Liala

Sabato 14 giugno 2014, con una cerimonia a Villa Mirabello, l’archivio di Liala verrà donato al Comune di Varese.

Per l’occasione, ripropongo quanto a proposito della ‘regina del romanzo rosa’ ho nel tempo vergato  (nei testi, alcune ripetizioni che non ho inteso eliminare) – MdPR

* * * * *

Per una strana e particolare combinazione, ho in qualche modo fortemente contribuito alla pubblicazione dei due romanzi incompiuti lasciati da Liala.

Negli scritti che qui ripropongo – il primo pubblicato l’8 settembre 2005 su Panorama e il secondo il 18 dicembre 2009 sul Corriere della Sera – rammento come e in qual modo Primavera Cambiasi, figlia della grande scrittrice, mi abbia messo al corrente dei fatti.

Di lì a non molto, i due romanzi in questione, opportunamente completati, hanno visto la luce.

A seguire, la vita e le opere della scrittrice e, deliziosamente, i ricordi di Primavera

 

Villa ‘La Cucciola’

(pubblicato su Panorama l’8 settembre 2005, successivamente raccolto nel volume ‘Eminenti Varesini’’, settembre 2006, e in ‘C’è posta per Liala’, novembre 2007)

Due o tre ripidi tornanti su per via Montello a trecento metri dal centro di Varese, una svolta a destra, poco ancora ed ecco apparire Villa La Cucciola.

Il cancello è spalancato, mi aspettano…

Al telefono, Primavera Cambiasi mi ha detto “Entri pure con la macchina. Con questo tempaccio è bene non fare neanche un metro a piedi”.

Difatti, piove e la prima cosa che noto nell’avviarmi verso il portone d’ingresso è un vecchio ombrello aperto infilato per la parte del manico a protezione dei fiori – che non muoiano annegati! -nella terra che riempie un’enorme ciotola.

Mi apre Tarsilla (o, molto meglio, ‘Tilla’ come la ribattezzò la ‘padrona’ quando ne intese il nome per la prima volta infinite decine d’anni orsono e decise di prenderla con sè) e, dando una voce a Primavera, mi introduce al salotto.

Ancora una volta in ritardo sui tempi, eccomi a casa di Liala.

Villa La Cucciola
Villa La Cucciola

Lei viva, mai mi era passato per la mente di andarla a trovare.

Come tutti in città, la incontravo per strada di tanto in tanto e in specie mi capitava di imbattermi in lei quando usciva, perfettamente pettinata ed elegantissima, dal negozio di parrucchiere che Gianni Manghi aveva aperto praticamente in piazza Monte Grappa. In disparte, la osservavo.

“La mamma…”, mi racconta Primavera e mentre la ascolto penso che mai prima un nome mi è apparso altrettanto rappresentativo del carattere della persona che, per così dire, lo ‘indossa’.

E’ allegra, gioiosa, scoppiettante…un vulcano.

E’ una delle figlie di Liala, quella che (con Tilla la quale, silenziosamente, ha già portato il the con i pasticcini) sorveglia il focolare, che si adopera perché il ricordo della madre non svanisca, che spesso ne parla come fosse viva.

A dire il vero, mi trovo in una qualche difficoltà come sempre succede allorché un interlocutore dà per scontato che io sappia molto più di quanto in effetti conosca a proposito di un determinato argomento.

Primavera mi parla di Moneglia, di quando la madre, obbligata a vivere in quella cittadina di mare, per combattere la noia si era messa a scrivere e poi, un giorno, in treno per andare a Genova dal parrucchiere (teneva da sempre ad essere in ordine), aveva incontrato un amico di famiglia che conosceva per caso Mondadori…

Ed ecco, come d’incanto, ‘Signorsì’!

Primavera ricorda il grande amore di Liala, quel Centurione Scotto che si inabissò con il suo aereo proprio nel lago di Varese…

Primavera mi confessa che la mamma ha lasciato un romanzo incompiuto.

Le era capitato di incontrare per strada un bellissimo ragazzo nero vestito da aviere ed aveva così scoperto che a Varese un gruppo di africani studiavano per diventare istruttori di volo. Subito, aveva immaginato e scritto di un amore interrotto purtroppo dalla necessità di ritornare in patria.

