La più grande catastrofe navale della storia: l’affondamento della Wilhelm Gustloff nel 1945

Il 4 febbraio del 1936, un venticinquenne studente di medicina, ebreo tedesco di origine croata, David Frankfurter, si recò a Davos nell’abitazione di Wilhelm Gustloff, il fondatore e leader del partito nazista in Svizzera, e lo uccise con quattro colpi di pistola. Gustloff, nato nel 1895 in Germania ma trasferitosi per problemi di tisi a Davos, dove lavorava per il governo elvetico come meteorologo, si era iscritto al NSDAP (Nationalsozialistiche Deutsche Arbeiterpartei) nel 1929 e godeva di un buon rapporto con Hitler grazie a sua moglie Hedwig che era stata segretaria del futuro Führer nel 1923 al tempo del fallito Putsch di Monaco. In Svizzera Gustloff si era prodigato per diffondere i “Protocolli dei Savi di Sion”, un testo apparso nel 1905 e già all’epoca considerato un falso documentale, che mirava a screditare gli ebrei attribuendo loro un fantomatico piano per arrivare al dominio e controllo del mondo. Questo strumento di propaganda antisemita, pubblicato come presunto resoconto di sedute segrete svoltesi a Basilea in occasione del congresso sionista del 1897, mentre si trattava in realtà di un riadattamento in chiave antiebraica di un libello di Maurice Joly del 1864 contro Napoleone III, fu usato a lungo dal nazismo per alimentare l’odio ed il disprezzo verso gli ebrei anche dopo il 1921, quando sul Times era apparso un esauriente articolo che ne dimostrava la totale falsità ed il plagio dal testo francese. I Protocolli furono editi in Germania dall’ideologo del nazismo Alfred Rosenberg nel 1923 col titolo “Die Protokolle der Weisen von Zion und die Judische Weltpolitik” (I protocolli dei Savi di Sion e la politica mondiale giudaica) e menzionati da Adolf Hitler nel suo “Mein Kampf”.

Frankfurter aveva iniziato l’Università a Francoforte ma dovette spostarsi a Berna nel 1934 a causa del divieto per gli ebrei di frequentare università tedesche. Esasperato per le crescenti persecuzioni degli ebrei da parte dei nazisti e la minaccia che l’ondata di antisemitismo potesse propagarsi anche in altri paesi, aveva deciso di compiere un gesto clamoroso ben sapendo a cosa andava incontro consegnandosi, come fece dopo l’assassinio di Gustloff, alla polizia elvetica. Fu condannato dal tribunale federale a 18 anni di prigione nel penitenziario di Sennhof a Coira. Nel 1945, verso la fine della seconda guerra mondiale, Frankfurter fu graziato ma espulso dalla Svizzera; si rifugiò nel mandato britannico della Palestina ed in seguito, con la nascita dello stato di Israele, si impiegò al Ministero per la Difesa israeliano. Morì nel 1982; in Israele è considerato un eroe e molte strade sono state intitolate al suo nome.

