Afrorussi

‘Arap Petra velikogo’ e la lunga (quanto all’appellativo, non poi tanto) storia degli ‘Afrorussi’

 

1827, dedicandosi compiutamente alla prosa, Alexander Pushkin scrive ‘Arap Petra velikogo’ (altrimenti, ‘vilikogo’, dipende dalla traslitterazione).

L’opera resterà incompiuta.

Per quale particolare ragione interessarsene, oltre ovviamente per esaminare pressoché in nuce le grandi capacità anche nella narrativa del Nostro?

Perché leggendola si scopre la ragione della carnagione nera di quel rivoluzionario letterato.

È questa una motivazione di poco conto, qualcuno potrà dire.

Un pettegolezzo al limite.

Nient’affatto, ove si considerino le implicazioni storiche che possono (devono) derivarne.

Il titolo del testo suddetto è normalmente tradotto in ‘Il negro di Pietro il Grande’.

Al riguardo, due preliminari considerazioni.

La prima: ‘Negro’ e non ‘nero’ perché le traduzioni in italiano risalgono ad un periodo nel quale l’espressione ‘negro’ non aveva significato dispregiativo come da qualche decennio accade.

La seconda: ‘Arap’ veniva tradotto appunto ‘negro’ per quanto in diverse lingue corrisponda ad ‘arabo’.

‘Il negro di Pietro il Grande’ narra e racconta del bisnonno materno dell’autore, il Maggior Generale del Genio Militare russo Abram Petrovic Gannibal, un principe (se non principe, certamente di nobili lombi) abissino, forse eritreo, qualcuno dice camerunense.

Prigioniero e schiavo del Sultano di Costantinopoli in giovanissima età – siamo ai primi del Settecento – Gannibal ha la fortuna di essere riscattato da un diplomatico russo e portato alla Corte di Pietro il Grande.

Più fortunato ancora, perché lo stesso Zar lo prende a ben volere arrivando a fargli da padrino il giorno del battesimo, ad adottarlo e a crescerlo con i propri figli.

Dipoi, una istruzione – anche in Francia – al massimo livello possibile, estesa al campo militare.

Una carriera eccezionale, con qualche inciampo ogni volta superato.

Una intensa vita amorosa e matrimoniale.

Dalla seconda moglie avrà il figlio Osip, nonno materno di Pushkin.

Nonno che trasmetterà al poeta il colore della pelle.

Tutto ciò detto, era accadimento davvero straordinario che all’epoca in Russia vivessero africani?

Nient’affatto, visto che i pirati saraceni, spesso, catturate in mare navi negriere provenienti dal Corno d’Africa o (soprattutto) da Zanzibar, vendevano gli schiavi dei quali si impadronivano in India, in Indonesia, in Cina (laddove, ad evitare problemi, venivano subito castrati) e appunto in Russia.

Sono costoro da annoverare tra gli ‘Afrorussi’?

In senso lato, essendo il termine di relativamente recente conio.

Relativamente, appunto, in quanto conseguenza di un fenomeno del tutto particolare afferente in specie (ma, non solo) gli anni Trenta del trascorso Novecento.

Fatto è che negli anni Trenta del trascorso Novecento un certo numero di neri americani – abolita la schiavitu’, negli USA operava in tutto il Sud il segregazionismo – pensò opportuno trasferirsi in Russia.

Alcuni, per ragioni ideologiche.

La maggior parte, per trovare lavoro e più indipendenza (!?).

Il fenomeno fu di relativamente breve durata, ma quei neri e i loro discendenti hanno formato un gruppo la cui denominazione è ‘Afrorussi’.

Fra questi, alcuni si sono segnalati e si segnalano in campo sportivo e nello spettacolo.

Vi è occorso recentemente di vedere all’opera la nazionale russa di curling?

Ebbene, uno dei campioni che ne fanno parte è proprio un ‘Afrorusso’.

Si chiama Nkeirouka Ezeck!

Mauro della Porta Raffo