USA: alcolici e indipendenza

Astemio.
Sono assolutamente astemio.
Da sempre.
Non è che prima bevessi e adesso no.
Di più – e non chiedo affatto scusa – considero i bevitori dei perfetti imbecilli.
Certo, c’è di peggio.
Per esempio i drogati.
Starei per dire, anche i tatuati.
Perfino, i padroni di cani portati in giro senza museruola.
E se penso al fatto che un numero infinito di imbecilli è alcolizzato, drogato, tatuato e magari possiede anche un cane…
Ciò detto, la voglia – non l’inesistente anche se sbandierata necessità – di bere ha storicamente avuto conseguenze particolarmente importanti in determinate circostanze.
Per esempio, quanto alla nascita degli Stati Uniti d’America.
Nel diciottesimo secolo, nelle terre che verranno presto a formare appunto gli USA (naturalmente, anche altrove ma lo sguardo va ora concentrato là), il consumo degli alcolici era enorme.
Rum e gin, in particolare (cognac nella Nuova Francia, se vogliamo tenerne conto).
Ebbene, necessitano in particolare per fare il rum lo zucchero e la melassa.
Ingredienti, questi, allora, disponibili a buonissimo mercato nelle Indie Occidentali.
A buonissimo mercato ma non importabili dato che le isole nelle quali sarebbe stato utile approvvigionarsi in merito erano per la gran parte olandesi o francesi.
E cosa diceva la legge inglese relativamente ai commerci se non che le colonie dovessero obbligatoriamente passare per la madre patria per condurli in cotal modo spendendo infinitamente di più?
Certo, alla fine fu la famosa questione relativa al tè a far traboccare la tazzina (nel caso, parlando della bevanda paglierina, meglio la tazzina che il proverbiale vaso).
Ma senza la gran voglia di bere dei coloni – per questo non osservanti delle norme e insorgenti quanto alle costrizioni e alle gabelle – si sarebbe arrivati alla nascita degli Stati Uniti?
V’è da dubitarne.
E assai fortemente.

Mauro della Porta Raffo