Il ministro per la propaganda Joseph Goebbels cavalcò la notizia dell’assassinio per attaccare la comunità ebraica e fare di Gustloff un martire, ma Hitler lo convinse a non esagerare in quanto occorreva, in occasione delle prossime olimpiadi che si sarebbero svolte a Berlino nell’estate del 1936, mostrare il volto pacifico e positivo della Germania nazista. Vi fu comunque un funerale di Stato a Schwerin, città natale di Gustloff, a cui parteciparono molti alti gerarchi del partito e lo stesso Hitler. Durante la cerimonia Hitler, che era seduto accanto alla vedova, sua ex-segretaria, dichiarò che una grande nave da crociera, già in costruzione nel cantiere navale Blohm & Voss di Amburgo, intitolata al suo nome, doveva invece essere rinominata “Wilhelm Gustloff”. La nave, commissionata dal gerarca Robert Ley, capo del Fronte dei Lavoratori tedeschi (DAF: Deutschen Arbeitfront) era destinata alla correlata organizzazione ricreativa nazista del tempo libero “Kraft durch Freude” (KdF: Forza attraverso la Gioia) e doveva costituire, insieme ad altre unità, una flotta da crociera per offrire vacanze turistiche ai lavoratori tedeschi ed alle loro famiglie senza alcuna differenza di classe sociale. Le 489 cabine passeggeri a due o quattro letti erano tutte sopra coperta per godere di un’ottima visuale ed erano identiche per dimensioni ed arredamento, la nave era dotata di 22 scialuppe di salvataggio, una piscina coperta di 10 m. x 5 m. , solario, palestra, sette bar, sala da ballo, sala per fumatori, sala di musica, sala cinematografica, un ampio salone pranzo destinato esclusivamente a ristorante, otto spaziosi ponti aperti salvo quello inferiore che era protetto da una vetrata infrangibile di 160 metri per ripararsi nel caso di viaggi in condizioni metereologiche impervie. Il transatlantico da 25.000 tonnellate era lungo 208,5 metri, largo 23,5 metri ed alto 56 metri; il propulsore sviluppava una potenza di 9500 HP che consentiva una velocità di crociera di 15,5 nodi (circa 29 km/h). Poteva alloggiare 1463 viaggiatori oltre il personale di bordo costituito da 417 persone che disponevano di cabine identiche a quelle dei passeggeri.

Il varo della nave avvenne il 5 maggio del 1937 alla presenza di Hitler e del comandante della marina da guerra (Kriegsmarine) ammiraglio Erich Raeder oltre a tutte le autorità locali e parecchie decine di migliaia di persone entusiaste. Madrina della cerimonia fu la vedova Gustloff che, dopo i vari discorsi ufficiali, lasciò andare la bottiglia di spumante contro la prua per il battesimo della nave; la gigantesca imbarcazione, la quinta come dimensioni della marina mercantile tedesca dell’epoca, scese dolcemente nel bacino mentre echeggiavano le note dell’inno nazionale “Deutschland über Alles”.

Per la propaganda nazista la visibilità del varo della Gustloff, delle sue caratteristiche e dei suoi scopi, fu di grande importanza non solo all’interno della Germania ma anche agli occhi del mondo in quanto veniva messa in risalto sia l’attenzione del partito per la classe dei lavoratori, che l’idea della convivenza sociale senza distinzioni di classe (Volksgemeinschaft), dando a tutti la speranza di un futuro sempre migliore. Inoltre il nome dato alla nave ricordava il comportamento irresponsabile e criminale giudaico nei confronti del partito nazista. E’ interessante infatti riportare alcuni stralci dell’articolo pubblicato sul giornale “Arbeit und Staat” del 9 giugno 1937 intitolato “Wilhelm Gustloff, nave di pace e gioia” dove vengono riportate anche alcune frasi pronunziate da Robert Ley, a cui sarà intitolata in seguito una nave gemella, in occasione del varo: ”Oggi è un giorno di grande importanza. Ciò che ieri sembrava fantasia e romanticismo, ora è diventato realtà. E’ un fatto unico al mondo che uno stato, una comunità costruisca navi per i suoi lavoratori. Non abbiamo recuperato vecchi relitti o ciarpame. Noi abbiamo creato “Kraft durch Freude” sapendo che soltanto il meglio è sufficientemente buono per il lavoratore. Quest’oggi c’è la prova della sincerità della nostra volontà. Noi non perdiamo il nostro tempo in lotte economiche, abbiamo cominciato a costruire una nuova Germania socialista, iniziando a costruire una comunità che abbraccia ciascuno di noi. Ma noi non soltanto cominciamo, ma finiamo ciò che abbiamo iniziato /……./ Quando abbiamo cominciato a costruire “Kraft durch Freude”, il Führer mi raccomandò di assicurarmi che il lavoratore potesse godere le sue vacanze in modo da mantenere i nervi saldi per essere in grado di dare seguito alle grandi idee del Führer./……../ Il valore più alto che vogliamo assegnare alla Germania è l’eternità. Quindi battezziamo la nave col nome di un eroe di questo popolo, col nome di Wilhelm Gustloff che per noi è immortale”.

