Milena Jesenská, da Kafka alla resistenza contro il nazismo

Il nome di Milena Jesenská è rimasto per decenni indissolubilmente legato a quello dello scrittore praghese Franz Kafka, autore di alcuni fra i maggiori capolavori della letteratura del novecento. In realtà la “storia” con Kafka, oltre che di breve durata, dalla fine del 1919 al 1923-24, fu un amore quasi esclusivamente mentale in quanto i loro incontri, al di là della fittissima trama epistolare, furono soltanto due, uno sereno e gioioso a Vienna ripetutosi per quattro giorni, e l’altro, triste, quasi un commiato, a Gmünd, al confine tra Austria e Cecoslovacchia. La torrenziale quantità di missive, oltre cento, inviate da Kafka a Jelena furono da lei date in custodia a Praga all’amico Willy Haas nella primavera del 1939, prima che le truppe tedesche entrassero nella città. Haas le nascose e ne curò la pubblicazione nel dopoguerra, col titolo “Briefe an Milena” presso l’editore Fischer nel 1952; in Italia uscirono nel 1954 tradotte da Ervino Pocar (1).
Le lettere a Milena sono un capolavoro non solo letterario , ma anche fondamentale per entrare nella complessa e spesso indecifrabile psicologia kafkiana. Sono il diario di un amore che cresce a dismisura dopo i primi contatti epistolari nati dalla richiesta di Milena a Kafka di tradurre dal tedesco in ceco il racconto “Der Heizer” (Il fuochista), che costituirà poi il primo capitolo del libro Amerika, e che si spegne, da parte di Kafka, per la sua incapacità di affrontare un legame amoroso totalizzante e stabile, ossessionato com’era dai suoi angosciosi complessi di colpa, di inferiorità e dal difficile rapporto con la propria sessualità. Milena tenterà in tutti i modi, con la sua esuberante vitalità e giovinezza, di dargli forza e fiducia, come si deduce dalle risposte di Kafka che paragona le lettere dell’amata ad un uragano entrato rombante nella camera, (le lettere originali di Milena non sono mai state rinvenute), ma alla fine il furore autodistruttivo dello scrittore, unito alla tisi che lo annienterà nel 1924, a 41 anni, logora e chiude ogni possibilità di realizzare una unione definitiva. In una delle ultime lettere raccomanda a Milena di avere pazienza, dice che “da anni non ho più scritto a nessuno, a questo punto ero come morto, mancante di ogni bisogno di comunicazione, come se io non fossi di questo mondo ma anche di nessun altro; era come se per tutti gli anni avessi fatto soltanto di straforo ciò che era richiesto e in realtà fossi stato soltanto in ascolto per sentire se ero chiamato, finché poi la malattia mi chiamò dalla camera attigua e io vi entrai e sempre più fui suo”(1). Il successo della pubblicazione delle lettere, diede di riflesso una fama postuma a Milena come una delle fidanzate, o meglio dei pochi amori disperati del grandissimo scrittore. Ma recentemente si è scoperto che Milena non è stata soltanto una meteora luminosa nel controverso e claustrofobico universo femminile di Kafka. Come nota Bruno Ventavoli “Ricordarla solo per questo è dunque riduttivo. Non solo perché fu un amore paranoicamente virtuale, ma perché Milena Jesenská fu molto più che una semplice icona sentimentale. Fu giornalista, traduttrice, scrittrice, attivista politica, e soprattutto rivoluzionaria dello spirito” (2).