Che farà la ragazza?

Seguirà l’amato bene?

Resterà per trascorrere il resto della vita pentendosi di non aver dato retta al cuore?

Le suggerisco di pubblicarlo com’è, senza finale, lasciando libero ciascuno di immaginare l’epilogo che preferisce.

Primavera è contenta che Varese si sia ricordata ufficialmente della madre e che le abbia dedicato una bella e centralissima piazzetta.

Non glielo dico, ma è in ragione di questo accadimento che le ho telefonato per un appuntamento e che oggi sono qui.

Quasi fosse un segno del destino, lo spazio di Largo Liala è stato ricavato a due metri dall’ingresso del mio studio.

 

Verso Runo

(pubblicato il 15 dicembre 2009 nella pagina culturale del Corriere della Sera)

Assolutamente poco ambizioso.

Liala
Liala

Ecco: così, privo di pretesa alcuna se non quella di arrivare e pochissimo importandomi l’essere considerato un ‘manico’, guido da sempre la macchina e non per niente Giulio, adorato nipote, quando mio ostaggio sulle quattro ruote, dall’alto dei suoi tre anni scarsi, “Accelera, nonno”, ogni volta mi grida a piena voce.

Eppure, stasera – ed è una novità – diretto a Runo con la Signora d’accanto, al riguardo, mi interrogo e, quasi, mi scuserei.

Non posso, difatti, dimenticare la sua, per me spericolata ma di frequente felicemente sperimentata in gara, abilità.

E, per collegamento d’idee, ricordo quella volta in cui Alì Khan, mossiere d’eccezione di una corsa a cronometro in salita nei pressi di Como, sentendo l’altoparlante annunciare dopo il suo sventolar di bandiera “E’ partita Primavera Cambiasi”, ebbe a mormorare “Peccato. Come faremo adesso, senza primavera?”

“Guida ancora?”, mi vien fatto di chiederle e subito vorrei mordermi la lingua per quello scortesissimo “ancora”.

“Certo”, si illumina (e ben conosco i lampi improvvisi dei suoi occhi) fingendo di non aver colto la mia mancanza di savoir-vivre, “Anche se solo per andare dal macellaio a Comerio”.

Figlia primogenita della grande Liala, la dolce Signora ne è, a mio modo di vedere, caratterialmente, lontana anni luce.

Mai, penso, a Gabriele D’Annunzio sarebbe venuto in mente, conoscendola, di definirla “Compagna di insolenza” così come fece con sua madre, al Vittoriale, nel loro unico e burrascoso incontro al volgere del quale, in una dedica che in tal modo anche recitava vergata al margine inferiore di una fotografia, il Vate diede a ‘Liana’ Negretti Odescalchi Cambiasi il nome immaginifico che l’avrebbe da allora identificata.

Rotto dal sottoscritto tanto maldestramente il ghiaccio, lunga e tortuosa essendo la strada che da Varese, per il Brinzio, la Valcuvia e Luino conduce a Runo di Dumenza dove siamo attesi, parliamo.

Di chi, se non, inevitabilmente, di una Liala tanto incombente da essere spesso citata dalla Signora al presente come fosse viva e raramente come “Mia madre”?

E, quindi, della solitudine di Moneglia che la portò, per distrarsi, a scrivere.

Delle collaborazioni al ‘Caffaro’, antico e da decenni defunto quotidiano genovese.

Dell’incontro, in treno, con un ammiraglio amico del marito che la indirizza nientemeno che ad Arnoldo Mondadori.

Del suo incredibile affrontare il grande editore: “Ho pronte la seconda e la terza parte di un romanzo.

Se lei me lo pubblica, scriverò la prima”.

Della conseguente uscita del memorabile ‘Signorsì’.

Del citato confronto con ‘il’ – quasi non ve ne fossero altri – poeta, allora per eccellenza.

Della dura opposizione messa in atto da Mura, all’epoca regina delle storie d’amore (mai parlare di ‘romanzo rosa’, espressione rifiutata con sdegno), timorosa di essere ridotta in secondo piano.

