Il patriottismo costituzionale è patriottico?

Si è tornati a parlare di modifiche alla costituzione.

Ma come si osa toccare un testo che non solo ha fatto così buona prova in sessantasei anni di vita ma è anche “il più bello del mondo”?

Non ci credete?

Avete dimenticato che pochi anni addietro esso ricevette il premio Strega?

È difficile crederci ma è così.

Con supremo sprezzo del ridicolo i giudici di quel prestigioso premio sancirono l’eccellenza, anche ma non solo letteraria, della nostra costituzione.

Ci si attese dopo quel memorabile avvenimento che si provvedesse anche a incoronare dell’alloro letterario le Dodici Tavole o il Decalogo della Bibbia; si parlò anche del Codice di Hammurabi.

E’ vero che in questi casi non si saprebbe a chi consegnare materialmente il diploma ed il valsente relativi, ma – come si è visto – questo non è un problema insolubile.

Basterebbe trovare qualcuno che asserisca di discendere da un copista delle rispettive epoche, ma forse si è voluto attendere che i tempi fossero maturi (manca poco) perché in nome dell’apertura ai ‘cittadini immigrati’ si premi il Corano, che – come si sa – ha anche valore legislativo-costituzionale ed è anch’esso bellissimo.

Esaurito il filone letterario sarebbe ingiusto però ignorare il filone filosofico, o come si dice ora ‘alto’.

Sul ‘Corriere della Sera’, ad esempio, Claudio Magris alla vigilia di un referendum proprio su modifiche (debitamente bocciate) della costituzione tirò fuori la teoria, che di tanto in tanto riemerge, della necessità di un ‘patriottismo costituzionale’.

Esso, per il suo inventore, il sociologo tedesco Jurgen Habermas, è ormai la sola via accettabile per creare una identità nazionale tedesca.

Già si vede che il concetto, estremamente opinabile, sarebbe specificamente ed esclusivamente applicabile alla Germania, come spiegava lo stesso Habermas:

“Per noi nella Repubblica Federale patriottismo costituzionale significa, tra l’altro, la fierezza di essere riusciti a trionfare in modo durevole sul fascismo per stabilire l’ordine di uno stato di diritto”.

Lasciamo perdere il fascismo, che non si vede cosa abbia a che fare con la Legge Fondamentale Tedesca, ma che c’entrano in tutto ciò gli italiani?

Non hanno essi già la loro identità nella loro storia, nella loro arte, nella loro cultura, nella loro lingua, senza che abbiano bisogno di cercarla nella costituzione democratica, repubblicana ‘nata dalla Resistenza’?

Da noi si è atteso il 1948 per avere un’identità?

I sostenitori di tale teoria forse non si rendono conto di quanto essa sia vecchia e partigiana.

Negli anni tra le due guerre l’Italia dai suoi governanti era considerata tale perché fascista; coloro che non si riconoscevano nel regime erano ritenuti antinazionali o addirittura non erano italiani.

Alcuni ‘fuoriusciti’ furono persino privati della cittadinanza, una misura a cui ricorsero abbondantemente anche la Germania hitleriana ed ovviamente l’Urss ed i suoi satelliti.

Anche prima del 1922 secondo il fascismo esisteva tutt’al più un’Italietta, uno sgorbio di nazione, in cui nessuno avrebbe potuto decentemente riconoscersi.

La stessa dottrina fu applicata dal 1945 al 1990 in tutti i paesi comunisti, nei quali il leninismo, oltre ad essere l’ideologia dello stato, costituiva il carattere fondamentale dell’identità nazionale.

Non esistevano una patria ungherese, romena o tedesca ma dovunque delle ‘patrie socialiste’.

Ne discendeva che se fosse sparito il socialismo non ci sarebbe più stata alcuna patria.

Il 1989-1990 mostrò quanto fallace fosse quella teoria.

La smentita più clamorosa alle ‘patrie costituzionali’ dei comunisti (anche loro avevano costituzioni, più simili per la verità alla sharia che a costituzioni moderne) fu fornita dal primo gesto dei popoli appena liberati, che consistette nello strappare dal centro dello loro bandiere quei simboli che le deturpavano, proprio perché rimandavano alle costituzioni: falci, martelli, compassi, covoni di grano…

Le nuove bandiere non portano più traccia di leggi e costituzioni.

Queste, piaccia o dispiaccia, passano, mentre le nazioni restano, almeno quelle che hanno coscienza di sé.

Perché la patria non può essere che sentimento e non certo costruzione più o meno artificiosa.

Anche a voler accettare per un momento l’idea della natura fondante delle costituzioni, essa non può riferirsi che ad alcuni dei valori che esse contengono e non certo all’organizzazione dello stato, aspetto più d’ogni altro soggetto ai mutamenti resi necessari da nuove esigenze.

Quando nel 1958 i francesi si liberarono della infelice costituzione della IV repubblica, a cui la nostra è purtroppo così simile, essi non rigettarono certo i principi di libertà che la ispiravano, ma misero termine al balletto ministeriale annuale o semestrale che ha caratterizzato anche la repubblica italiana in tutto il corso della sua vita.

Purtroppo in Italia c’è ancora qualcuno che vorrebbe perpetuare gli incubi e le assurdità del passato, magari con l’alibi della bellezza eccelsa di un testo e quello del funambolico patriottismo costituzionale.

Alberto Indelicato