Milena nasce nel 1896 a Praga, figlia di un medico e docente universitario benestante col quale avrà un rapporto difficile. Benché il padre sia un convinto conservatore, nazionalista ed antisemita, iscrive la figlia ad una scuola progressista come l’Istituto Minerva, il primo liceo classico femminile dell’Europa centrale, dove viene coinvolta e partecipa attivamente allo stile di vita anticonformista e ribelle delle studentesse. Durante gli otto anni di studio al liceo, Milena legge Dostoievskij, Byron e Wilde, la sua vivacità ed il carattere irriducibile la portano a compiere gesti eccessivi come escursioni notturne nei cimiteri, piccoli furti nei negozi, uso di morfina sottratta nello studio medico del padre per conoscerne gli effetti; rimane anche incinta ed il padre deve intervenire per sistemare la situazione. Muore la mamma e Milena si iscrive a medicina con scarsi risultati, per passare poi, avendo spiccate doti musicali, al Conservatorio, ma non si dedica allo studio come dovrebbe ed abbandona anche questo impegno. Diventa invece sempre più una figura di rilievo nella “Café Society” di Praga durante la Grande Guerra, discutendo di arte e letteratura con gli amici del Café Arco, tra cui i fratelli Capek, Franz Werfel, Max Brod, Willy Haas. Milena è una ragazza bella con un largo viso fanciullesco illuminato da grandi occhi celesti, vivacissima e spregiudicata, avida di vita, che passa sovente le notti fuori casa. Nel 1916 , al Café Arco, conosce di sfuggita Kafka, mentre si innamora di Ernst Pollak, di dieci anni maggiore di lei, un ebreo di lingua tedesca squattrinato, ma però, come scrive Johannes Urzidil, “Da quell’uomo piccolo ed insignificante, si sprigionava un inesplicabile magia di basilisco che, a quanto pare, attirava irresistibilmente nelle sue braccia le donne, quelle semplici come quelle complicate” (3). Preoccupato per la vita disordinata della figlia, senza freni anche sul piano economico per la sua prodigalità senza controllo, il padre la fa ricoverare nella clinica psichiatrica di Véleslavin con la diagnosi di “assenza patologica di senso morale”. I nove mesi di cure e domicilio coatto, anche se, con la complicità di un’infermiera, ogni tanto di notte scappa in città, fino a marzo 1918, non ottengono alcun effetto. Diventata maggiorenne, il padre deve capitolare, Milena sposa Pollak e la coppia si stabilisce a Vienna ma il padre si rifiuta di mantenerli.
Vienna, duramente provata dalla guerra ed in uno stato di grande povertà, è comunque una città intellettualmente molto vivace e Milena inizia a scrivere, nel novembre del 1919, per il giornale ceco “Tribuna”, articoli di costume, di moda e di cronaca sulla grande capitale austriaca. Il matrimonio si incrina per le infedeltà di Pollak. Per vivere Milena lavora sporadicamente come portabagagli alla stazione di Vienna, impartisce lezioni private di ceco ed in questa occasione conosce lo scrittore Hermann Broch col quale sviluppa una tenera relazione, ruba dei gioielli ed il padre interviene per chiudere la vicenda, tenta anche il suicidio. In questo clima di irrequieta disperazione avviene nel 1920 l’incontro a Vienna con Kafka, che rientrava a Praga dal sanatorio di Merano dove era ricoverato per curare la tubercolosi manifestatasi già nel 1917. Si tratta inizialmente di contatti per lavori di traduzione di racconti di Kafka, una attività dove Milena si sta guadagnando notevole considerazione traducendo autori francesi come Apollinaire, Rolland, Laforgue, tedeschi come Heinrich Mann, Werfel, Meyrink, russi come Gorkji ed inglesi come Chesterton, Stevenson e Swift. Poi la passione con Milena divampa, Max Brod, l’amico fraterno di Kafka, racconta che Franz era irriconoscibile, preso com’era da una frenesia amorosa divorante. Ma il fuoco si spegne rapidamente, Milena non rinuncia al matrimonio e le condizioni di salute di Kafka si aggravano al punto che, in una delle ultime lettere dal sanatorio sui monti Tatra, la prega di “Non scrivere ed impedisci che ci incontriamo: adempi in silenzio questa mia preghiera, essa solo può permettermi di continuare a vivere in qualche modo, tutto il resto continua la distruzione”. Dopo la sua morte, nel 1924, Milena scrive un lungo necrologio sul Národní Listy (Il Giornale Nazionale) del 6/06/1924 dove lo descrive come “un uomo condannato a vedere il mondo con una tale abbacinante chiarezza da non riuscire più a sopportarlo e, se non voleva fare concessioni, come accade agli altri, e salvarsi nei più nobili errori della ragione o dell’incoscienza, allora doveva morire” e conclude dicendo “Fu un artista e un uomo dalla coscienza talmente sensibile da riuscire ad ascoltare dove gli altri, sordi, si ingannavano ritenendo di essere al sicuro”. Più tardi, in una lettera all’amico Max Brod confesserà “Ero troppo debole per poter fare e compiere ciò che, lo sapevo, unicamente l’avrebbe aiutato. Questa è la mia colpa…..Se fossi riuscita ad andare con lui, avrebbe potuto vivere felice con me. Ma questo lo so solo oggi. Allora ero una donna comune come tutte le donne del mondo, una piccola femmina istintiva”.
