Storia dei tre marinai italiani morti in Estremo Oriente

Le vicende del 1899/1901 dopo la Guerra dei Boxeurs in Cina che ci gratificò con la Concessione di Tientsin* portarono ad una rimodulazione delle Forze Armate italiane nell’Oriente Estremo dell’epoca.

A tal fine fu costituita nei primi anni del secolo XX.mo  la “Flotta Italiana per l’Estremo Oriente” con base a Nagasaki (Giappone), punto di riferimento costante per la nostra gente in quei difficili mari, e base di supporto,  ben attrezzata, e utilissima  alla nostra logistica , dato che, la zona riservata agli italiani a Tientsin  era ancora da bonificare e da riurbanizzare secondo nuovi dettami e secondo nuove razionalità.

Con una spedizione del Duca di Genova, avvenuta sul calare del XIX.mo secolo, con la R. Nave ‘Vettor Pisani’, il Regno d’Italia è uno dei primi stati al mondo ad intrecciare relazioni con l’impero Coreano.

Significativamente tra i primi  Regi Consoli figura un ufficiale inferiore della R. Marina, il capitano Ugo Francesetti di Malgrà, deceduto in quel lontano paese di tifo, durante l’esercizio delle sue funzioni, e, molto  benvoluto da tutta la comunità di Seoul, come affermano le cronache del tempo.

Della di Lui presenza a Seoul resta un cenotafio posto nel  “Cimitero per gli stranieri  di Gioldusan” nella capitale  sud-coreana.

Ciò premesso, mette conto rilevare che  la flottiglia di Nagasaki era spesso  usa a compiere traversate addestrative muovendosi dalle acque giapponesi a quelle coreane, e, nei pressi dell’isola coreana di “Cheju”, (più nota, all’epoca, con il toponimo di “Chemulpo”) avvenne il fatto che coinvolse la R.N. incrociatore Marco Polo della Regia Marina.

Un gravissimo incendio sviluppatosi a bordo della nave da guerra italiana minacciava di svilupparsi fino a lambire la santabarbara stipata di bombe, proietti, polveri piriche e munizioni di vario calibro.

Un eroico e coraggioso ufficiale, il sottotenente di vascello Miraglia, per rendersi conto appieno della situazione si fece persino calare nel fumajolo della nave senza però raggiungere nessun risultato tangibile se non quello di comprendere che di li a breve la nave sarebbe sicuramente saltata in aria.

La gente della nave si impegnò spasmodicamente per cercare di domare l’incendio e evitare la sicura tragedia.

Tre fuochisti cioè:

Fiore SUMMA,

Francesco CUOMO,

Angelo D’IPPOLITI,

i quali erano degenti in infermeria da vari giorni, in quanto ustionatisi nei giorni precedenti per ragioni inerenti il loro Servizio cotidiano, con coraggio, e, a sprezzo della loro vita, diedero vigorosa man forte agli altri componenti della nave e alla fine, con molta fatica, l’incendio fu domato e la nave salva.

I tre  tuttavia, pur essendo, uomini giovani e robusti (solo persone molto forti fisicamente potevano essere adibite al duro servizio di fochista), dopo una nottata di sofferenze e angustie, perirono nella notte dell’8 settembre 1904.

Evidentemente il supremo sforzo fisico unito a organismi già debilitati da ustioni gravi e sottoposti ad una febbrile fatica unita alla inalazione di miasmi e vapori inquinatissimi, la mancanza all’epoca di locali dotati di aria condizionata nonchè la scarsezza assoluta  di medicine adeguate che nel 1904 semplicemente non esistevano  fecero si che i tre militari non vedessero l’alba del 9 settembre dell’anno 1904.

Il comandante della “Marco Polo”, date anche le condizioni atmosferiche che in tale periodo nella Corea del sud risentono di un clima caldo e umido, saggiamente, decise di dirottare la nave verso Incheon sul Mar Giallo, località posta a 60 km circa da Seoul, e, altrettanto saggiamente, approntò la sepoltura dei tre eroi in terra di Corea.

Li da un artigiano locale furono approntate delle lastre tombali da apporre sulle fosse, con su scritti i nomi e i gradi militari in lingua italiana  dei tre militari i quali furono inumati nella terra di un piccolo cimitero  locale, il “Cimitero per stranieri di Chonghak-dong”ancora esistente sul Mar Giallo ad Incheon, appunto, e oggi raggiungibile da Seoul mediante una comoda superstrada.

Dopo più di un secolo si può dire che i tre corpi facciano ormai parte della Terra che li ha visti perire eroicamente.

I loro sepolcri sono stati restaurati con il contributo di “Onorcaduti” di Roma su segnalazione e impulso compiuti dalla Rappresentanza diplomatica d’Italia a Seoul, che, oltre a seguire direttamente il lavoro di restauro,  ha provveduto a fare erigere un cippo  presso le tombe con su incisi i nomi dei tre eroi e l’anno in cui e’stato compiuto il restauro (settembre 2004).

Marco Zagarola

*In effetti con la nuova riforma della traslitterazione grafica della lingua cinese (1956) si puo’ anche dire e scrivere  “Tianjin”.