27 febbraio 2013, cinque anni fa moriva Van Cliburn!

Non credo affatto che tutti debbano morire.
Affatto!
Forse (forse) nel corpo.
Ed è tutto da dimostrare.
Certamente, non nelle opere, spesso inconsapevolmente compiute.
Cinque anni fa – il 27 febbraio 2013, a Fort Worth, Texas – moriva Van Cliburn.
Correva il lontanissimo 1958 quando, giovane pianista, aveva messo a ferro e fuoco il mondo.
Un mondo dominato dalla Guerra Fredda.
Un mondo nel quale l’idea – anche solo l’idea – che uno yankee andasse a Mosca e prendesse parte alla edizione inaugurale del concorso internazionale pianistico intitolato a Petr Ilich Ciajkovskij che l’Unione Sovietica istituiva per celebrare i propri esecutori pareva (ed era) pazzesca.
Un mondo nel quale – ben oltre la favola come solo la realtà può essere – quel giovane trionfava eseguendo magnificamente il Primo Concerto per pianoforte e orchestra dello stesso Ciajkovskij.
Trionfava per le capacità dimostrate, per la passione, per la tecnica…
E – quando la politica di piega all’arte come sempre dovrebbe – come si chiuse quella favola?
Con le parole – inaspettate e invece ‘giuste’ da ogni punto di vista – dell’allora leader sovietico Nikita Chruschev che, ai membri della giuria che, costernati, gli chiedevano il da farsi prima di emettere il verdetto, disse:
“L’americano è il più bravo?
Premiatelo!”
E il mondo, oggi assolutamente dimentico, celebrò compiutamente l’evento.
Un americano a Mosca e trionfante nei Cinquanta?
Impensabile.
Inaudito.
Improponibile.
E vero.
Inconsapevolmente, Van Cliburn era in quel momento entrato nell’immortalità!

Mauro della Porta Raffo