Dopo la morte di Kafka, Milena divorzia e lascia Vienna per trasferirsi a Dresda presso una ex-compagna di scuola, moglie di uno dei fondatori del partito comunista tedesco che la interesserà ai temi della democrazia proletaria marxista. Nel 1925, dopo sette anni di lontananza, rientra a Praga e ritrova energia e tanta voglia di riappropriarsi della sua vita. Praga attraversa un periodo di grande fermento culturale e politico, grazie anche alle doti politiche, culturali e del carisma del presidente Tomáš Masaryk, un umanista e filosofo di grande apertura mentale. Milena si tuffa con entusiasmo in questo clima vivace e positivo, diventa titolare della pagina femminile del Národní Listy e, con le sue collaboratrici, inizia a parlare di riscatto ed emancipazione della donna in un quadro socio-culturale nuovo ed in evoluzione. Un suo violento pamphlet contro la proibizione dell’aborto fa scalpore. Esce una sua raccolta di articoli, si innamora e sposa nel 1927 l’architetto Jaromír Krejcar, formatosi alla Bauhaus di Dessau, fra gli artefici del nuovo corso dell’architettura praghese. Milena, nei suoi scritti, sposa entusiasticamente le istanze della nuova architettura che Walter Gropius aveva teorizzato nella Germania di Weimar. Nel 1928 nasce la figlia Jana, è una gravidanza difficile aggravata da problemi ad una gamba dovuti ad una caduta sciando. Dopo il parto, madre e figlia restano quasi un anno in clinica in quanto Milena è sofferente; per lenire i dolori alla gamba ritorna alla morfina, è gonfia e claudicante. Nel 1934 il matrimonio finisce ed intanto la sua attività pubblicistica si riduce quasi completamente. L’unico ristoro a questo penoso stato di depressione, è il rapporto sentimentale che nasce con Evžen Klinger, un attivista comunista ebreo ungherese che il partito le assegna per curarne la convalescenza. Milena si era iscritta al partito comunista del quale da tempo condivideva le idee politiche e ne aveva scritto su importanti giornali come il “Rudé Pravó”. Ma l’infatuazione per il regime sovietico si esaurisce quando Milena inizia a conoscere la realtà del comunismo stalinista, i processi moscoviti senza contraddittorio e le conseguenti grandi purghe, la morte di decine di migliaia di oppositori. Scrive ad un’amica: “Sono entrata nel partito comunista dopo la malattia, spinta dal grande desiderio di rendermi ancora utile al mondo. Credevo che solo là fosse possibile. Ho concentrato tante cose belle nella parola compagno e per anni mi sono subordinata alla cosiddetta disciplina rivoluzionaria, anche dopo, quando ho scoperto che questa cosa con la disciplina rivoluzionaria non aveva nulla in comune: ognuno difende se stesso e sputa sull’altro. Cambia solo la terminologia”. Abbandona il partito nel 1936 ma resta comunque attenta alla politica ed ai mutamenti sempre più minacciosi che avvengono in quelle nazioni europee dove dittature autoritarie guadagnano crescenti consensi. Nel 1937 viene chiamata da un suo ex-collega del giornale Tribuna a collaborare con l’importante rivista Přítomnost (Tempo Presente), fondata da Masaryk nel 1924, con articoli sulla situazione geopolitica che si andava delineando in Europa. E’ una nuova rinascita a cui dedicherà, con un entusiasmo, un impegno ed una passione senza limiti, gli ultimi anni della sua vita. Negli articoli che escono sulla rivista che, dopo l’arresto del direttore, dirigerà da sola, negli anni 1938 e 1939, Milena racconta in presa diretta con uno stile partecipe ma obiettivo, prima l’annessione a fine settembre 1938 da parte di Hitler dei Sudeti, i territori cecoslovacchi abitati da una popolazione in prevalenza tedesca, e la fuga degli ebrei da quelle zone verso Praga e poi, il 15 marzo 1939, l’occupazione di Praga con le truppe naziste che dilagano nella città incredula e stordita. Fatti che Milena aveva già previsto nei suoi articoli analizzando l’evoluzione degli avvenimenti politici dal trattato di Monaco in poi. Negli scritti di quegli anni, raccolti nel libretto “In cerca della terra di nessuno” (4), Milena, improvvisatasi inviata di guerra, descrive lo straniamento della popolazione