Redistribuire per trasformare la ricchezza in benessere

Molti degli attuali problemi possono essere fatti risalire ad un affermazione di oltre trenta anni fa. Infatti è all’ideologica dichiarazione di Jack Welch “creare valore per gli azionisti” e non per tutti i “portatori di interessi” che si deve, probabilmente, la crescita delle disuguaglianze che è oggi il principale avversario della democrazia e della partecipazione. Quelle parole che sembrano riecheggiare “l’Arricchitevi”di Francois Guizot di circa 150 anni prima, oltre a relegare il tema della responsabilità sociale delle imprese ad occasione di comparsate all’interno di infruttuosi convegni sul tema, hanno rappresentato il fondamento politico e culturale sulle quali costruire un’oligarchia manageriale che governa il mondo delle imprese e non solo, in un’ottica temporale limitata all’orizzonte delle trimestrali di bilancio. Quella dichiarazione, ripresa dagli economisti e insegnata nelle università di tutto il Pianeta ha arricchito (per quanto tempo?) gli azionisti, non solo di General Electric, e i top manager di decine di multinazionali, ma ha distrutto milioni di posti di lavoro, delocalizzato imprese e impoverito territori. Il capitalismo finanziario globalizzato è stato il braccio armato di questa conquista che se è vero che ha accelerato la crescita ha al contempo acuito le problematiche ambientali e aumentato le disuguaglianze che durante il secolo scorso erano andate restringendosi grazie alla diffusione dello stato sociale che, ovviamente, non genera “valore” per gli azionisti, ma per i cittadini! Se per valore intendiamo ricchezza questa normalmente è misurata con due indicatori:il prodotto interno lordo e la capitalizzazione borsistica. Per il secondo parametro possiamo però parlare di ricchezza virtuale che si concretizza solo all’atto della vendita. Quanto invece sia rozzo e poco efficace come indicatore il PIL è dimostrato dal fatto che solo alcuni anni fa un gruppo di economisti per accrescere il nostro prodotto interno lordo propose di inserire al suo interno anche l’economia malavitosa che se è vero che produce ricchezza, certamente però, non genera benessere. Infatti, se vogliamo che i mercati abbiano una loro etica, intesa come onestà e trasparenza e vogliamo evitare l’eccessiva concentrazione della ricchezza, che produce un eccesso di iniquità, dobbiamo trovare le modalità per trasformarla in benessere non solo individuale, ma anche collettivo. Per poter ottenere dei risultati sarà indispensabile individuare l’origine reale delle disuguaglianze e del loro incremento e intervenire poi sulle distorsioni che le producono. Infatti le modalità con le quali i mercati adempiono alle loro funzioni, la globalizzazione si espande e le innovazioni tecnologiche prendono piede dipendono dalle scelte politiche intraprese e da quelle non attuate. Privatizzazioni, liberalizzazioni, scelte di imposizione fiscale, riforme del mercato del lavoro e dei sistemi educativi e sanitari possono accrescere le contraddizioni del mercato e favorire fenomeni concentrativi. E’ però fondamentale prendere coscienza che il fenomeno non è ne ineluttabile, ne irreversibile e che, così come alcune scelte politiche hanno favorito la concentrazione della ricchezza, parimenti, politiche di segno contrario possono invertire il processo e ridurre la disuguaglianza, rendendo il sistema nel suo complesso, più stabile, equilibrato e soprattutto etico ed equo. A tal proposito, Boston Consulting Group, rinomata società di consulenza già nota per avere elaborato la matrice “del portafoglio competitivo delle imprese”negli anni settanta del secolo scorso, ha realizzato un’indagine dalla quale emerge che fornire elevati standard di vita ai cittadini vuol dire potersi presentare come più attrattivi per richiamare investimenti di capitali esteri. Pertanto essere più efficaci nel tradurre la ricchezza prodotta da un paese in “qualità della vita” elevata è un fattore competitivo di lunga durata. Ecco che occorre andare oltre il semplice indice valutativo che fornisce il Prodotto Interno Lordo, che non può più essere il “mantra” per valutare le prestazioni di un sistema economico/sociale. In questo il nostro Paese che pure non occupa una posizione elevata nella classifica delle nazioni attente al benessere dei cittadini si è attivato opportunamente e, primo paese dell’Ocse, ha introdotto nei suoi documenti di finanza pubblica degli specifici indicatori di benessere equo e sostenibile. Infatti il pensiero di “happiness advantege”si sostanzia nell’inversione del percorso causale “lavorerò con impegno, avrò successo e quindi sarò felice”che si riformula, invece, “se sono soddisfatto (felice!), lavorerò al meglio e, pertanto, avrò successo”; dando quindi concretezza all’affermazione di Flaubert “Il successo non è un obiettivo, ma una conseguenza”. Quindi felicità non come fine astratto e risultato di tempi dilatati, ma come condizione permanente e auto motivante, funzionale al raggiungimento di altri traguardi anche nel contesto economico e finanziario. Di conseguenza Boston Consulting Group ha elaborato uno specifico panel di quaranta indicatori per fornire una sorta di “pagella dello sviluppo sostenibile” a 152 Nazioni, suddividendolo in tre macro aree:

indicatori economici (reddito, equilibrio finanziario, tassi di occupazione) parametri di investimento (dalle infrastrutture reali e virtuali, all’educazione, alla salute, alla previdenza) e indicatori di sostenibilità e inclusione sociale (ambiente, governance, equità).

L’aspetto più interessante, però, che supera la concezione di una fotografia statica che si sarebbe limitata a certificare che da differenti livelli di ricchezza di avvio discendono divari evidenti sui servizi e sugli standard di vita dei cittadini, è valutare la capacità e la velocità dei singoli Paesi di trasferire la potenza economica in qualità della vita per i suoi abitanti. Per questa ragione BCG ha evidenziato il coefficiente “conversione della ricchezza in benessere”che permette di individuare la qualità delle politiche messe in atto, a prescindere dal reddito di partenza. Questo indicatore insieme all’analisi decennale su come si è attivato un Paese nella classifica del benessere consente di avere una visione prospettica sulla capacità di distribuire qualità del vivere tra gli abitanti. E’ evidente che il tema della diffusione del benessere è fortemente condizionato dalle prospettive economiche e non è casuale, come rileva BCG, che negli ultimi dieci anni i Paesi con un coefficiente migliore abbiano avuto una crescita più solida e dei 63 che hanno subito la recessione globale i migliori a redistribuire le risorse ne siano usciti più rapidamente. Nella mente degli investitori, pertanto, questo tipo di indicatori sta sempre più prendendo piede per indirizzare le scelte su dove insediare un nuovo sito produttivo, una sede, o spostare dei capitali e i criteri ESG (Environmental , Social and Governance) stanno divenendo sempre più una bussola per orientare la finanza globale. Non sono più sufficienti basso costo del lavoro e flessibilità, ma si cerca di comprendere dove sarà possibile realizzare rendimenti adeguati evitando catastrofi di carattere sociale, ambientale o finanziario e non essere in linea con questi indicatori vuol dire non essere attrattivi ed anche rischiare di perdere i migliori talenti che migrano altrove. Ecco che il tema della Responsabilità sociale delle organizzazioni e della sostenibilità economica ed ambientale tornano, prepotentemente, ad essere di assoluta attualità.

Luigi Pastore