Ferdy Kübler e il grande ciclismo svizzero d’un tempo che fu

Quel pomeriggio di domenica 2 settembre 1951 appena sceso di sella dopo il suo sprint mondiale all’Ippodromo delle Bettole di Varese, sorridendo, ripeteva ai cronisti che lo circondavano: “Io in volata essere andato molto forte, molto contento per Ferdy”.

Nel suo pittoresco italiano sintetizzava, semplificandola, la sua straordinaria volata.

L’essenza ultima di uno sprint, ieri come oggi, è racchiusa nella scelta di tempo che il velocista di razza sa operare obbedendo a un istinto felino che gli permette di cogliere, nei momenti di grazia, il treno per la vittoria.

Quell’istinto apparteneva indubbiamente a Kübler, era un dono degli dei del ciclismo, un talento ricevuto in dote che egli seppe affinare e spendere nel suo tempo ciclistico con l’applicazione e l’impegno del grande professionista.

Il segreto di quel successo iridato è tutto racchiuso nella frazione di secondo con cui seppe anticipare lo scatto di Magni che aveva peraltro speso molte forze nel recuperare ai fuggitivi cinque minuti e quarantacinque secondi in soli quarantacinque chilometri.

Fu un lampo di energia esplosiva che lasciò il toscano a due biciclette di distanza.

Sulla linea d’arrivo un sorriso illuminò il suo profilo da rapace d’alta quota mentre con la mano destra allentava il punta piedi.

Quel giorno il campione zurighese, trentadue anni appena compiuti, mise il sigillo su due annate d’oro per il ciclismo svizzero.

Nel ’50 Ugo Koblet si era aggiudicato il Giro e Kübler il Tour, l’anno dopo a Koblet il Tour e a Ferdy il titolo mondiale dopo il terzo posto a Milano nel Giro dominato da Magni.

All’appuntamento di Varese era giunto dopo una preparazione severa e alcune “dolorose” rinunce finanziarie.

Dicendo no al Tour, lui vincitore dell’edizione precedente, mise di fatto un tratto di penna sui contratti milionari dei circuiti e delle kermesse francesi e belghe che seguivano come un rito la “grande boucle”.

Per sei settimane si sottopose ad allenamenti durissimi – raccontano i suoi biografi nel volume Ferdy Kübler, le fou pedalant, Peter Schnyder editore, Zurigo 2007 – affrontando un giorno si e un giorno no la strada che dalla sua residenza di Adliswil, nei dintorni di Zurigo, via Altdorf e il passo del Klausen, lo portava fino a Glaris e ritorno.

Ma questa era soltanto la parte conclusiva della sua giornata che in realtà iniziava alle quattro e trenta del mattino con la ginnastica e una lunga corsa a piedi nei boschi.

Dopo la bici i massaggi, un pasto frugale nel tardo pomeriggio e poi a letto alle diciannove.

Il 19 agosto, per riprendere confidenza con le competizioni, prese parte al Campionato nazionale a Ginevra.

Vinse ma quel successo non modificò la sua marcia di avvicinamento a Varese.

Ferdy Kübler vicne il Mondiale di Varese
Ferdy Kübler vicne il Mondiale di Varese

Finalmente il 31 agosto, con la moglie, raggiunse Lugano da dove, in bicicletta, si trasferì a Varese nella casa di via Dalmazia del suo luogotenente e amico Emilio Croci Torti, molto vicina all’Ippodromo delle Bettole.

Li venne raggiunto dal massaggiatore milanese Italo Villa e dal suo medico di fiducia Max Mettler.

Fu un soggiorno all’insegna della tranquillità e di una dieta leggera a base di minestrone di verdura e filetto di manzo con riso bianco.

Cercarono i dirigenti elvetici di convincerlo a raggiungere il resto della squadra all’Albergo Ticino ma senza risultato.

Fu una fortuna per lui perché la squadra rossocrociata fino alla vigilia fu divisa da rivalità e contrasti.

Domenica 2 settembre per Ferdy la sveglia suonò alle cinque e trenta.

Alle nove in punto i quarantasei atleti selezionati in rappresentanza di dieci nazioni si trovarono sulla linea di partenza che venne data alle dieci e due minuti da Achille Joinard, presidente dell’UCI.

L’aquila di Adliswil, otto ore mezza più tardi, metterà i suoi artigli sul trofeo così tenacemente inseguito.

Del resto la tenacia fu uno dei tratti caratteristici della personalità di Kùbler, fin da bambino decise infatti che sarebbe stato corridore e non perdeva occasione di misurarsi coi ragazzi di Marthalen, il villaggio zurighese dove nacque il 24 luglio 1919.

“Ho sempre voluto fare il ciclista: occhiali, capellino, mazzo di fiori, da bambino era il mio grande sogno, era un’idea fissa – ha raccontato in una lunga intervista alla Televisione della svizzera italiana – e vincevo sempre io anche contro gli amici più grandi di me”.

Vincere divenne un’abitudine anche nelle categorie inferiori prima del passaggio a ventuno anni al professionismo, nel 1940.

