‘Mantequilla’

‘Burro’ in spagnolo (lo sapete) significa asino.
Nella lingua di Lope de Vega y Carpio, il buonissimo alimento – devo far finta che non esista per non strafogarmene – si chiama ‘Mantequilla’.

Capodanno del 1959, i castristi entrano a L’Avana e Fidel prende il potere.
Fra i mille provvedimenti conseguenti, il divieto assoluto per tutti i pugili cubani di boxare professionalmente.
Da quel momento (e ancora oggi), dilettantismo quanto alla ‘nobile arte’.
E cosa poteva fare in quella circostanza il peso welter di grandi capacità e conseguenti speranze Josè Napoles se non emigrare?
In Messico, per la precisione.
Straordinario per i riflessi che gli permettevano tra le dodici corde di evitare, sfuggendo, i colpi degli avversari, Napoles fu per tale sua caratteristica chiamato appunto – torniamo a bomba – ‘Mantequilla’.
Campione mondiale (quando i titoli non erano mille e la cintura era per pochissimi) a due riprese e per un totale di cinque anni, il Nostro, per la fama particolare che lo circondava e, tra gli appassionati (sempre meno, da noi), lo circonda, parrebbe decisamente il migliore di tutti i tempi nel campo della difesa sul ring.
Così, invero, non è se lo si confronta con quel ‘mostro’ di Niccolino Locche.
Sardo, Locche, di famiglia ma anche personalmente a mio modo di vedere per quanto l’ufficialità lo dica nato in Argentina.
Anche lui welter, per verità ‘junior’, fu giustamente chiamato ‘L’intoccabile’.
Un record sbalorditivo lo conferma: quattro sole sconfitte da professionista (una prima del limite) su centotrentasei match sostenuti.
E non contro ‘frilli’ qualsiasi.
Contro i migliori della sua epoca, quella stessa, per molti versi, del citato Napoles.
‘El intocable’ più capace in difesa di ‘Mantequilla ‘?
Direi proprio di sì.

Mauro della Porta Raffo