 

Il 15 marzo 1938 la Wilhelm Gustloff fece il primo viaggio di collaudo a pieno carico ed il 24 marzo iniziò la sua attività ufficiale con una gita di tre giorni nel Mare del Nord. Il 10 aprile 1938 la nave fu ancorata ai Tilbury docks alla foce del Tamigi a Londra come seggio elettorale per permettere ai cittadini austriaci e tedeschi residenti in Gran Bretagna di votare per l’annessione dell’Austria alla Germania (Anschluss).

In seguito iniziò la sua normale attività crocieristica di svago avendo come mete soprattutto la Norvegia e l’Italia dove, dal porto di Genova, partivano le crociere invernali nel Mediterraneo. Tra i passeggeri illustri ci fu l’ingegnere Ferdinand Porsche che per la KdF aveva progettato la KdF-wagen diventata in seguito la celebre Volkswagen, l’auto del popolo. Mentre la Gustloff si preparava per una crociera a Madeira il 20 marzo 1939, il capitano Heinrich Bertram ricevette l’ordine di ancorare la nave alla foce dell’Elba e di prepararsi, insieme alle altre navi della KdF che comprendevano la Stuttgart, Der Deutsche, Sierra Cordoba, Oceana e l’appena varata Robert Ley, per raggiungere il porto di Vigo, in Spagna. Lo scopo della missione  era raccogliere i volontari tedeschi che avevano combattuto in Spagna nella guerra civile appena terminata con la vittoria dei Falangisti del generale Franco. Si trattava della legione Condor attiva fin dal 1936 in terra iberica. Fu l’unica volta che la nave fu utilizzata esclusivamente per trasporto di truppe. Il ritorno ad Amburgo delle navi della KdF con i soldati fu accolto in modo trionfale dal feldmaresciallo della Luftwaffe Hermann Goering, da Robert Ley e da altri alti ufficiali della gerarchia nazista.

Il 17 luglio 1939 la Gustloff partì per Stoccolma per portare 1000 tra i migliori atleti tedeschi alle Lingiadi, un evento sportivo cui partecipavano oltre 7000 atleti di 12 nazioni nell’ambito del Festival Internazionale di Ginnastica, organizzato per commemorare il centenario della morte del padre della “Ginnastica Svedese” Pehr-Henrik Ling. Sarà uno degli ultimi dei 60 viaggi del transatlantico che dal marzo del 1938 al 26 agosto del 1939 aveva imbarcato circa 80.000 passeggeri nelle sue crociere intorno all’Europa.

Nel viaggio di ritorno da una crociera, nella notte del 24 agosto 1939, il capitano Bertram ricevette un messaggio in codice che intimava il ritorno immediato al porto di Amburgo. Il primo settembre del 1939 Hitler aveva scatenato il secondo conflitto mondiale; il 9 settembre la Gustloff, come le altre navi della KdF , passò sotto il controllo della Marina Militare per essere adibita a nave ospedale col nome di Lazarettschiff D. Gli arredi interni vennero parzialmente eliminati e trasformati in modo da accogliere 500 letti per i malati, una sala operatoria bene attrezzata, la strumentazione per raggi X,  e tutto il personale infermieristico e medico necessario. Due grandi croci rosse su fondo bianco furono dipinte sui due lati del fumaiolo principale e dal 22 settembre la nave divenne un efficiente ospedale viaggiante. Ancorata a Danzica  iniziò a prestare soccorso ai soldati ed i civili feriti nella campagna polacca e poi fu spostata vicino ad Oslo, durante l’invasione della Norvegia, per curare e riportare in patria le molte centinaia di militari feriti nelle operazioni di guerra. Dopo pochi mesi, il 20 novembre 1940, la Gustloff si spostò nel porto polacco di Gotenhafen (oggi Gdynia) per essere destinata a nave alloggio per oltre mille marinai allievi sommergibilisti, che dovevano essere addestrati per operare con gli U-Boot (Unterseeboot), i sottomarini tedeschi, nell’ambito della campagna “Die Glückliche Zeit” (tempo felice) che aveva permesso di affondare nei primi cinque mesi di guerra 275 navi alleate. Tutta la struttura sanitaria venne rimossa, le croci rosse cancellate, e la Gustloff , ridipinta in grigio come le navi da guerra, tornò ad essere una nave passeggeri e tale rimase per oltre quattro anni alla fonda nel porto polacco. Altre navi della Kdf venivano intanto ancorate nel porto di Grotenhafen. Il 9 ottobre 1943 uno stormo di bombardieri americani dell’ottavo gruppo della Air Force, in volo dall’Inghilterra, raggiunse la baia lanciando parecchie bombe, colpendo la Stuttgart, e mancando di poco la Gustloff.