Dei trionfi, della passione con la quale le lettrici la seguivano e di quando, morendo la protagonista di nome Lalla di un suo scritto al termine della vicenda, a causa delle loro proteste fosse stata addirittura costretta a farla rivivere, sia pure per interposta persona.

Dei rapporti con gli editori per antonomasia, i ‘veri’ Mondadori e Rizzoli in primis.

Della pressoché infinita serie di avventure messe su carta.

Dei contatti epistolari con tutti: re, regine, nobildonne, e migliaia di signorine e signore dei più differenti strati sociali.

Del declino fisico: gli occhi, la debolezza vieppiù accentuata degli occhi che, dolorosamente, le impedirà negli ultimi anni di scrivere.

Del suo romanzo inedito…

E qui, mi permetto di fermarla.

“Un inedito?”, chiedo.

“Sì, e incompiuto.

Centoventinove cartelle dattiloscritte.

Una bella storia che Liala non ha portato a termine a causa della vista.

E non voleva dettare.

Diceva che il suono della sua stessa voce la distraeva.

Io so, conosco il finale.

Il titolo doveva essere ‘Il ballerino in Paradiso’.

Una specie di Rudolf Nureyev che” (e avverto una qualche velata e gentile malizia nella successiva frase, in specie nel ‘però’), “si invaghisce però di una ragazza, che per amore perde la sicurezza del gesto che cercherà di recuperare in mille modi fino a ricorrere alle droghe.

Una trama commovente e tragica, nel puro stile di Liala…”

Come fare, penso nel mentre fermo la macchina al termine del viaggio?

Come trovare qualcuno in grado di concludere felicemente l’opera per proporla al pubblico?

E non certo solamente per il mero gusto di pubblicarla, considerato che ancora oggi migliaia di persone leggono Liala, del cui stile, della cui classe, della cui altissima educazione (ma certo!) v’è ognora necessità.

 

Liala: la vita e le opere

(dal volume ‘Eminenti Varesini’, settembre 2006, successivamente proposto in ‘C’è posta per Liala’ nel novembre del 2007)

Allorché, nel 1931, Amalia Liana Cambiasi Negretti ebbe vergato la parola fine al suo primo romanzo, intitolato ‘Signorsì’, l’editore Arnoldo Mondadori, entusiasta, volle presentare la debuttante scrittrice nientemeno che a Gabriele D’Annunzio.

Il Vate, colpito soprattutto dalla conoscenza che la signora aveva di motori ed aeroplani, la incoraggiò e la definì “compagna di volo e di insolenze” regalandole un’ala in miniatura con la scritta “a Liala”.

Da allora in poi, fu quello il suo nome de plume.

Amalia era nata nel 1897 a Carate Lario nei pressi di Como ed aveva avuto una giovinezza alquanto scandalosa per l’epoca.

Di solida e ricca famiglia borghese con qualche linea di nobiltà (un ramo discendeva dagli Odescalchi), dopo il matrimonio con il marchese Pompeo Cambiasi – dal quale avrà due figlie – un ufficiale di marina alquanto più anziano di lei, d’improvviso si innamora perdutamente del pilota di idrovolanti marchese Vittorio Centurione Scotto, lo segue e, pur opponendosi ferocemente le due famiglie, pensa seriamente al divorzio e ad una nuova vita.

Nel 1926, purtroppo, durante un volo di allenamento in vista della Coppa Schneider, Scotto precipita e muore.

E’ proprio per superare e, se possibile, dimenticare la tragedia e il conseguente dolore che la futura Liala inizia a scrivere ambientando i propri racconti nel bel mondo da lei frequentato tra nobili aviatori, ufficiali e signorine di buona famiglia.

Tra romanzi e novelle, saranno circa novanta i titoli che alla fine avrà pubblicato e questo la rende l’indiscussa regina (per quanto aborrisse che il genere letterario che le era proprio fosse in tal modo definito) del ‘rosa’ italiano.

Se da un lato D’Annunzio, Ojetti e Trilussa l’ammirarono, la critica ufficiale e paludata mai applaudì alla sua arte e le storie da lei proposte furono di volta in volta definite “caramelle zuccherose”, “favolette moderne”, “paralettura per manicure”.

