Le ragioni del successo del calcio in Italia

6 giugno 1955.
La Gazzetta dello Sport, in prima e a tutta pagina riporta e celebra la vittoria di Fiorenzo Magni, arrivato il giorno precedente a Milano in maglia rosa conquistando così il suo terzo Giro d’Italia.
In basso, in secondo piano, l’articolo che tratta del campionato di calcio oramai in dirittura d’arrivo.
Il Milan ha vinto in trasferta sul Genoa per otto a zero e si avvia a riportare lo scudetto.
Evidente la gerarchia: il ciclismo è molto più importante e seguito dalla gente e dai giornali.
Il football – oggi imperante per ogni dove – meno.
E non solo riguardo alle due ruote.
Anche al pugilato, certamente.
È la boxe infatti che fino al termine degli anni Settanta, sia pure nell’ultimo lustro declinando, riempie palazzetti dello sport che ospitano migliaia e migliaia di spettatori.
È la ‘nobile arte’ che arriva, con Duilio Loi, Nino Benvenuti e Sandro Mazzinghi (ma non solo) a riempire San Siro.
Il tifo ‘naturale’ – non ancora teleguidato – si concentra su sport individuali, esaltando i singoli.
Le squadre di calcio?
Contano su una appartenenza in qualche modo ‘lontana’, campanilistica.
Se ed in quanto emergano giocatori di altissimo livello (Nicola Pietrangeli e, più avanti, sia pure con minore elegante e ‘divina’ naturalezza, Adriano Panatta), altresì e perfino l’aristocratico tennis appassiona.

Ieri, tutto questo ieri o addirittura l’altro ieri.
L’oggi (non da oggi) sotto i nostri occhi racconta e illustra anche – anche -riguardo al tifo, alla passione e alla partecipazione sportiva tutto un differente mondo.
Mille le ragioni sociali ed economiche.
E una società radicalmente mutata.
E le televisioni.
E le sponsorizzazioni.
E la maleducazione imperante.
E l’ignoranza.
E…
Ma infine, perfino e forse più evidentemente in questo campo, la vera ragione per la quale il calcio (frequentato in campo e sugli spalti da bruti tatuati) è totalizzante sta nell’imperversare di quella melma ideologica che ci avvolge e ottenebra, melma in cui l’individuo e le individualità sono il peggio possibile.
Da esecrare e vituperare.
Per la quale è politicamente corretto confondersi nella massa, nell’indistinto.
Nella squadra, appunto.
Mi si opporrà che comunque emergano nelle compagini pedatorie gli assi.
Vero, ma cosa farebbe un Cristiano Ronaldo se altri non lo supportassero, se non gli passassero la palla?
E il campione di calcio lo sa: è tale come e in quanto terminale di una azione corale, non certamente individuale.
È pertanto il football lo sport perfetto per questi orribili tempi.
Tempi nei quali l’aspirazione è di “essere come gli altri”.
Tempi nei quali l’individuo individualista viene tenuto ai margini, quasi considerato un paria.

Peggiorerà!

 

Mauro della Porta Raffo