Leonardo e gli scacchi

Ricorrono quest’anno i 500 anni della morte di Leonardo da Vinci. Su di lui è stato scritto quasi tutto. Diciamo ‘quasi’ perché sembra che nessuno studioso sia interessato a Leonardo giocatore di scacchi: eppure Leonardo potrebbe essere stato uno degli artefici della modifica nel movimento dei pezzi che si verificò tra la finedel Quattrocento e l’inizio del Cinquecento.

Leonardo nacque il 15 aprile 1452 e morì il 2 maggio 1519.

Va detto subito che non si sa quando abbia appreso il gioco degli scacchi: forse già da ragazzino nella casa in campagna dei nonni, probabilmente a Firenze  quando intorno al 1475 cominciò a frequentare la corte di Lorenzo il Magnifico, dove – come risulta da numerose testimonianze – il gioco degli scacchi era molto praticato. 

Ricordiamo per inciso che proprio nel 1475 nacque Giovanni secondo figlio di Lorenzo il Magnifico e Clarice Orsini. Diventerà papa nel 1513 con il nome di Leone X e sarà uno dei papi più importanti per la storia degli scacchi. Era infatti un grande appassionato del nostro gioco: negli otto anni del suo pontificato ne favorì la diffusione, e, così come protesse letterati e poeti, fu un importante mecenate per i giocatori di scacchi dell’epoca.

Anzi, la passione per il gioco degli scacchi di Leone X fu tale da essere segnalata perfino nell’opera “Storia dei Papi” del Pastor (!).  Inoltre in un volume della fine del 1500 si trova questa citazione: “Papa Leone era solito abbandonare la partita quando era inferiore; ciò mostra la sua abilità, poiché egli vedeva molto tempo prima ciò che doveva accadere; e quando si accorgeva che la sua situazione era disperata, seguendo il responso di Ippocrate che diceva non esservi rimedio per i disperati, si arrendeva e confessava vinto.”

Torniamo a Leonardo. Se non imparò a giocare da ragazzino e se proprio non imparò neppure alla corte del Magnifico, di certo al più tardi apprese il gioco quando nel 1482 si presentò a Ludovico il Moro e rimase alla sua corte a Milano. 

Che il gioco degli scacchi fosse molto diffuso specie tra i nobili, il clero ed i ceti più ricchi è storicamente documentato; una delle ragioni principali era che gli scacchi permettevano di passare il tempo (oggi diremmo ‘il tempo libero’) anche perché va ricordato che all’epoca non c’era la radio, non c’era la televisione (e non c’era neppure il campionato di calcio…). Un’altra ragione era che la partita a scacchi permetteva a uomini e donne di stare insieme senza creare ‘pettegolezzi’ ed era quindi una buona occasione di corteggiamento: e questo accadeva anche alla corte dei Visconti e degli Sforza, dove gli scacchi erano molto diffusi e giocati dallo stesso Ludovico il Moro.

Da documenti conservati nell’Archivio Storico Lombardo si sa infatti che nel 1472 Ludovico, allora ventenne, perse ben 30 ducati con Galeazzo Maria Sforza; questi successivamente, nel 1475,trovò un ben più ostico avversario nel conte Galeotto Belgioioso, tanto che seccato per le continue sconfitte decise di allontanarlo da Milano. In una lettera (10 settembre 1475, pure conservata nell’Archivio Storico Lombardo) Galeazzo Maria scrive da Villanova al visconte Ascanio Maria Sforza: “El conte Galeoto a Belzoioso ne ha richiesto licenza de venire a casa et non sapemopensare la ragione se non è perché el voglia portare ad casa li dinari chel ha vinto ad zocare a scachi …. Et guardatevi bene dal zocare a scachi con lui perché è fatto così bon magistro che vincerà ad ogni partito”.

E ancora c’è un altro scritto di Galeazzo del novembre 1475: una missiva ad un artigiano con cui ordina una nuova scacchiera avvertendo che la voleva “intarsiata e non dipinta” perché la pittura se ne andava troppo presto.

