Il futuro di Donald Trump.
(dal settembre del 1996 all’agosto del 2009, sulle pagine de ‘Il Foglio’, ho pubblicato ogni settimana, usualmente di giovedì, la rubrica ‘Pignolerie’.
Voluta da Giuliano Ferrara – fondatore e ai tempi, quasi costantemente, direttore del quotidiano – la rubrica fustigava i giornalisti, e non solo, italiani, sottolineandone gli errori, le castronerie come le definiva Indro Montanelli, nei campi più vari.
Riguardo, per dire, a storia, letteratura, cinema, società…
Indicata da Giampaolo Pansa come “l’unica vera novità della stampa italiana degli ultimi quarant’anni”.
Considerata da Antonio Di Bella un punto di non ritorno – scrisse “Il giornalismo si divide in due periodi: prima e dopo l’avvento di Mauro della Porta Raffo” – ‘Pignolerie’ ebbe grande successo e vastissima eco.
Di seguito, al fine di mostrare in quest’ambito di cosa in effetti si trattasse, una ‘Pignoleria’ per così dire ‘postuma’, vergata il 9 giugno 2017 dopo avere – per caso, avendo io deciso, per evitare di soffrire ancora, di non scorrere neppure più quotidiani e settimanali – preso contezza di un intervento sul Corriere della Sera, opera di una delle cosiddette e considerate ‘grandi firme’.
Come si vedrà, a distanza di anni ed anni dal 2009, le cose non sono affatto cambiate.
Anche gli intellettuali più celebrati – e figuratevi gli altri scribacchini – pestano sui tasti del computer a man salva senza conoscere se non superficialmente – più spesso, affatto – i temi che affrontano.
Come ebbi a vergare anni fa, ricordando James Hillman e il suo “cent’anni di psicanalisi e il mondo va peggio di prima”, “dodici anni di ‘Pignolerie’ e nulla è cambiato se non in peggio”).
Corriere della Sera, venerdì 9 giugno 2017.
Un articolato intervento a firma Bernard Henry-Levy.
Il tema?
L’intellettuale francese si interroga sul futuro di Donald Trump.
Parlando di una del tutto ipotetica successione in carica del vice presidente Mike Pence a seguito di un improbabilissimo impeachment (che può essere certamente proposto ma assai difficilmente portato a compimento) Henry-Levy scrive che i democratici non vedrebbero di buon occhio l’accadimento perché correrebbero il rischio di “vederlo (Pence) installarsi al vertice del Paese non solo per il resto del mandato in corso, ma possibilmente per ben due nuovi mandati”.
Di tutta evidenza, l’estensore del pezzo non conosce – ed è gravissimo – il testo del Ventiduesimo Emendamento datato 1951 che in merito dispone sostanzialmente come segue.
Se la successione ha luogo nel primo biennio del mandato (ed è il caso) del presidente il vice subentrato potrà, al termine del quadriennio del predecessore, candidarsi ed essere eletto una sola volta.
Solo nel caso di una successione verificatasi nel corso del secondo biennio, sempre del quadriennio del predecessore, potrà candidarsi ed essere eletto due volte.
Sottolineo “ed essere eletto” perché, ovviamente, non risultando vincente sarebbe libero di riproporsi anche all’infinito (‘il candidato perenne’, alla Eugene McCarthy, per fare un esempio).
Sarebbe opportuno – necessario – che Bernard Henry-Levy si documentasse prima di scrivere.
Meglio ancora, se si esprimesse su temi e argomenti a lui noti.
Così facendo, però, scriverebbe molto meno!
Mauro della Porta Raffo