Antoine-Henri de Jomini e Carl von Clausewitz

Il grande stratega e storico militare svizzero Antoine-Henri de Jomini e la Guerra di Secessione americana  di Mauro della Porta Raffo e in replica Attualità di von Clausewitz di Emanuele Farruggia

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MdPR a proposito di Jomini

Perché Carl von Clausewitz sì e Antoine-Henri de Jomini no?

Infinite le possibili ragioni.

Fatto è che, ove si prescinda dal mitico cinese Sun Tzu, se si deve citare uno stratega militare di altissimo profilo è abitualmente al prussiano che si fa riferimento.

E’ un errore?

Certamente, dappoiché il coevo ed assai più longevo svizzero Antoine-Henri de Jomini (1779-1869) è quantomeno al medesimo livello.

Vodese di buona famiglia, fin da giovanissimo il Nostro sognò la vita militare non tanto per l’ansia della battaglia quanto per poterne conoscere nei dettagli, studiare e spiegare tattiche, tecniche, strategie.

Autore da subito di geniali opere appunto sull’arte della guerra, arrivò ben presto a servire, meglio coadiuvare, il maresciallo di Francia Michel Ney.

Dipoi, eccolo da Napoleone che aveva letto i suoi scritti e lo apprezzava grandemente.

Deluso, alfine, per i mancati riconoscimenti (i grandi uomini sanno di esserlo e le loro aspettative sempre altissime non devono essere tradite!), nel 1813 passerà al servizio dello zar di tutte le Russie Alessandro.

Tutta la scuola russa di guerra è alle sue idee e ai suoi insegnamenti profondamente debitrice.

Molto altro potremmo dire e scrivere qui e adesso dello Jomini in particolare guardando alla lunghissima collaborazione avuta e portata avanti addirittura fino alla Guerra di Crimea con la famiglia zarista.

Di lui, prima di passare al nostro dunque accennato nel titolo, vanno peraltro almeno ricordate le principali opere:

‘Traité de grande tactique’, 1805,

‘Histoire critique et militaire des guerres de la Révolution’, 1810,

‘Vie politique et militaire de Napoléon, 1827 e

‘Précis de l’art de la guerre’, 1838.

Ma veniamo al dunque.

Stati Uniti d’America, Guerra di Secessione.

Ecco quanto ebbi a vergare nel mio ‘I signori della casa Bianca’ poi ripreso in ‘Americana’.

Trattavo allora il tema della sostanziale, documentatissma incapacità militare USA nel tempo:

“Il massimo (o il minimo), però, si ebbe all’epoca della Guerra di Secessione, allorché, per oltre un anno, i due eserciti contrapposti (ovviamente, quello nordista e quello sudista) si scontrarono senza che l’uno o l’altro riuscisse davvero a prevalere.

Fatto è che alla guida degli schieramenti in campo erano ufficiali superiori tutti provenienti dalla celebre Accademia di West Point e tutti allievi del medesimo maestro: Dennis Hart Mahan.

Questi, fervente ammiratore dello storico e stratega di origini svizzere (anche se la sua carriera militare ai più alti livelli si svolse dapprima in Francia e poi in Russia) barone Antoine-Henri de Jomini, alle sue teorie si ispirava e solo quelle insegnava.

Necessariamente semplificando (le pagine in merito sono millanta), Jomini sottolineava in combattimento l’importanza della conquista del territorio e la necessità della presa della capitale del nemico.

Aveva il barone delineato una situazione di battaglia nella quale i due eserciti erano schierati su linee opposte, una difensiva e l’altra offensiva, e aveva predisposto una serie di dodici diagrammi che illustravano i possibili ordini da impartire ai combattenti.

Visto che in ben cinquantacinque dei sessanta maggiori scontri armati di tutta quella guerra i generali di entrambi gli eserciti erano stati allievi da Hart Mahan, si comprende come l’uno avesse sempre in mente cosa intendesse fare l’altro e riuscisse facilmente a contrastarlo.

Da quella situazione si uscì solamente dopo la battaglia di Antietam – 17 settembre 1862 – quando finalmente si comprese che era necessario un differente metodo di conduzione della guerra.

Le armate del Nord, affidate di li a poco al futuro presidente Ulisse Grant, presero il sopravvento e, malgrado la strenua ed eroica resistenza, il Sud secessionista, a corto soprattutto di uomini e di armi, fu alla fine sconfitto.”