 

Nell’ottobre del 1944 l’Armata Rossa nel corso della sua inarrestabile avanzata verso Berlino, conquistò la cittadina di Nemmersdorf nella Prussia dell’Est superando il confine tedesco. Nel gennaio del 1945 le truppe sovietiche iniziarono a dilagare spargendo il panico nella popolazione terrorizzata dalle violenze e dalla crudeltà dei soldati di Stalin. Migliaia di rifugiati tedeschi si ammassarono a Danzica nella speranza di scappare dai massacri, in particolare di donne e bambini, documentati con immagini terrificanti nei cinegiornali nella speranza di mostrare al mondo la brutalità dei bolscevichi. Il Reich stava collassando, nella Germania dell’Est l’unica speranza di salvezza restava la fuga dal porto di Danzica e da quelli vicini, verso occidente. Grazie all’intervento dell’ammiraglio Karl Dönitz che, contrariamente a Hitler, si era reso conto della situazione disperata del Reich, scattò dal 21 gennaio 1945  l’operazione “Hannibal”, probabilmente tra i maggiori successi di evacuazione di massa in tempo di guerra della storia, in quanto riuscì a trasportare ad ovest, mettendole in salvo, circa due milioni di persone. La Gustloff fu una delle centinaia fra navi da crociera ed imbarcazioni di ogni genere fino ai barconi da pesca, destinate a questa impresa.

 

Il 22 gennaio la Gustloff iniziò i preparativi per accogliere le migliaia di profughi che si pigiavano sulla banchina ed in tutta la zona del porto, ed analogamente si preparavano la nave gemella Robert Ley, la Hansa e tante altre, mentre il rombo incessante dell’artiglieria sovietica diveniva sempre più forte e lacerante. La Gustloff imbarcò, in una confusione indescrivibile che non permise un conteggio esatto, circa 10.000 persone, che si assieparono sui ponti, nei saloni e in ogni dove,  ben oltre la massima capienza di 1880 passeggeri compreso il personale di bordo fissata per la nave. Verso le 13 del 30 gennaio l’imbarcazione col suo immane carico di disperati, salpò alla volta di Kiel, dopo essere riuscita fortunosamente a riavviare i motori fermi da quattro anni; la temperatura era di 18 gradi sottozero ed una tempesta di nevischio flagellava la zona. Subito dopo la partenza dovette caricare ancora circa 600 fuggitivi semiassiderati che avevano raggiunto la nave con un battello prima che i rimorchiatori la trascinassero fuori dal porto. La situazione all’interno della nave era spaventosa, mancavano 10 delle 22 scialuppe di salvataggio, i due cannoni antiaerei che erano stati fissati sul ponte esterno erano bloccati dal gelo, le cabine erano strapiene di gente ed inoltre migliaia di persone si erano ammassate nell’unico ponte protetto dalla vetrata in quanto i ponti esterni erano impraticabili a causa del gelo. Sottocoperta, negli spazi stipati all’inverosimile, si era formato un caldo umido che spinse molti passeggeri a togliersi i giubbotti di salvataggio per poter dormire, nonostante le raccomandazioni dell’equipaggio.  

