Contro l’Obamacare: lo stato della cose

L’ennesimo naufragio della riforma sanitaria al Congresso getta nuovamente il Partito Repubblicano in uno stato di paralisi.

Dopo anni passati ad attaccare ferocemente Obamacare, i repubblicani non sono riusciti ancora a smantellarne i capisaldi.

Senza dimenticare che il tentativo (fallito) di picconamento di ieri potrebbe rivelarsi anche l’ultimo: fino al 30 settembre il Grand Old Party poteva infatti avvalersi della maggioranza semplice per approvare la propria riforma, mentre – dopo quella data – sarà richiesto un quorum di 60 senatori (una soglia quasi impossibile da raggiungere, visto che l’elefantino detiene al momento appena 52 seggi).

Una maggioranza risicata che, non a caso, è venuta meno a causa di appena tre defezioni: i senatori repubblciani McCain, Collins e Paul hanno infatti negato il proprio appoggio, condannando la proposta di legge Graham-Cassidy al naufragio. Nonostante il nuovo disegno legislativo si configurasse più moderato dei precedenti avanzati dal GOP, alcune motivazioni hanno spinto questi tre deputati a una scelta così grave.

Da una parte, ci sono i centristi. Susan Collins e John McCain hanno da sempre mostrato una certa reticenza ad approvare le proposte repubblicane più ortodosse in tema di sanità: in particolare, entrambi temono un congelamento dell’espansione del programma Medicaid, che lascerebbe senza copertura sanitaria svariati milioni di cittadini.

Sul fronte opposto, si staglia invece Rand Paul.

Esponente dell’ala libertarian del Partito Repubblicano, il senatore del Kentucky considerava il disegno di legge troppo blando e sostanzialmente simile all’odiata Obamacare.

Secondo Paul infatti la sanità dovrebbe essere interamente affidata al libero mercato, al di là di ogni possibile invasività statalista.

Oltre alle motivazioni di ordine ideologico, ve ne sono poi ovviamente altre di natura più politica.

Non è del resto un mistero che McCain e Susan Collins figurino tra nemici più accaniti di Donald Trump, ragion per cui affossare la riforma sanitaria rappresenterebbe per loro un colpo indiretto nei suoi confronti.

Per quanto, è bene ricordarlo, questo ennesimo naufragio metta in non poco imbarazzo anche lo stesso establishment repubblicano: a partire dal leader della maggioranza al Senato, Mitch McConnell (che deve fare anche i conti con la recentissima sconfitta del suo candidato nella corsa senatoriale in Alabama).

Come che sia, il presidente non ha preso bene la cosa, anche perché questo fatto rischia di innescare un effetto domino in grado di minacciare seriamente la sua riforma fiscale: restando in piedi Obamacare, rimangono difatti integri tutti i suoi ingenti oneri in termini di spesa pubblica.

Un elemento che mette a repentaglio le coperture per sostenere la radicale defiscalizzazione promessa dal miliardario.

Anche per questo, Trump ha minacciato di aprire all’opposizione democratica.

Una strategia che il magnate d’altronde ha già sperimentato sulle questioni del debito e dell’immigrazione.

E che, nel lungo periodo, potrebbe anche risultare vincente.

Trump ha infatti un disperato bisogno di evitare i diktat delle minoranze fanatiche o delle fronde congressuali che gli fanno la guerra.

Inoltre, vista la trasversalità del suo elettorato, è anche più logico che si abitui a governare appoggiandosi a maggioranze variabili, piuttosto che su gruppi parlamentari ortodossi.

Il tempo ci dirà se sarà in grado di agire in questa direzione.

Stefano Graziosi