Sapologia della j

Lettera al direttore

Caro Mauro, il cortese lettore Michele Gaslini ha molto benevolmente commentato il mio contributo: “La verità su un’antica espulsione”, lodando il mio uso al posto della “i” della “j” tra due vocali o all’inizio di parola se essa è seguita da altra vocale.

Si sappia che non si tratta di un vezzo o di un capriccio ma di una regola, che la mia brava maestra della scuola elementare di Agrigento (anni 1935-1940) mi inculcò in maniera indelebile.

Essa mi convinse con un argomento che ancor oggi ritengo inconfutabile: nei casi citati il suono della “i” non è identico a quello degli altri casi, ma inevitabilmente tende quasi ad un “ghi” attenuato.

Basta pronunciare parole come ajuto, gennajo, jeri per accorgersene.

Qualcuno dirà che si tratta di sfumature, ma le sfumature sono importanti e non soltanto per barbieri e parrucchieri.

La mia brava maestra – la signora Laura Sala – aveva un amore sconfinato per le vocali e intendeva che fossero rispettate e   si distinguesse perciò bene la pronuncia di quelle aperte da quelle chiuse (distinzione che specialmente nel meridione è ignorata o negletta), anche per evitare equivoci.

Una prova dell’assunto mi fu data da quel racconto di Achille Campanile in cui un lettore avendo aderito all’invito dalla direttrice: “se avete delle domande da porci, non esitate, siamo qui per soddisfare le vostre curiosità”, viene da lei ricevuto ma cacciato in malo modo proprio perché non aveva capito che tra porci (o aperta) e porci (o chiusa) c’è una notevole differenza.

E così per le altre vocali come tra rosa (fiore) e rosa (participio passato): “Per calmare l’ira di una donna rosa dalla gelosia non basta offrirle una rosa”.

Ma torniamo alla mia “j”.

La mia pervicacia a restare fedele al saggio insegnamento della signora Laura non ha mancato di procurarmi difficoltà e nocumento.

Non ti dico quante volte le mie parole nobilitate da quella vocale (o semivocale?) mi sono state censurate da superiori o direttori di giornali.

È obsoleta, mi è stato obiettato, è desueta e addirittura meno gentilmente “sa di cadavere”.

Ebbene sì, sono il giapponese della j, costi quel che costi.

Mi sono state così negate promozioni, prestigiose case editrici hanno rifiutato mie importanti opere letterarie con la scusa che per ragioni di “editing”, come dicono loro nel loro barbaro gergo, volevano impormi di sacrificare i miei principi e di tradire la memoria della brava signora Laura.

Ho preferito rinunciare a fama ed onori.

E’ la letteratura italiana che ha perduto molto dalla mia rinuncia, non io.

Gloria ed eterno riconoscenza a te, caro Mauro, che hai rispettato senza esitare né titubare il mio stile, anche ortografico, ed anche onore al gentile lettore Gaslini che, ne sono certo, ha utilizzato la parola “arcaicizzante” come un complimento e che spero continuerà a sostenermi in questa dura lotta e chissà ad associarvisi sino alla vittoria finale.

Tuo Alberto