alle notizie incalzanti sull’ingresso dei soldati tedeschi a Praga, con la gente rassegnata all’invasione perché sa che “non siamo abbastanza per poterci permettere di compiere un gesto eroico per la propria patria”; narra senza infingimenti la realtà che vede: “non è facile vivere in mezzo ad un impero enorme e in continua crescita, in mezzo all’ondata di orgoglio nazionale tedesco, in mezzo al trionfante senso di superiorità di milioni di tedeschi, senza lasciarsi travolgere”. Ma non si stanca di mandare un continuo avvertimento morale al lettore affinché non si rassegni all’orrore del nazismo, ma lo combatta senza mai diventare un servitore passivo di un potere imposto con la forza. Gira zoppicando per Praga parlando con la gente ed anche coi soldati tedeschi; lei, non ebrea, si è appuntata sulla manica una stella di David per mostrare a tutti che siamo tutti ebrei; d’altra parte comprende che adesso, con l’antisemitismo dilagante, il suo impegno deve essere quello di collaborare con la resistenza all’invasore, sia scrivendo sui giornali clandestini, ma soprattutto aiutando in qualunque modo gli ebrei ed i perseguitati a fuggire all’estero perché, dice “finché ci saranno dei più forti, staremo dalla parte dei più deboli”. In questa difficile impresa trova un valido aiuto nel conte di origine tedesca Joachim von Zedtwitz, studente di medicina a Praga, che ha organizzato una via di fuga per i Cechi che vogliono espatriare. Si tratta di passare il confine presso Moravská Ostrava, con l’aiuto delle guide locali, per poi dirigersi verso Katovice, in Polonia e da lì, con opportuni agganci, uscire dal terrore nazista. La casa di Milena diviene il centro di smistamento dei fuggitivi, sempre più numerosi, bisognosi di assistenza e di documenti falsi per il viaggio che, fino al confine, è gestito direttamente dal conte con la sua automobile. Tuttavia, con l’occupazione della Polonia, questa via di fuga diviene impraticabile. L’amico Evžen Klinger, poi condannato per Trozkismo nei processi politici degli anni 50, prima di fuggire da Praga grazie all’aiuto del conte Zedtwitz e di Milena, tenta di convincerla a seguirlo, ma la giornalista non vuole abbandonare la sua terra ed il suo impegno di testimonianza, si sente sicura e quasi invincibile, mentre in realtà, sia l’avvicendamento troppo frequente di persone e di volti nuovi nella sua casa, che la diffusione spesso disattenta della rivista clandestina V boj (Alla lotta) che dirige, insospettiscono la Gestapo che la mette sotto osservazione. La sua casa viene perquisita, vengono trovate tre lettere del conte von Zedwitz destinate a persone che aveva aiutato a fuggire in Inghilterra. Milena, dopo un primo interrogatorio, è arrestata e trasferita a Pankrác, il carcere di Praga dove sia la figlia Jana che il padre possono andare a trovarla. Milena viene poi spostata nel campo di Benešov, destinato a coloro che hanno sposato persone di razza ebraica, e, nel marzo del 1940, nel carcere di Dresda con l’accusa di alto tradimento. Il 17 giugno è rimessa in libertà in quanto le prove a suo carico si sono dimostrate inconsistenti, e consegnata alla polizia di Praga che, sospettandola di antinazismo, la rinchiude di nuovo a Pankrác da dove in seguito viene internata definitivamente, segnata col triangolo rosso simbolo dei prigionieri politici, nell’immenso lager femminile di Ravensbrück a circa 80 km da Berlino. Nel marzo del 1940 anche il conte Zedwitz viene arrestato per i suoi rapporti con Milena, ma riesce, dopo avere simulato problemi di schizofrenia, ad essere ricoverato in una clinica psichiatrica da cui sarà poi rilasciato in libertà. Nel lager Milena, malgrado la salute sempre più malferma, a causa della scarsità di cibo, del freddo senza riparo, delle lunghe ore in piedi durante gli interminabili appelli mattutini, si prodiga con una carica umana e una vitalità straordinaria per aiutare i detenuti più deboli, arrivando anche a falsificare i certificati medici per soccorrere qualche internata, quando è distaccata presso l’infermeria del lager. Le viene tatuato sul braccio il numero 4714, ma le recluse