Grazie alla neutralità della Svizzera nel secondo conflitto mondiale, la sua attività agonistica conobbe poche pause.

Da professionista la prima vittoria arrivò nella “Attraverso Losanna” poi rivinta altre quattro volte.

“Gara a cronometro, adatta a lui come quelle in linea, sul passo e anche in salita – ha scritto Gianpaolo Ormezzano – e come anche quelle per velocisti, destinate a concludersi con uno sprint finale: perché molto semplicemente, Ferdy Kübler sapeva fare tutto bene, persino in pista”

Questa sua eccezionale versatilità agonistica, garantita da un fisico asciutto, nervoso, potente, supportata da una notevole intelligenza in corsa, gli fece salire rapidamente le scale dell’Olimpo ciclistico mondiale dove dovette misurarsi coi maggiori campioni dell’epoca: Bartali, Coppi, Magni, Van Steenbergen, Ockers, Shotte, Bobet.

E naturalmente il grande rivale di casa, Ugo Koblet, pure lui zurighese, bello come un arcangelo – fu soprannominato pedaleur de charme – dotato di limpidissima classe che catturò al ciclismo legioni di donne giovani e meno giovani.

E naturalmente, anche lui come Ferdy, plurivittorioso nelle più grandi competizioni internazionali, tra cui, come detto, nel 1950, il primo Giro d’Italia vinto da uno svizzero.

Era l’anno santo e lui protestante ebbe l’onore di essere ricevuto in udienza da Pio XII.

Insomma i due K, come allora venivano chiamati, dominarono con gli italiani gli anni a cavallo della metà del Novecento, un’epoca in cui in Europa il ciclismo superava in popolarità il pur titolatissimo calcio.

Complice la radio e la prosa spruzzata di retorica dei giornali, accendeva l’immaginazione popolare.

I calciatori si battevano dentro un rettangolo verde secondo regole codificate, i ciclisti erano invece cavalieri su due ruote che sfidavano le cime, le intemperie, le insidie infinite della strada.

Kùbler fu senza dubbio fra i migliori interpreti di questo copione cavalleresco.

Sul piatto della bilancia metteva anche la sua enorme comunicativa che lo ha reso un personaggio intramontabile dentro e fuori il ciclismo.

Alla vigilia dei secondi mondiali varesini datati 2008, nella sua casa adagiata nel verde delle morbide colline zurighesi, parlava ai microfoni della Tsi di Bartali, di Coppi, di Koblet con appassionata lucidità.

“Bartali è stato il mio modello.

Nel ’38 vinse il Giro di Francia mentre nel ’37, fu costretto al ritiro dopo una grave caduta.

Come detto tornò per trionfare.

Per me fu il più grande esempio da seguire.

Essendo di cinque anni più anziano di me era un punto di riferimento assoluto”.

Seguiva il buon Ferdy il film della sua vita di campione per poi fermare le immagini di due compagni grandi e sfortunati: Coppi e il connazionale Koblet.

“Coppi non era estroverso come Gino – diceva – si teneva sempre un po’ in disparte.

Era estremamente difficile capire cosa stesse tramando.

Quando era in giornata era imbattibile.

Coppi era un genio, un talento assoluto, in corsa era molto intelligente.

Poteva essere in giornata no e l’indomani in splendida forma.

Magari ti lasciava vincere per poi attaccarti e staccarti il giorno dopo quando tu eri un po’ calato.

Mi è capitato spesso con lui.

Quanto a Hugo Koblet, affermare che Kübler è un lottatore e Koblet no, è falso.

Ha sofferto come me, si è ferito gravemente durante le corse.

Era grandioso, bello, popolare.

Aveva talento, come me era un lottatore.

E’ tra i più grandi di tutti i tempi.

Rispetto a lui ho avuto il privilegio di una carriera migliore perché più lunga, la sua è durata solo quattro/cinque anni, ciò non toglie che fosse un corridore eccellente, formidabile”.

La carriera di Ferdy Kùbler conobbe il suo epilogo nel dicembre del 1957 indossando i colori della Carpano – Coppi Punt e Mès.

Con questi colori l’anno prima l’ultimo trionfo nella Milano – Torino davanti a Germain Derycke e a Roberto Falaschi.

Si chiuse così un palmares formidabile, da professionista ha fatto sue la bellezza di centoventuno corse e cinquantasei criterium.

I successi più significativi furono: Il Tour de France 1950, i Giri della Svizzera del 1942, ’48, ’51, cinque titoli nazionali, il G.P. Industria e Commercio di Prato del ’50, due Giri di Romandia, due Liegi –Bastogne –Liegi (1951 –’52), due Frecce–Vallone (1951 –’52), il campionato del mondo di Varese ’51, la Roma–Napoli–Roma (1951), la Bordeaux–Parigi (1953), una maratona di cinquecentosettantatre chilometri, con partenza all’una di notte, poi cancellata dal calendario.

Ottimo pistard, vinse tre titoli elvetici dell’inseguimento e fu primatista nazionale dell’ora; nel 1945 fu anche campione svizzero di ciclocross.

Cesare Chiericati