Politica e mercato, la gerarchia delle scelte prioritarie

Quando una relazione non è intelligente e non produce reciproche profittabilità, come affermava Carlo M. Cipolla, inevitabilmente, è destinata ad esaurirsi ed anche se l’economia di mercato ha dei pregi, non debbono essere dimenticati i suoi numerosi difetti; ad iniziare dallo smithiano postulato di partenza: la presunta mano invisibile che lo guida e riequilibra, in caso di crisi.

Questa “mano” è così invisibile da non generare gli effetti benefici che le vengono attribuiti e la sua inesistenza reale si può evidenziare nell’incapacità di raccogliere, selezionare e gestire, intelligentemente ed equamente, la crescente e smisurata mole di dati individuali, collettivi ed asimmetrici che i diversi soggetti economici e di potere acquisiscono nel corso delle transazioni.

E’, quindi, questa una tra le tante ragioni che impone l’obbligo di regole ed istituzioni forti in grado di eliminare i difetti e sottolineare i pregi del mercato, disciplinandolo e tutelando tutti i portatori di interessi e non solo coloro che ne sono soggetti attivi.

Di conseguenza è compito dei governi, delle banche centrali e delle autorità di regolazione intervenire per garantire che tutte le istituzioni pubbliche, a cominciare dai Parlamenti, democraticamente eletti, siano debitamente informati ed in grado di scegliere consapevolmente e nell’interesse dei cittadini.

Ad esempio i mercati finanziari, sui quali ognuno di noi agisce per proteggere e possibilmente valorizzare i suoi risparmi, vengono esaltati quando svolgono compiti di stabilizzazione e regolazione tra domanda ed offerta di attività finanziarie, protezione del risparmio, o di credito allo sviluppo, ma quegli stessi mercati generano continuative e crescenti bolle speculative che bruciano risorse comuni ed accrescono le disuguaglianze di reddito.

E’ il caso di rammentare che oggi nel mondo ci sono circa trentasei milioni di persone che possiedono un patrimonio di liquidità superiore al milione di dollari e trentasei mila che ne possiedono uno di oltre cinquanta milioni di dollari, a fronte di oltre un miliardo di individui che ancora vivono con meno di due dollari al giorno.

Quindi i mercati se non vengono regolamentati nell’interesse del bene comune sono destabilizzanti ed iniqui, puntando a favorire quei pochi privilegiati, più per relazione che per merito, che sanno trarre profitti dalla sua dicotomica ambivalenza.

Non dobbiamo dimenticare il 2008 che ha dato il via alla crisi dei debiti sovrani ed ad anni di turbolenze finanziarie, dal momento che gli Stati si sono dovuti accollare, per far fronte alle perdite generate dai mercati che sotto la spinta dell’ egoismo di pochi avevano prodotto disastri per tutti, il compito di salvare le istituzioni finanziarie globali, accrescendo i debiti pubblici e tagliando lo stato sociale.

Il panico conseguente venne però superato grazie all’intervento di un’istituzione pubblica e non certo della “mano invisibile” del mercato; fu infatti Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea che con il suo discorso del 26 luglio 2012 a Londra, stabilizzo e riequilibrò la situazione, riportando la calma sui mercati finanziari.

Questa è stata una delle tante prove che permette di affermare che non è certo il mercato che può regolare la politica, ma che invece deve essere un compito delle istituzioni pubbliche regolare i mercati, limitandone le bulimie profittevolistiche.

Anche perché questi,oltre ad essere dominati dall’avidità, sono costantemente condizionati dalla presenza di gruppi di dimensione enorme in grado di limitare il potere stesso degli stati, come spesso avviene quando scendono in campo attori del calibro di Black Rock, o Goldman Sachas, o Morgan Stanley.

Tuttavia le responsabilità della politica debbono essere individuate e sottolineate attentamente, dal momento che i suoi possibili errori di valutazione e perfino un’aspettativa di errori futuri, sulle scelte economiche, possono scatenare il panico o l’euforia irrazionale sui mercati stessi, penalizzando i risparmi dei cittadini e minandone il capitale sociale.

Infatti il capitale sociale che si intende come la presenza diffusa di civismo, con un sistema condiviso di norme, la propensione a rispettarle e la continua e diffusa tendenza ad adottare atteggiamenti e comportamenti che tengano conto degli effetti che questi determinano sugli altri, genera fiducia, identità collettiva, cittadinanza attiva, rispetto reciproco e senso di appartenenza che sono il “collante” dello stare insieme civilmente.

Per questa ragione le istituzioni pubbliche e non certo i mercati, debbono agire con cautela e consapevolezza, regolando con continuità “il terreno di gioco”ed evitando annunci euforici e timorose retromarce; dal momento che la gran parte dei cittadini non conosce i rischi e le opportunità che possono offrire i mercati finanziari controllati e pertanto chiedono ai governi punti di riferimento certi e stabilità.

Luigi Pastore