Nanotecnologie: cosa sono, a cosa servono?

Immaginate di riuscire a costruire macchine assemblando singole molecole invece che oggetti macroscopici, e riuscire a utilizzare queste macchine come strumenti per creare materiali complessi, riparare piccoli difetti sulle superfici o nelle cellule viventi, per immagazzinare informazioni.

Bene questo è oggi possibile grazie al mondo delle nanotecnologie.

Il nanomondo è un mondo le cui dimensioni sono il nanometro, cioè il miliardesimo di metro e gli obiettivi delle nanotecnologie sono quelli di studiare le nanostrutture e sfruttarle  fino ad arrivare  a manipolare oggetti come molecole e singoli atomi per scopi diversi.

La prima intuizione che qualcosa poteva essere fatto con oggetti così piccoli si deve a Richard Feynman, quando nell’ormai lontano 1959 espose una relazione, diventata famosa, dal titolo intrigante  e premonitore: “There’s plenty of room at the bottom”, che tradotto brutalmente significa: c’è un sacco di spazio là sotto!

Là sotto era ovviamente il mondo invisibile degli  atomi.

Questa previsione divenne realtà circa vent’anni dopo, quando due ricercatori dei laboratori Ibm di Zurigo – Binning e Rohrer – inventarono e realizzarono il primo microscopio a effetto tunnel, un microscopio che  si basa sulle leggi della  meccanica quantistica e grazie al quale fu possibile osservare la materia così intimamente fino a vederne i componenti elementari: gli atomi.

Da allora la corsa delle nanotecnologie e le loro applicazioni è diventata sempre più veloce e impetuosa, e non c’è settore della fisica, della biologia, della chimica, dell’informatica, della medicina che non sia stato  soggiogato da questa potentissima rivoluzione tecnologica.

Le nanotecnologie, per la loro caratteristica di interessare tutte le discipline, hanno aperto vie impensabili per curare malattie genetiche, per creare veicoli biologici compatibili per la somministrazione di farmaci, per fabbricare nuovi materiali, per miniaturizzare i circuiti integrati schiudendo nuovi orizzonti per tutto il settore delle Ict.

Hanno aperto la strada a  procedure per la realizzazione di microscopi più precisi e potenti grazie alle tecniche nanolitografiche,  e   hanno rivoluzionato tutto il settore della sensoristica.

Protagonisti indiscussi nel vasto settore delle nanotecnologie sono i nanotubi di carbonio, strutture particolari scoperti in maniera fortuita nel 1991 dal ricercatore giapponese Sumio Iijima.

Possiamo immaginarli come un tubo (della dimensione di alcuni nanometri) formato da uno strato di grafite arrotolato su se stesso a formare un cilindro, chiuso alle due estremità da due calotte emisferiche.

La loro versatilità e il largo impiego deriva  dalle proprietà assolutamente particolari, straordinarie e diversissime.

Pure essendo quasi monodimensionali e molto flessibili, sono estremamente resistenti – dieci volte più robusti dell’acciaio -,  hanno bizzarre proprietà elettriche –conduttori, semiconduttori, isolanti a seconda della geometria – che li rendono un possibile sostituto del silicio per i computer di nuova generazione.

Hanno utilizzi importanti per  transistor, led, laser a raggi ultravioletti, attuatori eccetera.

Ma non è finita.

Dato il loro elevato potere di adsorbimento, conseguenza dell’elevato rapporto  superficie/peso, potrebbero essere usati per l’immagazzinamento dell’idrogeno nelle celle a combustibile al posto dell’attuale sistema a bombole che richiede alte pressioni e basse temperature.

Recentemente i nanotubi di carbonio sono stati utilizzati anche per applicazioni biomediche.

Le varie funzionalizzazioni hanno permesso di renderli solubili in acqua favorendo la biocompatibilità e riducendone drasticamente la citotossicità.

Possono quindi essere impiegati come trasportatori di farmaci per il trattamento di alcuni forme di tumori e per aumentare l’attività neuronale.

Nel campo diagnostico sono stati recentemente studiati in vitro e in vivo, in modelli suini, come possibili agenti di  contrasto per gli esami ecografici.

La neurochirurgia è il settore in cui le nanotecnologie  avranno un ruolo  decisivo in un futuro non troppo lontano e precisamente nell’impiego di materiali nanostrutturati per la realizzazione di interfacce neurali organismo-protesi.

Non solo a scopo diagnostico,  ma anche come supporto in malattie degenerative per il ripristino di una funzionalità o per l’innervamento di una protesi.

In questo preciso settore lavora presso l’Università di Milano  il gruppo di Paolo Milani.

Obiettivo è quello di utilizzare materiali nanostrutturati per creare connessioni elettriche tra una parte  dell’organismo non più funzionante e il sistema nervoso  – centrale o periferico -, o tra il cervello e  una protesi, per arrivare  al ripristino di una funzione perduta a causa di un trauma o di una malattia degenerativa.

I materiali più adatti per la creazione di queste dispositivi sono i polimeri, dal più rigido plexiglas, ai flessibili fogli di plastica tipo domopack, o silicone, sui quali vengono depositati con tecniche particolari  matrici metalliche delle dimensioni di qualche micron fino a qualche decina di nanometri in grado di trasportare segnali elettrici.

La grande problematica che si apre, e che è oggetto di studio presso altre  importanti università e centri di ricerca italiani – l’Università di Trieste,  la Scuola di Sant’Anna di Pisa, l’IIT di Genova -,  è proprio diretta a controllare i sistemi di impianti nanometrici per connessioni tra sistema nervoso e protesi artificiali.

Ludovica Manusardi Carlesi