Resta il fatto che Liala – la quale trascorse a Varese molti anni della sua lunghissima esistenza e qui morì – ha venduto milioni di copie dei suoi libri e che, comunque, la sua opera rappresenta uno spaccato di vita vissuta (non certo da tutti, ma vissuta) in un’epoca e in un ambiente oramai lontani ma non per questo da obliare.

 

Nel ricordo della figlia Primavera

(dal volume ‘Eminenti Varesini’, settembre 2006, successivamente proposto in ‘C’è posta per Liala’ nel novembre del 2007)

La biografia, la lunga vicenda di Liala le lettrici la conoscono molto bene.

Sanno esattamente quando è nata, dove è vissuta, dove si è conclusa la sua vita terrena.

Non scordano il giorno del compleanno e così ogni 31 marzo la figlia Primavera riceve biglietti, lettere, telefonate, fiori come se la madre fosse ancora qui.

E biglietti e telefonate recano una raccomandazione: “Porti un bacio a Liala”.

Che – le lettrici lo sanno – dorme in una cappella di marmo rosa, nel piccolo cimitero di Velate, qui a Varese.

Mauro della Porta Raffo e Primavera
Mauro della Porta Raffo e Primavera

Una biografia, quindi, è inutile riscriverla, ma tanti e piccoli fatti o aneddoti che la riguardano sono ai più sconosciuti.

Eccone alcuni (cominciando dai primi esperimenti in qualche modo letterari) così come li racconta proprio la sua dolce Primavera alla quale lascio la parola:

“Giovane signora un poco annoiata perché con il marito, ufficiale della Regia Marina, era obbligata a trascorrere gran parte dell’anno nella proprietà di Moneglia, allora ancor più piccolo borgo, accettò di raccontare per il ‘Caffaro’, quotidiano di Genova da molto tempo scomparso dalle edicole, un incidente ferroviario accaduto proprio nella stazione della cittadina.

Una vecchia locomotiva a vapore si era scontrata con una moderna ‘Littorina’: che aveva avuto la peggio.

Il capostazione, disperato, protestava la sua innocenza e pregò la signora Liana (questo il vero nome di Liala) di scrivere al giornale per prendere le sue difese.

Il pezzo che ne uscì era così spiritoso che non solo venne pubblicato, ma Liana fu chiamata a rapporto dal direttore del giornale.

Emozionata, si preparò per l’incontro (la lettera era firmata da un certo Willy Dias) e visto che durante l’intera sua vita è stata una donna elegante, raffinata e un poco civetta, anche per quella specifica occasione si vestì e si truccò con grande cura.

Arrivata alla sede del ‘Caffaro’, grande fu la sua delusione quando si trovò davanti il direttore: una anziana signora, scrittrice di romanzi rosa per giovanette, che si chiamava appunto Willy Dias!

Liala firmò il primo romanzo che le diede immediata celebrità nel 1931.

In un’epoca nella quale non esisteva la televisione, in cui erano sconosciute le interviste e la pubblicità era agli inizi, ‘Signorsì’ (così si intitolava l’opera) fu esaurito in venti giorni.

Qui, nello studio della ‘Cucciola’ a Varese, la villa bianca dove Liala visse per oltre quarant’anni, c’è, incorniciato, il telegramma di Arnoldo Mondadori.

L’incredulo, grande editore scriveva: “Sono assai lieto comunicarle che la prima edizione del suo ‘Signorsì’ è qui (a Verona, dove erano gli stabilimenti Mondadori) esaurita Stop. Questa lieta accoglienza di pubblico sia di auspicio per le maggiori fortune del suo certo domani Stop Devotamente Mondadori”.

Parole profetiche, perché Liala cominciò a volare, veramente, se ancora oggi, dopo oltre sette decenni, i suoi romanzi possono contare su migliaia di lettori appassionati.

Trascorrono gli anni e Liala pubblica romanzi a puntate sulle maggiori riviste italiane: quelle di Mondadori, quelle di Rizzoli, quelle di del Duca.

Fu quando lavorava per il glorioso ‘cumenda’ Angelo Rizzoli che Liala scrisse ‘Dormire e non sognare’, un romanzo a sé stante e che si concludeva con la morte della protagonista, Lalla.

