Una città diversa da tutte le altre. Crogiuolo di popoli e culture da tutto il Mediterraneo e non solo. Le forti radici elleniche si sentono fin dal nome Neapolis e con orgoglio te le ricordano continuamente le guide entusiaste dei vari siti culturali che visitiamo. Le origini greche non sono state mai completamente coperte dai latini, arrivati qui quando Roma aveva ormai già sei secoli di storia. A Pompei ed Ercolano le scritte popolari sono in antico Osco che tra le genti modeste probabilmente cederà il passo, molto tempo più avanti, al primo italico (“sao ko kelle terre…”) piuttosto che al latino classico.
Poi dal nord gli svevi con il grande Federico II, la mente più illuminata di tutto il medioevo. I francesi Angioini e quindi gli spagnoli, prima coi vicerè e poi coi Borboni che hanno portato insieme alle collezioni Farnese la grande cultura delle migliori corti rinascimentali italiane.
Tutto questo ha creato una sensibilità diffusa, un gusto, una fantasia per il bello e per la bella vita, a un livello che non ho mai trovato in nessun’altra cultura. In Italia, in Europa o nel mondo intero.
La sorpresa più grande è stata la Reggia di Caserta. Ne sento parlare da sempre e abbiamo avuto la fortuna di vederla in un momento perfetto, appena restaurata e sotto la ferrea direzione di un nuovo responsabile straniero che ha riportato ordine e pulizia.
Giro per le sale a naso in su, affascinato dai soffitti uno più bello dell’altro. Saloni luminosi si susseguono tra decorazioni ricche e mai eccessive. È incredibile l’equilibrio perfetto che c’è in ogni sala tra ricchezza ed eleganza. Forse solo Schonbrunn nel suo puro rococò austriaco raggiunge una leggerezza simile. Ma là è tutto uguale, bianco e oro, qui invece è una sequenza di ambienti uno diverso dall’altro con decori e affreschi di una fantasia libera e reale al tempo stesso. È la celebrazione della vita, della parte bella della vita, fatta da chi sa cosa sia, perché a qualunque livello qui tutti sanno godersi la vita.
Le scolaresche ordinate e rispettose sono un’altra grande sorpresa della Reggia. Centinaia di ragazzi di tutte le età girano condotti dai loro insegnanti. Sono curiosi e non importa quanto capiscano. Dimostrano rispetto per qualcosa che sentono essere importante.
La stessa impressione l’avremo in tutti i luoghi culturali che visiteremo. Tantissimi ragazzi tutti attenti trasmettono la sensazione di essere alla scoperta delle loro radici e del loro territorio. La nostra povera Italia non è sempre solo drammatica e negativa come vogliono trasmetterci i media.
La Reggia è immersa nel suo magnifico parco. Lo percorriamo tutto. Prima il giro dei romantici giardini inglesi, poi la discesa fastosa lungo le fontane barocche in un tripudio di sculture e giochi d’acqua che non fanno rimpiangere Villa d’Este.
Gli ambienti interni e i meravigliosi giardini sono un tutt’uno e si completano a vicenda. Il paragone corre immediato a Versailles, ma il vanto francese non regge il confronto. Là è una ricchezza opulenta e ostentata per far grande il Re agli occhi della corte e del popolo. Qui la raffina eleganza per la sola gioia del Re. Se anche non avessero fatto altro, i Borboni si farebbero perdonale per questo loro lascito che si sono goduti per veramente poco tempo.
A Napoli ci immergiamo nella città più popolare e vivace. Tutti i racconti su Napoli sono veri e mai eccessivi. La capacità di sopravvivenza dell’individuo nella disorganizzazione generale è incredibile e la si coglie ad ogni angolo. Qui ciascuno si ritaglia un suo spazio a prescindere da leggi e regolamenti. Più di una volta cerco di pagare con la carta di credito e con fare sornione mi dicono “se avesse del contante sarebbe meglio…” qualcuno più deciso “Non funziona la linea!”