Finalmente la Gustloff entrò in mare aperto scortata solo dalla torpediniera Löwe poiché la Hansa ed un’altra torpediniera che dovevano navigarle a fianco, erano dovute  rientrare a Grotenhafen per noie ai motori. Una volta decisa la rotta, dopo una concitata discussione fra il comandante Friedrich Petersen e gli ufficiali in seconda, la nave, superato il promontorio di Hala, a causa di un radiomessaggio che parlava di un convoglio di dragamine che navigava in quella zona in senso contrario, si trovò costretta verso le 18, data la visibilità precaria, ad accendere le luci di posizione per scongiurare il rischio di una collisione. Questa decisione, presa dal capitano di corvetta Zahn ed accettata a malincuore dal comandante Petersen che era molto riluttante per il timore di essere individuato dai russi, segnò la condanna a morte del transatlantico della KdF.

 

Il 2 gennaio 1945 il capitano Alexander Marinesko doveva partire al comando del suo sottomarino S-13 dal porto di Turku in Finlandia per pattugliare il mar Baltico insieme ad altre due unità. Ma il capitano il 31 dicembre del 1944 si era dileguato per passare tre giorni di baldoria fra donne e vodka. Fu ritrovato il 3 gennaio dal suo fedelissimo equipaggio che ne aveva grande stima per le sue provate capacità di comando in mare, ma intanto la NKVD, la polizia segreta sovietica nota in seguito col nome KGB, era sulle sue tracce per denunciarlo alla corte marziale per diserzione e tradimento. Dopo numerosi interrogatori Marinesko, grazie all’interessamento del comandante della flotta del Baltico, ebbe finalmente l’undici gennaio l’autorizzazione per iniziare le operazioni di pattugliamento col suo S-13. Verso le 20 del 30 gennaio intravvide nella foschia delle luci a notevole distanza che all’inizio pensò fossero luci costiere ma avvicinandosi ed osservando col periscopio riconobbe la sagoma di un transatlantico di almeno 20.000 tonnellate che pensò destinato a trasporto truppe. Comprese subito che l’affondamento di questa  nave avrebbe riscattato il suo passato turbolento di ubriacone e donnaiolo. La strumentazione antisommergibile della torpediniera Löwe che scortava la Gustloff era inservibile per cui l’S-13 si potè avvicinare tranquillamente alla grande nave dove intanto gli altoparlanti trasmettevano il discorso alla radio di Hitler che commemorava enfaticamente il dodicesimo anniversario della presa del potere del partito nazista e concludeva la rievocazione affermando la sua certezza nella vittoria finale malgrado la presente difficile situazione. Marinesko aveva seguito per quasi due ore la nave a circa un miglio di distanza poi, pochi minuti dopo le 21, puntò direttamente verso la Gustloff avvicinandosi a circa 700 metri ed alle 21,15 lanciò il primo siluro, battezzato col nome “Alla mia patria”, verso la prua della nave, sotto la linea di galleggiamento, dove era alloggiato parte  dell’equipaggio che non ebbe scampo a causa dell’esplosione e del blocco delle paratie stagne ordinato dal comandante per evitare allagamenti, che ne impedì ogni possibilità di fuga. Il secondo siluro, chiamato “Per il popolo sovietico”, scoppiò sotto la piscina, vuota da anni, dove alloggiavano le 373 ausiliarie della marina che furono massacrate dal crollo del soffitto della piscina e dai frammenti delle piastrelle che la ricoprivano che si trasformarono in schegge mortali per la violenza dell’esplosione; solo due si salvarono. La Gustloff, sebbene lievemente inclinata, riusciva ancora a mantenere la rotta, ma un terzo siluro dal nome “Leningrado” colpì lo scafo all’altezza della sala macchine mettendo i motori ed anche i sistemi elettrici e di comunicazione fuori uso, creando uno squarcio enorme nella murata che iniziò ad imbarcare acqua allagando ponti e cabine superiori. La Gustloff iniziò rapidamente ad affondare, in pochi minuti la prua cominciò ad inabissarsi. Il caos a bordo era indescrivibile, si stima che da mille a duemila persone morirono immediatamente senza rendersi neanche conto di cosa stesse accadendo; la gente si accalcava sulle scale per scappare verso i ponti superiori, i più deboli morivano calpestati e travolti dalla massa di migliaia di persone terrorizzate. Le urla delle donne ed i pianti dei bambini, come racconteranno i superstiti, erano strazianti. Il ponte inferiore, quello protetto dalla grande vetrata, si trasformò in una gigantesca trappola in quanto le uscite erano bloccate e solo quando la pressione dell’acqua infranse la vetrata alcuni riuscirono a salvarsi. Dopo circa 50 minuti la Gustloff si inabissava definitivamente di prua nella acque gelide del mar Baltico appoggiandosi sul fondale a circa 50 metri di profondità. Finiva così tragicamente la nave che era stata l’ammiraglia e l’orgoglio della KdF. Le scialuppe di salvataggio, già in numero insufficiente, erano in buona parte bloccate in quanto i loro ormeggi erano ricoperti da uno spesso strato di ghiaccio ed inoltre parte del personale che era in grado di metterle in mare giaceva senza vita. C’erano delle grandi zattere di sughero che, insieme alla poche scialuppe disponibili, permisero a parecchie persone di salvarsi dall’annegamento o dalla morte per assideramento, mentre la torpediniera Löwe, dopo avere lanciato l’SOS, si prodigava a soccorrere i naufraghi. Ne salverà 472. Sul posto giunsero rapidamente un’altra torpediniera, la T-36, che salverà 564 passeggeri, tra i quali il comandante Petersen ed il capitano Zahn e, dopo circa un’ora, altre quattro motonavi, già cariche di migliaia di profughi provenienti dai porti polacchi, che riuscirono a raccogliere in totale 1252 persone.  Avvenne anche un salvataggio miracoloso: dopo sette ore dall’affondamento, una piccola nave guardiacoste tedesca arrivò sul luogo del disastro dove galleggiavano parecchie centinaia di cadaveri ed individuò un canotto di salvataggio. Un ufficiale saltò dentro l’imbarcazione e trovò, in mezzo ai corpi congelati e senza vita di tutti gli occupanti, un bambino di un anno ancora vivo avvolto strettamente in una coperta di lana. Il bimbo fu poi adottato dal suo salvatore.

