Quando gli Stati Uniti hanno perso la loro naturale purezza?
Abbiamo degli USA originali (e non solo) un particolare concetto.
Prodotto della filosofia e non della storia, furono concepiti e realizzati – fu possibile – apparentemente esenti da colpe.
(Nessuno, o quasi, allora che si soffermasse seriamente a discutere della questione razziale).
James Madison, Thomas Jefferson, John Adams, John Marshall i Padri, attorno ai quali egregi e abilissimi esecutori non mancarono certamente.
Talmente estranei al peccato gli ‘States’ da superare, mantenendo l’integrità morale, prove davvero difficili.
Prima fra tutte, temporalmente parlando, la conquista del Governo da parte della borghesia – per fissare il momento culminante di un non breve processo all’epoca in corso – nel 1829, il 4 di marzo, allorquando l’ultimo esponente della ‘aristocrazia’ fondatrice John Quincy Adams, sconfitto dal voto popolare nel 1828, dovette lasciare al generale Andrew Jackson lo scranno presidenziale.
Capaci gli USA di non lasciarsi travolgere neppure dalla davvero tragica Guerra di Secessione (al termine della quale venne cancellato il peccato mortale nel mentre venuto all’evidenza: la schiavitù).
Aveva in verità preceduto il fratricida conflitto
la proclamazione ad opera di John O’Sullivan della subitaneamente e definitivamente acquisita teoria del ‘Destino manifesto’, dipoi inteso come missione: portare per ogni dove la democrazia.
Così come l’avrebbe seguito l’altrettanto istantaneamente recepito concetto di ‘Frontiera’ – meta ideale ogni volta reinventata e da raggiungere – come esposto da Frederick Jackson Turner.
È Orson Welles a svelare assai acutamente il momento e il motivo della perdita della originale innocenza nazionale.
Il grande regista, sceneggiatore, attore, illusionista – inevitabilmente geniale – in una conversazione con Harry Jaglom, identifica nella adozione nel 1919 del XVIII Emendamento costituzionale appunto quel momento e quella ragione.
Ecco le sue parole:
“Come tutte le culture protestanti o ebraiche, gli Stati Uniti vennero fondati sull’idea che la parola di un uomo ha un valore.
Altrimenti non saremmo potuti andare nel West dato che era senza legge.
La parola di un uomo doveva contare qualcosa.
La mia idea è che tutto andò in malora con il Proibizionismo perché era una normativa che nessuno poteva rispettare.
In quel momento il concetto di sovranità della legge si guastò…
Quando la gente accetta che infrangere la prescrizione legale è normale tutta la società ne risente!”
Una ferita, quella, mai più internamente rimarginata.
Una lesione della innocenza primaria che, trasferita al campo internazionale, ha portato gli Stati Uniti ad adottare sempre più una politica di potenza che ha loro alienato le simpatie di non poche nazioni, a cominciare – in specie a seguito della invasione organizzata nel 1954 del Guatemala e, sul declinare dei Cinquanta e nei Sessanta, della dura e vana contrapposizione a una Cuba oramai castrista – da quelle latino americane.
(Non solo, atteso che, dopo la preliminare Conferenza di Bandung, è a Belgrado, sotto l’ala di Tito, che nel 1961 nasce il teoricamente ‘terzo’ Movimento dei Paesi non allineati, in verità inteso a sottrarre agli USA – percepiti oppressori alla stregua dell’Unione Sovietica – aree di influenza in ogni parte del globo).
Mauro della Porta Raffo