Cavalli di leva

Uno di quei ricordi che l’attualità fa sembrare assurdi.

Me lo ha richiamato Carlo Severgnini, che in un incontro di ‘VaresePuò’ ha parlato, appassionatamente, dei cavalli.

E dalla mia infanzia luinese è emersa nientemeno che la “leva dei cavalli e dei muli”.

Semplice, i cavalli (con i fratelli “bastardi” muli) erano l’elite degli animali da tiro; prima dei motori erano fondamentali per la mobilità di tutti, esercito compreso.

Da qui l’istituzione di una leva che, ricalcata su quella dei maschi umani, ha seguito i cavalli ed i muli con schede e registri, periodicamente aggiornati.

Un apparato burocratico affidato ai Comuni, oltre che ad appositi uffici dell’organizzazione militare, destinato ad estinguersi nei tardi anni Cinquanta per conclamata inutilità.

Qui spunta il ricordo: un mio zio faceva trasporti e recapiti usando carro e cavallo e spesso mi portava con sé, in giro per strade e valli del luinese.

Fu così che una mattina, attaccata la “carrettella” – praticamente una carrozza che al posto della cabina per i passeggeri aveva un pianale per le merci – siamo andati insieme alla “visita”.

Lo zio ha staccato il cavallo togliendo i finimenti salvo la cavezza e si è inoltrato tra la folla dei convocati coscritti quadrupedi.

La scena era il cortile del macello civico di Luino, un edificio che a quei tempi, in unico corpo con la caserma dei pompieri civici, sorgeva tra i prati di in una vasta piana un po’ fuori mano, compresa tra ferrovia e la sponda del Tresa, attraversata da una strada in terra battuta.

Seduto a cassetta in attesa dello zio, avevo visto lo spazio affollarsi di carri, carretti, calessi di ogni foggia, tra grida e richiami.

Ancora sorprendenti, nei miei ricordi, i tipi degli animali, quanto mai vari e strani per pelame, passo, taglia e postura.

Per la gran parte si trattava di cavallucci magri e sparuti, di statura ridotta o addirittura minuscola , dal mantello sporchiccio e poco curato e passo incerto.

Era la fine degli anni Quaranta: la vita dopo la guerra era dura per tutti, cavalli compresi; gli anni del boom subito dopo avrebbero cancellato tutto, perfino la grande piana erbosa, sommersa da un quartiere INA Casa.

A un certo punto dal rumoroso disordine di carri e bestie davanti all’ingresso del macello era emerso lo zio Giovanni, tranquillo e soddisfatto, con il cavallo alla briglia.

Rimessi i finimenti, riattaccate le stanghe, un sollecito a voce aveva riavviato tutto il gruppo verso casa, con le ruote che frusciavano sul ghiaietto della strada, sfilando tra carretti parcheggiati, cavalli “svestiti” in attesa, saluti a voce tra gli umani.

Una volta fuori lo zio aveva spiegato un foglio leggendo ad alta voce: “cavallo Pino – maschio castrone – nato nel 1946 – statura metri uno e quarantuno – mantello baio – attitudine tiro leggero”.

Era la scheda di coscrizione che aveva fatto “abile” la bestia.

Pino camminava di buon passo; aveva ascoltato la voce del padrone con le orecchie diritte ed alla fine, come usano i cavalli, aveva agitato la testa dall’alto in basso, in un’affermazione.

Che avesse capito tutto?

Silvio Valisa