I morti ripescati in mare furono circa 2000, tutte le altre vittime, circa 7000, rimasero intrappolate ed affondarono con la nave. Una stima più accurata parla di 9343 morti, soprattutto donne e bambini, il più grave disastro come numero di vittime della storia navale, contro i circa 1500 morti del Titanic ed i 1200 del Lusitania. Circa 15 giorni dopo, i bombardamenti a tappeto su Dresda effettuati dal 13 al 15 febbraio 1945  da  722 bombardieri della RAF e 527 dell’aviazione americana col lancio di oltre 3900 tonnellate di esplosivo causarono, secondo le valutazioni più affidabili, da 22.700 a 25.000 vittime, poco più del doppio di quelle provocate da pochi siluri lanciati da un solo sommergibile.

 

Il capitano Marinesko, dopo essere sfuggito col suo S-13 ad una blanda caccia con bombe di profondità da parte del Löwe e della T-36, era riemerso per constatare l’effetto dei suoi siluri e si era riportato al largo. Tre giorni dopo incrocerà la “General von Steuben” carica di 4000 rifugiati e la affonderà. Tornato in patria fu accolto freddamente dalla gerarchia per la sua fama di bevitore, per immoralità domestica, per non essere stato ligio agli ordini. Ebbe una modesta onorificenza, continuò a bere, e fu forzato a rassegnare le dimissioni  dalla marina nell’ottobre del 1945 dopo essere stato degradato. Si impiegò in una fabbrica statale, ma nel 1949 fu arrestato per furto allo stato, e condannato a tre anni di prigione. Nel 1960, già ammalato, fu riabilitato al grado di capitano. Si spense a Leningrado nel 1963, a 50 anni, per un tumore alla gola. Solo nel 1990 fu premiato, a titolo postumo, con la medaglia di Eroe dell’Unione Sovietica  dal Presidente dell’URSS Mikhail Gorbachev ed a suo nome vennero intitolati il Museo delle Forze Sottomarine Russe ed una via a Leningrado ridiventata nel frattempo San Pietroburgo.

