Sempre più spesso vengono richieste ai manager non solo competenze puntuali e saperi organizzati, ma anche capacità relazionali che si sostanziano nei soft skill in grado di ottimizzare i rendimenti delle squadre lavorative e nei gruppi di lavoro e, conseguentemente, accrescere la competitività aziendale.
Infatti i nuovi modelli organizzativi che traggono spunto dagli strumenti digitali, necessitano, per accrescere l’efficacia dei loro risultati, di un costante coinvolgimento emotivo di tutti i collaboratori inseriti nei processi dell’impresa.
Questo perché riconoscere e gestire al meglio le proprie emozioni e quelle degli altri è la chiave vincente per aumentare la competitività aziendale e le sue opportunità di successo.
Principalmente oggi che i modelli organizzativi piramidali e gerarchico funzionali vanno lasciando sempre più spazio a quelli orizzontali, basati sull’empoverment (trasferimento di potere) e sono caratterizzati da una crescente disponibilità dei top manager agli stimoli che provengono dalla base della piramide.
Infatti l’intelligenza non è solo la capacita logico deduttiva di risoluzione di problematiche più o meno complesse, ma è anche interpretazione del contesto relazionale tra individui, accadimenti e situazioni, con lo scopo di comprenderne i nessi per formulare ipotesi e sperimentare soluzioni valutando sia i rischi che le opportunità, sulla base dei propri punti di forza e dei conseguenti elementi di debolezza.
L’obiettivo delle intelligenze relazionali che sono state analizzate negli ultimi anni sulla scia delle nove intelligenze di Gardner, è quello di far transitare i soggetti coinvolti dal giudizio, all’ascolto e alla comprensione, per conoscere, capire e potersi parametrare con la complessità e la velocità dei processi che oggi caratterizzano la società tecnologica e digitale.
Tutto ciò non solo individualmente, ma interagendo costruttivamente con gli altri in modo qualitativamente e reciprocamente proficuo e gratificante e per sviluppare capacità di pensiero elaborativo, non solo lineare e conseguenziale, ma anche laterale, antitetico, divergente e circolare.
Si tratta di talenti che in molti casi possono anche essere innati, ma che debbono essere appresi ed accresciuti con applicazione, metodo e impegno e che come afferma uno studio dell’Word Economic Forum, risultano essere tra le qualità più ricercate ed in grado di fare la differenza tra i leader e i manager di maggior successo.
Infatti le intelligenze relazionali di cui l’intelligenza emotiva è una significativa componente, alla quale ricorre il nostro intelletto quando deve scoprire, interpretare e organizzare le personali ed altrui emozioni, debbono educare ai sentimenti e gestire le passioni, in modo da amministrare, dialetticamente, il rapporto tra il “sé esperienziale”e il ”sé narrante”.
Il problema è legato al fatto che la relazione tra conoscenza (impegnativa), sensi (che ingannano) e realtà (che non è come appare) determina conflittualità; perché nella relazione c è interazione distorsiva tra la mente che produce la conoscenza e il cervello che genera la mente che ricerca la conoscenza (il sapere intelligente!)
Il tutto in in’ellittica circolarità tra mondo esterno, conoscenza, mente, cervello, intelligenza e coscienza reso oggi più complesso dall’affermarsi delle intelligenze artificiali che però danno risposte, ma non sanno ancora porre le domante, accumulano dati, ma non hanno ancora coscienza di sé, gestiscono informazioni, ma non hanno intuitività ed immaginazione.
Questo perché l’intelligenza logico/deduttiva (la sola già formalizzata con un indicatore definito, il Q.I.) non può essere considerata come un valore assoluto di merito e un coefficiente che “gerarchicizza”in positivo o in negativo un individuo, ma un’attitudine e/o un talento relativo al contesto di determinate situazioni e al rapporto che sappiamo instaurare con la realtà.
E’ per questa ragione che dobbiamo anche prendere in considerazione la consapevolezza, perché anche una persona con un elevato quoziente intellettivo (Q.I.) potrebbe essere incapace di gestire situazioni e relazioni complesse, indefinite, ricche di contrasti e fortemente dinamiche che non si allineano con le sue capacità logico/deduttive.
Ecco quindi entrare in gioco le quattro intelligenze relazionali: le due interpersonali, quella emotiva e quella sociale e le due eco sistemiche, quella percettiva e quella collettiva.
L’intelligenza emotiva è focalizzata sulla relazione dell’individuo con l’altro, mentre quella sociale è concentrata sul rapporto del singolo con il gruppo; per entrambe il legame che unisce è l’empatia che per l’intelligenza emotiva si manifesta attivando le capacità di riconoscere ed utilizzare, consapevolmente e costruttivamente, le proprie emozioni, comprendendo ed accettando anche quelle dell’altro, per facilitare la costruzione di relazioni win/win (reciprocamente profittevoli) , all’interno di un contesto caratterizzato dalla reciproca fiducia.
Come è facile intuire per essere dei buoni leader è fondamentale saper sviluppare capacità relazionali socialmente accettate, basate su resilienza, empatia, autostima consapevole, capacità di comprendere le ragioni di chi opera nel team e valorizzarne al meglio qualità e potenzialità, insieme all’attitudine gestionale idonea per saper costruire, far lavorare e performare la squadra.
A queste si debbono aggiungere tre hard skill: l’esperienza nella posizione, la competenza specifica e la capacità operativa che debbono supportare curiosità intellettuale, visione positiva, determinazione, tenacia e desiderio di confronto.
Pertanto per far crescere la squadra è necessario riflettere su se stessi per comprendere se si agisce, più o meno, nel modo corretto.
In conclusione sono quattro i contesti presi in considerazione dall’intelligenza emotiva: in primo luogo la consapevolezza di ciò che si prova e perché lo si prova, la capacità di capire le emozioni che creano ansia, valorizzando le positive (eustress) per coinvolgere chi si interfaccia nella squadra sul lavoro.
La consapevolezza sociale, interpretata come il talento per l’empatia e la capacità di mantenere in azienda un clima positivo ed infine l’abilità nella gestione del rapporto che può essere anche contrastante, all’interno dei gruppi di lavoro, gestendo le divergenze che inevitabilmente, per effetto dell’umana diversità, si generano.
Luigi Pastore