Il ‘vènto’ e l’intelligenza

Concordando pienamente con l’antico sodale sull’importanza del sinora sottaciuto tema da lui trattato e sulle conclusioni alle quali perviene, apprezzando i ‘modi’usati per affrontare  e  superare il disagio che l’argomento, per molti versi‘volgare’ e ciò non ostante di vero interesse, suscita, propongo, diffondo le righe che seguono, a me oggi indirizzate, non senza avere prima ricordato, sottolineato, meglio, ‘svelato’ a quanti non ne abbiano contezza, – i più, data la sua proverbiale ritrosia – l’ingegno e l’alta, enciclopedica dottrina del carissimo Eurico. – MdPR

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“Uno studio fatto presso un’Università del Wisconsin, negli Usa, ha rivelato che chi scoreggia spesso è più intelligente rispetto alla media perché ha una maggiore attività cerebrale.”

 

Questa – in poche parole qui riportate tra virgolette in quanto riprese da uno dei tanti siti web che ne hanno trattato nell’ambito del gossip ritenendola una ridicolaggine – la notizia ragionando sulla quale intendo scrivere.

Oltre cinquant’anni fa, ospite in campagna di uno zio del quale apprezzavo grandemente l’intelligenza, non starò qui a spiegare il come e il perché, una sera, incredibile argomento dei nostri parlari furono le scoregge (da questo punto in poi, chiamate eufemisticamente ‘vènti’).

“Sappi”, mi disse seriamente il dabben’uomo, “che il trattenere il ‘vènto’ quando necessita, quando urge emetterlo è negativo.

Fa male.

Blocca.

Costringe.

Guardati attorno: le persone più creative, pronte, gli artisti, in una parola e per quanto la definizione sia del tutto imperfetta, le più intelligenti, operano, creano, studiano da sole.

In solitudine, liberi anche da questo punto di vista, la costrittiva buona educazione non li obbliga, quando necessita, ad impedirsi i ‘vènti’”.

 

Lo presi sul serio?

Certamente.

E, d’altra parte, come non concordare in proposito semplicemente guardando alla realtà dei fatti?

Nessun genio, nessun artista, nessun creativo accetta di essere irreggimentato, di essere costretto tra gli altri, che so?, in un ufficio, in una fabbrica, in un ambito nel quale – non ne è conscio, ma lo ‘sente’ – emettere ‘vènti’ non gli è possibile.

Di più – sono giunto a questa definitiva incontrovertibile conclusione attentamente osservando – se per qualche necessità vi è obbligato, lentamente dapprima, rapidamente dipoi, perde le proprie caratteristiche per finire costretto e infelice, depresso, direi.

 

E’ questa, credetemi, una delle ragioni ‘vere’ e la maggiormente trascurata appunto della depressione!

Eurico Gaspar Dutra II