‘Cancan’

Sto trascorrendo ore bellissime.
La ragione?
Leggo avidamente ‘Perché parliamo italiano’, imperdibile testo opera del grande Paolo Granzotto pubblicata da ‘Il Giornale’ nel 1998 per volontà dell’allora direttore Mario Cervi.
(Paolo e Mario amici miei carissimi – di più, fratelli – la cui dipartita ancora piango, la cui assenza sempre lamenterò).
Mille le notizie, le preziosità che Granzotto dispensa a piene mani.
Occorre, non poche volte, che nel trattare dell’origine storica come della etimologia di un vocabolo Paolo favoleggi proponendo soluzioni insolite, fuori dai canoni, divertenti, alternative per quanto culturalmente fortemente basate.
Un’idea del metodo da lui seguito?
Alla voce ‘cancan’:
“Sappiate che un gruppo di linguisti francesi si riunì- siamo ai primi dell’Ottocento – per stabilire se ‘quanquam’, cioè ‘sebbene’, andasse pronunciato ‘kamkam’ o ‘quamquam’.
Essendo linguisti e pertanto facili alla zuffa, litigarono a tal punto che la cagnara diventò leggendaria.
Così, per indicare il chiasso indiavolato, la confusione, l’agitarsi di braccia e gambe, si prese a dire ‘cancan’!”
Bello, l’aneddoto.
Vero?
Chissà?
Come dimenticare, parlandone, il fatto che Paolo era il figlio che Indro Montanelli non aveva avuto e che da cotanto padre, tra le infinite cose, aveva imparato anche quanto fosse opportuno e a volte necessario preziosamente inventare?
Come racconta Fernando Mezzetti, Indro, immaginifico, arrivava spesso addirittura al punto di mettere in bocca a personaggi rigorosamente deceduti (acche’ non potessero smentire) frasi e argomentazioni da costoro mai neppure pensate ma che, alla fine, magnificamente, tuttora riportate, li rappresentano!
Rara, invidiabile capacità.

Mauro della Porta Raffo