Antoine-Henri de Jomini
Antoine-Henri de Jomini

 

 

Emanuele Farruggia a proposito di Clausewitz

Caro Mauro,

come clausewitziano convinto mi getti veramente un guanto di sfida.

Certamente Jomini, che si considerava il vero interprete della strategia napoleonica (che per Napoleone era tutta “arte d’esecuzione”) ebbe un enorme successo nelle accademie militari per tutto l’Ottocento e per la prima parte del Novecento.

Inutile dire che un abisso separava i due uomini.

Clausewitz, entrato ragazzo nell’esercito prussiano, aveva fatto la sua gavetta da ufficiale di professione si era legato ai grandi riformatori, come Scharnhorst e Gneisenau.

Nell’imminenza dell’invasione napoleonica della Russia era passato all’Est, mettendosi al servizio dello Zar proprio mentre la Prussia si schierava, volente o nolente, a fianco della Francia.

Nonostante Clausewitz avesse visto giusto, Federico Guglielmo III non gli perdonò mai di avere avuto ragione e la sua carriera ne risentì pesantemente.

Partecipò alla battaglia di Waterloo-Wavre, ma sul fronte di Wavre, scrivendo poi un resoconto della campagna che mandò su tutte le furie il Duca di Wellington.

Jomini, da banchiere si trasformò rapidamente, grazie alla sua intelligenza, in un abile capo di stato maggiore, assimilando rapidamente i metodi napoleonici certamente molto più del suo superiore, il Maresciallo Ney, noto per il suo straordinario coraggio e per la durezza di comprendonio.

Grazie anche allo stile nitido ed alla maggiore logicità della lingua francese gli scritti di Jomini costituivano manuali ideali per tutti gli aspiranti Napoleone che frequentavano le accademie e gli Stati Maggiori.

Per Jomini la guerra era una partita a scacchi e, con il suo metodo, se correttamente applicato, si poteva sempre vincere.

Del resto lui stesso era passato al momento giusto dalla parte del vincitore e, quindi, non aveva mai perso.

Clausewitz, al contrario, era passato attraverso il trauma della colossale sconfitta prussiana di Jena, aveva partecipato alla ricostruzione di un esercito, assistito al fallimento della strategia napoleonica in Russia e quindi aveva contribuito alla vittoria finale a Waterloo, anche se lì i prussiani se la erano vista brutta.

Il ‘Vom Kriege’ di Clausewitz assomiglia a un trattato filosofico dell’idealismo tedesco e può essere compreso solo se letto in lingua originale e preferibilmente incominciando dagli ultimi due libri, nella consapevolezza che si tratta di un’opera incompiuta.

Carl von Clausewitz
Carl von Clausewitz

La grandezza di Clausewitz, tuttavia è quella di aver ben definito la guerra come puro strumento della politica, di aver chiaramente indicato la connessione tra obiettivi (politico, zweck e militare, ziel), la correlazione tra scopo e mezzi per raggiungerli, la natura trinitaria della guerra, la tendenza all’estremo, mitigata dagli imperativi della politica, l’interazione e la reciproca influenza tra i belligeranti, l’importanza di tutta una serie di fattori che influiscono sull’atto bellico ma che non sono riconducibili solo ad esso.

Questo spiega perché, mentre Jomini è irrimediabilmente datato, Clausewitz è il fondamento  del pensiero strategico contemporaneo, come ribadisce Colin Gray, massimo studioso americano di strategia.

Clausewitz, che nella sua patria di origine è stato riscoperto soprattutto dopo la Prima guerra Mondiale, è stato apprezzato negli USA solo da George Patton e riscoperto dopo la guerra del Vietnam.

Ora pare rimanga in gran considerazione presso la US Army ma non presso i Marines, che gli preferiscono, per ovvi motivi, data la natura del Corpo, il più asimmetrico Su Tzu.

Ma sono soprattutto i politici di scuola marxista, come Engels, Lenin e Mao, da bravi hegeliani e da spregiudicati realisti ad aver maggiormente apprezzato Clausewitz, la cui opera, in Occidente, è stata riscoperta e valorizzata da Raymond Aron.

Un caro saluto,

Emanuele