‘Alice’ e le ‘teste di serie’

Anni or sono, parlando con un ex campione olimpionico di scherma, mi occorse di esprimere la mia incondizionata ammirazione nei confronti di Valentina Vezzali, all’epoca dominante in campo internazionale.
Convenne il mio interlocutore, peraltro con qualche difficoltà.
“Vedi”, mi disse, “è indubbiamente grande ma, come del resto i suoi colleghi schermidori dei nostri giorni, in un confronto con i risultati di atleti ‘datati’, è avvantaggiata dalla introduzione nel nostro sport delle ‘teste di serie’.
Ai miei tempi, quando la composizione dei tabelloni nei tornei era affidata alla sorte senza che i migliori fossero selezionati e così ‘protetti’, poteva occorrere che già al primo turno i due più bravi fossero opposti l’uno all’altro.
Era quindi molto più arduo avanzare e complicato vincere”.
Fu invero verso fine Ottocento, guardando ai tornei di tennis, che l’autore di ‘Alice nel paese delle meraviglie’ Lewis Carrol ebbe ad osservare la distorsione causata nella determinazione dei confronti eliminatori dall’affidarsi solo al caso.
Restando al tennis – le ‘teste di serie’ sono oramai imperanti praticamente in ogni agone – per quanto negli USA già si facesse qualcosa di analogo fin dai primissimi anni Venti, è dal 1927 che i tornei si sono adeguati.
I quattro ‘Slam’ (nell’ordine odierno di denominazione ed effettuazione, Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e Flushing Meadows) hanno funzionato per lunghi decenni indicando le prime sedici ‘teste di serie’ e dal 2001 portandone il numero a trentadue.
Una soluzione davvero felice.
Ove si fosse tornati, difatti e per fare un solo esempio, all’antico, chissà in quante occasioni Roger Federer e Rafael Nadal, invece che in finale, si sarebbero scontrati, uno dei due necessariamente soccombendo, all ‘esordio o molto prima.

Mauro della Porta Raffo