Le tirature della rivista (forse Annabella o Novella, non ricordo) salirono alle stelle. Ma pochi giorni dopo la conclusione del romanzo, il commendator Rizzoli in persona chiamò Liala ad un appuntamento nella sede della casa editrice.

Quando, nello studio, gli fu davanti lo sentì dire: “L’ha combinata grossa, Liala!”

Spaventata, la scrittrice chiese se per caso il romanzo non era piaciuto.

“E’ piaciuto così tanto che le lettrici minacciano di picchiarla se non farà… risorgere Lalla!”

“E come faccio”, chiese Liala, “la mia Lalla non è Lazzaro!”

“Si arrangi”, fu la perentoria risposta di Rizzoli.

Liala, in seguito insonne per alcune notti, si arrangiò.

L’eroina Lalla nel libro, per fortuna, aveva un fratello.

La scrittrice lo fece sposare.

Frutto del matrimonio, una figlia, in tutto somigliante alla zia che non c’era più, che, naturalmente, venne chiamata allo stesso modo.

A questo secondo romanzo, intitolato ‘Lalla che torna’, fece seguito un terzo, ‘Il velo sulla fronte’, nel quale si concludeva la vita, questa volta felice, della seconda Lalla.

Era nata la ‘Trilogia di Lalla Acquaviva’ – portata di poi anche in TV, in uno sceneggiato, da Duccio Tessari – che indusse Romano Battaglia, in un’intervista a Liala, a scrivere: “Abbiamo anche noi una Margaret Mitchell: è Liala e i romanzi che narrano delle due Lalla formano una piccola ‘Via col vento’”.

Con la squisita signorilità che lo contraddistingueva, non appena fu esaurita la prima edizione della ‘Trilogia’, Angelo Rizzoli inviò a casa nostra il figlio Andrea con una preziosa ‘broche’ di brillanti.

Fra Liala e le sue lettrici vi era un rapporto di estrema fiducia e molte tra loro chiedevano alla scrittrice consigli per affrontare problemi di cuore (come doveva essere).

Incredibilmente, altre, invece, si rivolgevano a lei per avere consigli medici, sulla moda, di comportamento.

I consigli medici erano quelli più richiesti (le riviste, allora, non avevano come oggi rubriche di questo genere) e Liala ‘girava’ le domande al proprio medico personale, un’illustre clinico milanese che, incuriosito, ben volentieri rilasciava le ‘diagnosi’.

Il rapporto con i critici è sempre stato difficile perché, per pigrizia (non leggevano che superficialmente i romanzi di Liala) o per luogo comune, etichettavano i lavori di Liala come ‘romanzi rosa’ senza capire che invece nelle trame di Liala c’erano anche il grigio del dolore e il nero della morte.

“I personaggi – diceva l’autrice – io li mando a letto, e quindi il colore giusto non è il rosa ma il rosso della passione. Soltanto, non sto a guardare ciò che fanno, li accompagno fino alla soglia della camera da letto e poi chiudo la porta”.

E ciò che scrisse un critico dimostra quanto superficialità ci fosse per l’appunto nelle critiche.

Per anni non fu ristampato il secondo romanzo di Liala, ‘Sette corna’, seguito di ‘Signorsì’.

Quando usci la nuova edizione, un giornalista osservo: “Sette corna! Liala, alla sua età, si mette a scrivere di pornografia!”

Non aveva letto il libro e così non aveva saputo che ‘sette corna’ era il nomignolo di una lumachina fatata, che dava buoni consigli a una fanciulla innamorata!

Si consolava, Liala, ripetendosi una famosa invettiva: “Ammazzalo, quel cane, è un critico!” Chi si vendicava in tal modo era niente di meno che Wolfgang Goethe!).

Gli episodi narrati possono far capire, penso, questo personaggio oramai sulla scena letteraria da quasi infiniti anni.

La Casa Editrice Sonzogno, nel 2001, compiendo ‘Signorsì’ settant’anni dalla prima pubblicazione, ne stampò un’edizione particolare che riportava in copertina, la figura di Beba, l’indimenticabile protagonista”.

Mauro della Porta Raffo