Possiamo dire pertanto che se Leonardo ancora non sapeva giocare a scacchi sicuramente imparò a Milano; del resto, come ha scritto Marco Malvaldi nel suo libro ‘La misura dell’uomo’ (Giunti Editore) “Leonardo non smette mai di imparare, non c’è un momento della sua vita in cui si accontenta di quello che sa.” 

E a proposito del suo soggiorno milanese, in un documento di fine XV secolo si legge che “Leonardo giocò a scacchi con l’Ambasciatore francese adottando una nuova tattica, il sacrificio del Pedone d’Alfiere di Donna” (dopo aver iniziato la partita con la spinta di due passi del Pedone di fronte alla Donna): in pratica un esempio, forse il primo, della apertura che sarà poi conosciuta come “Gambetto di Donna (accettato)”; purtroppo  non ci sono altri dettagli, né sul nome dell’Ambasciatore né su quando venne giocata la partita.

Leonardo, come si sa, era anche un innovatore: probabilmenteaveva già avuto notizia delle novità apportate nel gioco, soprattutto relative al movimento della Regina e dell’Alfiere che sarebbero state adottate definitivamente da lì a pochi anni.  

Così possiamo ritenere che abbia pensato a sua volta ad una modifica migliorativa ed abbia ‘ideato’ il movimento dell’arrocco(che allora non si chiamava ancora così). 

Lo possiamo dedurre dal fatto che nei Fogli di Windsor datati tra il 1484 e il 1487 c’è il disegno di un suo “rebus” scacchistico (foglio 12692r). E come scrive ancora Malvaldi “Il disegno per Leonardo è pura espressione intellettuale, una astrazione in grado di rappresentare una teoria. /…/ i suoi disegni servono a far vedere come le cose funzionano, non che aspetto abbiano.” 

La soluzione del “rebus” scacchistico di Leonardo è  “io arroccherò”, con l’idea di effettuare il particolare movimento di Re e Torre in una mossa sola e non in due come avveniva all’epoca, quando per togliere il Re dal centro della scacchiera e portare in gioco la Torre c’era la possibilità di una combinazione di due mosse successive, come riportato dallo spagnolo Lucenanel suo testo del 1496 o 1497: prima si muoveva la Torre, poi alla mossa immediatamente seguente il Re aveva la facoltà di scavalcarla muovendo di due caselle. Ma si trattava di due mosse e non di una sola come avviene oggi con quello che possiamo definire l’arrocco ‘moderno’.

Probabilmente però l’idea di Leonardo anticipava troppo i tempi per la corte milanese, abituata al gioco classico dell’epoca, e così non trovò riscontro. 

Ma sicuramente le cose cambiarono quando, dopo la fuga da Milano, Leonardo si rifugiò insieme a fra’ Luca Pacioli presso la corte di Isabella d’Este a Mantova.

Pacioli era giunto alla corte del Moro da non molto tempo e aveva subito legato con Leonardo: tra i due era nata collaborazione e amicizia; Pacioli, noto matematico, era anche uno scacchista e aveva raccolto molti ‘partiti’, come si chiamavano allora: oggi li definiremmo problemi, finali, combinazioni di centro partita. Di certo non aveva in mente di farne un libro, ma presto cambierà idea e in altri suoi testi accennerà alla realizzazione del volumetto scacchistico.

Abbandonata Milano, Pacioli si aggregò a Leonardo ed entrambivennero accolti presso la corte di Isabella d’Este a Mantova dove soggiornarono tra il 1499 e il 1503.

Leonardo fu accolto poiché Isabella sperava le facesse il ritratto, Pacioli probabilmente come suo amico, ma ovviamente si riteneva obbligato a trovare un modo per sdebitarsi.

Diciamo subito che la corte di Isabella era all’epoca il fulcro europeo degli scacchi. Isabella era grande appassionata:accoglieva e ospitava i giocatori, faceva venire i migliori “professionisti” dalla Spagna per giocarci e prendere lezioni e si faceva intagliare i pezzi dai Maestri Campionesi (a volte “tirando sul prezzo”, come mostrano alcune lettere pervenuteci). Tutto questo è storicamente documentato. 