E il traffico…
L’anarchia più totale porta comunque a un ordinatissimo scorrere del traffico. I trenta chilometri all’ora senza semafori e stop inventati dai tedeschi qualche anno fa, qui esistono da sempre. Tutti sono attenti e rispettosi degli altri e i pedoni si buttano con apparente incoscienza in mezzo a grandi strade trafficate, certi che se fanno capire bene dove vogliono andare le auto li scanseranno. Osserviamo che diversi motorini portano il casco, ma poi un taxista ci spiega: “Mannò, col casco sono quelli senza assicurazione e tentano di ridurre le probabilità di essere fermati”. Una sera facendo una passeggiata a Mergellina vediamo una pattuglia di polizia che sequestra una camionata di motorini. Ma non sembra fare molto effetto…
Sono impressionato dalla quantità di palazzi nobiliari decaduti trasformati in formicai di appartamentini, uno incastrato nell’altro. Salvo qualche albergo e qualche museo recentemente restaurato non c’è una facciata in ordine. Portali enormi con ricche sculture annerite dal tempo immettono in grandi corti polverose invase di motorini e auto scalcinate, e in fondo scenografici scaloni che accompagnano al piano nobile con meravigliose balaustre barocche cui è meglio non appoggiarsi. Ovunque intonaci cadenti, canne fumarie e tubi di ogni genere che corrono sui muri con perdite che nelle crepe creano microambienti dove crescono rigogliose foreste di capelvenere come nel fitto di una foresta umida.
I palazzi fatiscenti cadono veramente a pezzi. I balconi sono tutti avvolti da reti verdi di plastica per evitare calcinacci in testa ai passanti, ma hanno i ferri a nudo e sembrano poter cedere da un momento all’altro. Lo stesso sono abitati coi panni stesi e i tavolini per fumare e bere qualcosa guardando il via vai in strada. Un palazzo ha il tetto sfondato con cespugli che fioriscono all’ultimo piano uscendo dalle finestre. Ma sotto è regolarmente abitato con le tendine alle finestre e gli immancabili panni stesi.
Chissà se c’è qualche ordinanza di inagibilità o sgombero. Se anche c’è non ha certamente effetto. E tutto sembra funzionare con grande normalità.
Napoli mi dà l’impressione di essere l’ultima metropoli mediterranea che ancora sopravvive con gli immutabili stili di vita di un antico passato. Dall’altra parte del Mediterraneo le città arabe sono state sconvolte dalle guerre e sono l’ombra di ciò che erano. Genova, Marsiglia, la stessa Venezia non hanno più nulla del coacervo di umanità varia che si arrabatta e sopravvive a dispetto di tutto e di tutti che caratterizzava i grandi porti del passato.
Qui l’ingegno individuale trova ancora il modo di sbarcare il lunario in totale assenza, disprezzo o forse anche inutilità di ogni regolamentazione. Piazza Garibaldi dove si trova il nostro albergo ne è l’esempio più appariscente. Orde di immigrati neri organizzano ogni mattino i loro banchetti con la mercanzia più varia, tutta falsa ovviamente. Svelti scugnizzi neri si aggirano fra gli sprovveduti turisti che escono dalla stazione per sottrarre ogni cosa possibile.
Ma anche allontanandosi da piazza Garibaldi, che con la sua popolazione nera sembra la casbah di Algeri o il souk di Tripoli, lo spirito non cambia molto. Cambia solo il colore della pelle.
Le auto che si infilano nei vicoli tra i pedoni e le merci dei negozi esposte in strada hanno dell’incredibile. Incredibile per il fatto che riescano a passare e incredibile per il fatto che abbiano scelto di passare. Procedono a passo d’uomo, e non potrebbe essere diversamente.
La visita dei “bassi” incuneati tra i resti del teatro -greco ovviamente, solo trasformato dai romani- è stupefacente. Botteghe e abitazioni in angusti ambienti che attraverso botole nel pavimento immettono in vasti spazi a volta, un tempo corridoi del teatro. Il contrasto sorprende e continua a stupire. E tutto tra motorini saettanti, mobili, vasi di fiori, mercanzie, lapidi in tutte le lingue, altaroli coperti di ex-voto, annunci funebri ad ogni angolo, passanti affrettati (qui camminano in fretta non come a Roma) e gli immancabili panni stesi a gocciolare su cortili con lo strato di sporco che risale almeno ai Borboni.
La gente vive immersa nella storia senza neanche rendersene conto. Entro in un cortile e resto affascinato dalla monumentalità degli archi e dei contrafforti. Sono abitazioni costruite sicuramente su strutture antichissime che potrebbero essere medioevali o anche greche o romane. Due giovani ragazze si affacciano da una terrazza e con la coinvolgente simpatia napoletana mi salutano lasciando trapelare un certo orgoglio per la loro casa che capiscono desta il mio interesse. Azzardo un complimento e loro sorridono. Chiedo a che epoca risalgano le costruzioni. Sguardo tra le due, breve consultazione e poi all’unisono: “Sono vecchissime! Saranno di prima della prima guerra mondiale!”