la soprannominano per celia 4711 dal nome della famosa acqua di Colonia. Sappiamo della sua vita in quegli anni grazie alla testimonianza di Margarete Buber-Neumann, sua compagna di prigionia, con la quale stabilisce un rapporto di profonda amicizia. Margarete, entrata a 20 anni nel partito comunista tedesco, sposa in prime nozze il figlio del noto filosofo ebreo Martin Buber, e poi il parlamentare comunista tedesco Heinz Neumann col quale, all’avvento di Hitler, fugge a Mosca. Il marito nel 1937 è arrestato e giustiziato per deviazionismo e lei internata in un gulag come elemento socialmente pericoloso. Nel 1940, a seguito del patto Molotov-Ribbentrop, è consegnata alla Germania e viene internata come prigioniero politico nel lager di Ravensbrück da cui sarà liberata nel 1945. Nella sua autobiografia “Prigioniera di Stalin e di Hitler”, pubblicata nel 1948, racconta del delicato ed intenso rapporto che aveva vissuto con Milena: “ Milena non si adeguò mai alla condizione di “prigioniera”, non si abbruttì, né assimilò atteggiamenti brutali, ai quali indulgevano invece molte altre deportate. Vedeva tutte le atrocità attorno a sé sgomenta ed impotente di fornire un aiuto concreto /…/ Milena era una donna combattiva /…/ era una scrittrice ed i miei resoconti sugli eventi vissuti in Siberia le ispirarono l’idea di trarne un libro scritto a due mani, sempre se fossimo riuscite a sopravvivere” (5). Milena non sopravvive, la sua salute peggiora vistosamente, colpita da nefrite viene ricoverata nell’ospedale del lager per una grave infezione renale. Viene operata da un chirurgo che era stato allievo di suo padre, ma muore pochi giorni dopo l’intervento, a 47 anni, il 17 maggio 1944.
Negli anni del dopoguerra, con l’inclusione della Cecoslovacchia nell’orbita sovietica ratificata dal patto di Varsavia del 1955, Milena viene considerata una anticomunista borghese e deviazionista. La sua riabilitazione postuma inizia soltanto nel 1989 grazie alla cosiddetta Rivoluzione di Velluto, il movimento non violento, guidato da Vaclav Hável, che rovescia il regime comunista. Il 14 dicembre 1994, il museo di storia dell’Olocausto Yad Vashem di Gerusalemme assegna a lei ed a Joachim von Zedtwitz il titolo di “Giusti fra le Nazioni”, riconosciuto ai non ebrei che rischiarono la loro vita per salvare gli ebrei durante la Shoah.
Kafka aveva previsto con la sua fantasia visionaria e vent’anni di anticipo, l’orrore delle condanne inesplicabili e senza appello, tipiche delle tirannie naziste e staliniste ma in genere di ogni dittatura, a seguito di processi formali nei quali il motivo stesso del processo è ignoto, né si conosce il ruolo e la potestà del tribunale che giudica. Basti pensare al celebre e disarmante incipit del suo romanzo “Il Processo”: “Qualcuno doveva aver calunniato Josef K. perché, senza che avesse fatto nulla di male, una bella mattina lo arrestarono”. Kafka non assisterà alla distruzione dei suoi affetti: oltre a Milena, moriranno nei lager nazisti anche le sue tre sorelle, la diletta Otylia ad Auschwitz nel 1943, le altre due nel campo di sterminio di Chelmno nel 1942. Margarethe Bloch, l’amica che si era adoperata per riappacificarlo con la sua fidanzata “ufficiale” Felice Bauer e che diceva di avere avuto da lui un figlio morto nel 1921 a sette anni, cosa mai confermata, fuggita in Italia, verrà deportata nel 1944 ad Auschwitz dove sarà smistata, subito dopo l’arrivo, verso le camere a gas. Felice Bauer emigra in tempo negli USA dove, in ristrettezze finanziarie e con problemi di salute, vende nel 1955 all’editore Salman Schocken le centinaia di lettere che Kafka le aveva scritto dal 1912 al 1917. In Italia saranno pubblicate nel 1972 da Mondadori col titolo “Lettere a Felice”.

Francesco Cappellani

(1) Franz Kafka “Lettere a Milena”. Mondadori, 1954
(2) Bruno Ventavoli “Milena, la pasionaria che sfidò il Terzo Reich”. La Stampa, 21/07/2014
(3) Johannes Urzidil “Trittico di Praga”. Rizzoli, 1967
(4) Milena Jesenská “In cerca della terra di nessuno”. Castelvecchi, 2014
(5) Margarete Buber-Neumann “Prigioniera di Stalin e di Hitler”. Il Mulino, 1994