Qui Leonardo e Pacioli trovarono una “atmosfera scacchistica” molto intensa e ricca. 

Luca Pacioli, che aveva con sé la sua raccolta di ‘partiti’, pensò che un modo per sdebitarsi con Isabella potesse essere farne un libretto da realizzare con il preciso scopo di farne omaggio alla stessa  Isabella: così la raccolta presto si trasformò nel celeberrimo De Ludo Scachorum. 

Era necessario però rifare i diagrammi ed ecco il primo intervento per la realizzazione del libro da parte di Leonardo, che disegnò anche dei pezzi di nuova concezione, molto più leggeri e artistici di quelli allora in voga. Possiamo notare che per la realizzazione dei pezzi del gioco di nuova concezione sarebbe stato necessario l’uso del tornio, macchina pure di nuova concezione (i primi esemplari risalivano ad una quarantina di anni prima) e che anche Leonardo aveva disegnato, ma che non era ancora pronta allo scopo. Ancora una volta Leonardo anticipava (troppo) i tempi …

I pezzi erano proporzionati in base al rapporto aureo; essi si rifanno, per il Pedone, a forme note, per la Regina, ad una forma precisa già utilizzata da Leonardo, nel disegno di una fonte (in studi e disegni di fontane, Codice Atlantico, foll. 293r-b e 212r-a. E c. 1497-1500, Ms. I di Madrid), per le figure di Alfiere, Cavallo, Torre e Re, e per la loro complessiva raffinata snellezza, ai decori della Domus Aurea, Candelabra e Grottesche, scoperte sul finire del 1400 e note al Maestro. 

Del libro però presto non ci fu più traccia e  si pensò fosse andato perduto, fino a che, come noto, è stato casualmente ritrovato pochi giorni prima del Natale del 2006 presso la Biblioteca della Fondazione Palazzo Coronini Cronberg di Gorizia. Praticamente quasi mezzo millennio dopo che era stato realizzato! 

Le analisi sul manoscritto ritrovato hanno dimostrato che Leonardo non solo disegnò i pezzi di nuova concezione, ma realizzò anche molti dei “diagrammi” con le varie posizioni (lo si evince dal fatto che sono disegnati con la mano sinistra e che le scacchiere sono realizzate senza utilizzo del righello).

Per quanto riguarda l’aspetto del gioco ‘vivo’, dobbiamo tornare al rebus nei Fogli di Windsor. Dato che alla corte di Isabella già si giocava con le nuove regole portate dai “professionisti” che la frequentavano, regole tese a velocizzare il gioco (Donna e Alfiere avevano esteso infatti il proprio movimento, l’Alfiere potendo muovere lungo tutta la diagonale, la Donna lungo tutte le traverse, colonne e diagonali) e dato che, come abbiamo detto, fino a quel momento quello che oggi chiamiamo arrocco veniva effettuato con due mosse consecutive successive, si può pensare che Leonardo abbia proposto l’innovazione, ovvero la nuova mossa, definita arrocco, effettuata in un colpo solo, da lui ipotizzata già una quindicina di anni prima. Possiamo ritenere che l’idea piacquee venne subito accettata, sia perché come abbiamo dettorispondeva allo scopo di velocizzare il gioco, sia soprattutto perché costituiva una specie di ‘antidoto’ al nuovo potere assunto dalla Donna o, per adeguarci all’epoca, dalla Regina.

Ovvio che una volta accettata l’idea presso la corte di Isabella, poi la diffusione dell’arrocco (in una mossa) in tutta Europa da parte dei “professionisti” avvenne di conseguenza.

Adolivio Capece

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maggiori dettagli sul libro di Pacioli e sugli interventi realizzati da Leonardo sul sito dell’architetto milanese Franco Rocco che ha effettuato approfonditi studi sull’argomento (www.francorocco.com).