 

Nel dopoguerra i palombari russi hanno lavorato parecchi anni per ispezionare il relitto della Gustloff ipotizzando che potesse contenere anche oro ed oggetti di valore e addirittura la famosa camera d’ambra del palazzo d’estate di Caterina di Russia a Tsarskoe Zelo trafugata dalle truppe tedesche durante l’assedio di Leningrado nel 1941. Poco o nulla si sa dei risultati di queste ricerche. In seguito la carcassa della nave, ancora in discrete condizioni nelle zone di prua e di poppa ma semidistrutta nella parte centrale, è stata dichiarata dal governo polacco “cimitero di guerra” e per un raggio di 500 metri l’area è stata interdetta agli esploratori subacquei.

Ma come mai un disastro così immane è rimasto pressoché ignoto al grande pubblico nel primo dopoguerra malgrado alcuni modesti  film e solo, molto più tardi, nel 2002, grazie al romanzo di Günther Grass, “Il passo del gambero” (Im Krebsgang) che descrive l’affondamento della nave, seguito poi da molte altre pubblicazioni, se ne è incominciato a parlare? La notizia della fine della Gustloff in Germania fu vissuta da Hitler e dalla sua gerarchia come la distruzione di uno dei preminenti simboli della potenza del III Reich proprio ad opera degli odiati bolscevichi. Era un boccone troppo amaro per il Führer che vietò alla stampa tedesca ed ai radio-giornali di raccontare l’accaduto mentre la gioventù hitleriana minacciava i sopravvissuti qualora avessero raccontato la loro spaventosa esperienza. Non era accettabile per il morale già scosso della popolazione che i tedeschi apparissero come vittime e non come vincitori. A loro volta i russi considerarono, correttamente, la vicenda della Gustloff insignificante dal punto di vista militare, molto più importante era l’avanzata e le vittorie dell’armata rossa contro la Germania dal 1944 in poi. Non pubblicarono la notizia anche per la dubbia fama, nella sfera della vita privata, del capitano Marinesko, ed in seguito, con l’inizio della guerra fredda, l’episodio fu praticamente dimenticato. Ma anche gli angloamericani non diedero risalto alla notizia in quanto non era il caso di mettere in evidenza l’inutile massacro di quasi 10.000 profughi da parte di una nazione, la Russia, allora alleata contro il nazismo. Le prime notizie in lingua tedesca dell’affondamento apparvero nei volantini Feldpost (Posta Militare) e Nachrichten für die Truppe (Notizie per le truppe) del 5-6 febbraio 1945 lanciati dagli alleati sulle truppe tedesche per deprimere il morale dei soldati, mentre una decina di giorni dopo, il 20 febbraio, il quotidiano svedese Svenska Dagbladet pubblicava per primo la notizia della morte “di almeno 10.000 passeggeri” nell’inabissamento della Gustloff. Soltanto dopo parecchi decenni l’argomento fu riconsiderato dai media mondiali e cominciarono ad uscire documentari e libri sull’accaduto. Da allora ci sono state discussioni ed accesi dibattiti nell’intento di stabilire un giudizio morale definitivo sulla fine della Gustloff; credo che in una intervista pubblicata sul New York Times dell’8 aprile 2003, Günther Grass abbia dato una risposta saggia e condivisibile: “Una delle tante ragioni per cui ho scritto “Il passo del gambero” era per strappare l’argomento all’estrema destra……..Loro sostenevano che la tragedia della Wilhelm Gustloff era stata un crimine di guerra. Non lo è stato. Fu terribile, ma fu la conseguenza della guerra, una terribile conseguenza”.

Francesco Cappellani