E i cartelli! I cartelli di Napoli trasmettono la fantasia e l’immediatezza della verve partenopea.
“premute d’arancia” scritto proprio così senza la S iniziale
“acquafrescaio”
“per pagare ed entrare chiama Luciano. +FORTE!!”
“si riparano ricordi”
“per di qua” “sali le scale” (cartelli nel nostro albergo)
“agenzia viaggi e turismo FURORE TRAVEL”
“buttare farmaci scaduti senza scatolo” (sic)
“panchina sosta mariti – che pazienza ca ce vò” davanti a una piccola gioielleria
“NON SOSTARE Rimozione artigianale manualmente – DOBBIAMO LAVORARE!!!!” e chissà cosa fanno a uno che si ferma lì…
“non depositare spazzatura – À MUNNEZZA” per esser certi che capiscano i locali
“per non dare fastidio a chi non fuma si prega di non fumare” in un ristorante. Non per rispettare la legge, ma per rispettare il vicino.
Proprio quest’ultimo cartello trovato nella pizzeria da Ciro al Trianon mi convince che qui ancora vige l’efficiente anarchia delle antiche metropoli. Roma antica, Tiro, Alessandria, e anche le più antiche Ninive e Babilonia dovevano assomigliare molto alla Napoli odierna. Non servono regolamenti. Occorre trovare da soli una buona convivenza, a volte anche difendendosi energicamente da qualche vicino invadente.
In queste situazioni un governo serve poco. Pensa a raccogliere quel tanto di tasse che basta per le emergenze (qui non c’è neppur più una corte reale da mantenere) e tutto il resto è affidato all’ingegno individuale e alla capacità del singolo di difendersi.
Oggi le grandi metropoli sono diventate strutture così complesse che l’ingegno del singolo non basta più. Occorre una organizzazione altamente tecnica e standardizzata che si occupi di trasporti, sanità, ordine, pulizia. Qui tutto ciò non è ancora arrivato, ma la città sembra andare avanti lo stesso. Roma ha fatto un passo avanti e ha cercato di diventare una città “moderna” senza riuscirci. L’individuo è stato incasellato nelle sue competenze e nei suoi diritti, togliendogli l’inventiva personale per la sopravvivenza. Ma la macchina comunale non è riuscita a gestire il salto di qualità con le conseguenze che sono alla cronaca degli ultimi mesi. Qui a Napoli sembra di essere in un passato che continua a vivere e sopravvivere anche in assenza di qualunque organizzazione.
Ma fino a quando?
La metropolitana è un esempio perfetto dell’efficiente non organizzazione napoletana. È meravigliosa. Ogni fermata una archistar diversa, sculture affreschi decorazioni rendono ogni stazione un museo vivente e vissuto. Peccato che ci abbiano messo quarant’anni a completarla, abbiano perso negli archivi comunali non ancora informatizzati i progetti iniziali col cronoprogramma per cui non sono stati in grado di chiedere il rispetto dei termini di consegna dei lavori e le penali per i ritardi. Pare anche che abbiano perso i preventivi originali quindi non sono stati in grado di controllare i consuntivi. Però almeno un’opera bella e funzionale l’hanno fatta.
E non poteva mancare anche un assaggio del tifo napoletano per il calcio.
Nella nostra ultima serata si gioca una partita che potrebbe portare il Napoli in testa alla classifica provvisoria davanti alla Juventus. La città è in fibrillazione. Televisori accesi ovunque. Nei bar e nei ristoranti, ma anche nelle case, e quelle a pianoterra tengono la porta aperta per i passanti. È divertente vedere capannelli di persone che guardano tutte nella stessa direzione. Perfino affacciati ai balconi seguendo sul maxi schermo del bar dirimpetto. C’è un senso di partecipazione corale che spinge a guardare da lontano piuttosto che nel chiuso del proprio salotto per condivider tra tutti gioie e delusioni di un gol o di un rigore.
Per la cronaca la Juve ha vinto sul Milan, il Napoli non l’ha raggiunta in testa alla classifica e per di più ha perso il giorno dopo contro la Roma scivolando lontano dallo scudetto. Il silenzio è caduto sulla città. I commenti bisbigliati da tutti erano sui dettagli della partita, per me incomprensibili. Ma più tardi dalla terrazza sul tetto dell’albergo si son visti qua e là dei fuochi d’artificio. Li avevano preparati in caso di vittoria, e non hanno voluto sprecarli.
La vita continua comunque malgrado le sconfitte.
A Napoli più che altrove.
Carlo Severgnini