prima o poi, si dovrà affrontare; ci sono molti aspetti da discutere e da prendere in considerazione. Per via della sua consuetudine con il Bini-Majorana si è chiesto al Fasani se aveva mai notato la lunga cicatrice sul dorso di una mano che era stata segnalata su tutti i bollettini di ricerca? La Procura ne era a conoscenza? Non ho conosciuto Ettore Majorana, è scomparso prima che io nascessi, ma ho frequentato i suoi tre fratelli Salvatore, Luciano e Maria fino alla loro morte, quindi, da vecchi. Nessuno assomigliava al Bini; tutti quelli di buon senso, di famiglia o no, che ho ascoltato, dissentono profondamente dalla supposta identità del fisico con Bini. Personalmente il motivo per cui sono scettico davanti ai risultati dell’inchiesta della Procura Romana, come diceva, prima di me, il cugino di Catania, non è, quindi, dovuta solo al fatto di avere un’altra soluzione, non inventata ma trovata nelle pieghe della storia d’Italia, in quella della famiglia di Ettore e nella revisione del giudizio etico e morale di quel nido di vipere che fu l’Istituto di via Panisperna.

Ecco l’elenco essenziale delle ragioni per credere nell’ipotesi 1939, sapendo, però, che sono ben documentate nelle sedi opportune. La fine delle ricerche decretata dalla polizia a metà anno 1939; ugualmente la di poco precedente fine del controllo alle frontiere italiane di un Ettore Majorana in entrata o in uscita; la decadenza di Ettore da professore, più volte richiesta ma ottenuta solo alla fine del 1939; quanto risulta dalla memoria orale di quella parte romana della famiglia Majorana, da me interrogata, che indicava in quel periodo la morte del fisico; destino descritto e sancito nell’articolo inedito e non finito scritto dal capo famiglia Giuseppe Majorana dall’emblematico titolo “Ettore Majorana, lo scomparso” oggetto di analisi del mio omonimo libro; l’appellativo di “postumo” all’articolo di Ettore datogli dal suo curatore, il fisico Giovannino Gentile jr, nel 1942; l’articolo, sempre di Gentile jr in sua memoria per la Treccani scritto al passato; la lettera della Segreteria di Stato Vaticana con cui si cerca di convincere la famiglia a non ricercarlo più; l’istituzione di una borsa di studio, nella fine settembre 1939, per l’istruzione di un sacerdote gesuita accettata in nome dell’”estinto” e “defunto” Ettore Majorana. Tutte queste notizie ed infiniti altri segnali sono tutti puntualmente esaminati nel mio libro, ma non sono il solo a seguire questa strada. Ora i risultati a cui è giunta la procura creano una dicotomia, ci sono due verità che configgono tra loro e siccome nessuna delle due è ancora completamente accertata, potrà anche accadere che nessuna delle due possa essere vera; né quella delle ricerche storiche e delle fonti, ma neanche quella giudiziaria. Al momento preferisco continuare a fare i conti con questa verità del 1939, che se fosse provata escluderebbe la seconda, e solo se si scoprissero erronei, falsi e bugiardi i tanti punti fermi su cui si basa, farei il salto della quaglia al 1955. Ma se nel frattempo dalla seconda dovessero pervenire documenti inoppugnabili, di slancio e con correttezza, mi adeguerei, per amore di verità e spirito di avventura, a percorrere la pista venezuelana e a sorbire un po’ di cicuta nazista”.

Francesco Cappellani e Stefano Roncoroni